6 aprile 2012

Champagne Bérèche et Fils, la purezza del terroir

[Mario Plazio]
Non mi capita spesso di entusiasmarsi per una nuova cantina. Il povero degustatore, obbligato ad assaggiare di tutto e di più, è a volte quasi anestetizzato dall’eccesso di proposte. Non voglio tirarmela, non sono il tipo. Però negli anni subentra in certi momenti un’aria di routine. Per fortuna ci capitano spesso anche delle belle sorprese. È il caso degli Champagne di Bérèche, assaggiati alla cieca e sempre usciti tra i migliori.
L’azienda si trova sulla Montagne de Reims, ma possiede vigneti in varie zone. L’approccio è naturale, orientato verso il biodinamico, ma senza alcuna certificazione. Un grande lavoro in vigna tende a rispettare le caratteristiche intrinseche di ogni tipologia e vigneto, alla ricerca di una ideale tensione gustativa e della mineralità. Non si usano diserbanti, i trattamenti sono rari e a base di zolfo e rame, le rese molto basse per la regione. In cantina si usa molto il legno, la malolattica non viene quasi mai svolta, e i dosaggi sono minimi per preservare l’origine del vino. Missione raggiunta: i vini sono puri, vivi, lunghi e dedicati alla tavola. Questi i miei giudizi sulla gamma.
Brut Réserve. Crosta di pane e nocciola. Complesso e floreale, salino e dotato di notevole acidità. Potrà evolvere.
2 faccini e mezzo :-) :-)
Extra Brut Réserve. Naso più austero e minerale, gessoso. Poi frutta rossa. L’acidità spinge e si fonde con la consueta nota salita e iodata.
3 faccini :-) :-) :-)
Brut Rosé. Decisamente frutta rossa al naso, lamponi e poi mineralità spinta. Sembra più un bianco che un rosé per la struttura verticale.
2+ faccini :-) :)
Millésime 2004. Complesso e speziato, elegante. Funghi e frutta secca, bella dimensione al palato, dove la freschezza è apportata da aromi di gesso, fiori e mare. Cambia continuamente e sembra poter evolvere a lungo.
3 faccini :-) :-) :-)
Vallée de la Marne Rive Gauche. Vecchia vigna di Pinot Meunier. Bilanciato, maturo e fine al tempo stesso, ancora giovane, viene prodotto con l’antica tecnica del “bouchon liège”, quindi sui lieviti con tappo in sughero. Ed è interessante vedere la diversità dei risultati. Grande palato, fresco e con bollicine satinate e impalpabili.
3 faccini :-) :-) :-)
Reflet d’Antan. Prodotto con metodo solera iniziato nel 1985. Mi piace citare cosa scive il produttore nella scheda: “Seulement 2/3 de chaque fût sont mis en bouteille. Le tiers restant contribuant à informer la vendange suivante”. Cioè: 2/3 passano in bottiglia, mentre l’altro terzo contribuisce a informare la vendemmia seguente. Bellissimo. Il liquido ha una complessità enorme, la sensazione di rovere deriva dal tappo in sughero e se ne va dopo qualche anno di bottiglia. L’ossidazione è evidente, si respirano le spezie, lo zenzero, la frutta secca e aromi autunnali. La magia sta nel fatto che il tutto è perfettamente equilibrato, non ci sono eccessi e l’acidità detta i ritmi di un palato magnifico.
3 faccini e oltre :-) :-) :-)
2007 Arbanne - Petit Meslier. Vino non in vendita realizzato a partire da vitigni storici oggi non più uso nella regione. Sembra un Trebbiano di Valentini. Vorticoso, ferroso, e aromi da fattoria. Sensazione tattile alla beva, dove è potente, forse non elegantissimo ma lunghissimo. Estremo.
3- faccini :-) :-) :-)

4 aprile 2012

Uvapassa, o dell'imperfezione perfettissima

[Angelo Peretti]
Qualche settimana fa Davide Paolini mi ha fatto (nuovamente) l'onore di ospitarmi nella sua trasmissione Il Gastronauta, su Radio24. Si discorreva di vini imperfetti, e di come l'imperfezione, talvolta, possa generare piccoli, irripetibili gioielli.
Tra le imperfezioni che si possono rinvenire nel vino vi è anche l'acidità volatile, che è certamente fastidiosa quasi sempre. Quasi. Salvo che si abbia nel bicchiere un vino dolce. Soprattutto un Recioto (rosso) della Valpolicella, che in fatto di volatile non scherza, e che pure di quest'imperfezione fa tesoro.
M'è tornato in mente il discorrere dei vini tecnicamente imperfetti, ma piacevolmente perfettissimi all'assaggio per chi vada in cerca della personalità, tastando l'Uvapassa del 2004, il Recioto valpolicellese (rarissimo) che fa Cecilia Trucchi nella sua Villabellini, a Castelrotto, che è una specie di isola-collina che emerge dalla piana.
Il colore è scarico, come ha da essere il Recioto (e l'Amarone, figlio del Recioto) quando sia rispettoso della tradizione e figlio della corvina veronese, uva che ha scarso colore.
Avvicino il naso al bicchiere, ed ecco che è come tuffarmi in un invitante mix di frutta secca, con le noci di montagna, e le mandorle amare, e le nocciole. E poi i fiori macerati, quelli nel pout-pourri con le scorze d'arancia essiccate e le spezie. E il tutto trova nell'acidità volatile incredibile slancio, e guai se non ci fosse.
E poi la bocca. Eccola, carnosa e insieme succosa. E il frutto appassito, l'uva passa. E ancora agrumi secchi. E fichi in confettura. Ed erbe officinali seccate al sole. E una lunghezza vellutata e sinuosa.
Bel vino, bellissimo, austeramente dolce, dolcemente aristocratico. Peccato non averne più, peccato non poterne bere una bottiglia fra dieci o fra vent'anni, quando sarà diventato uno strepitoso Amarone ammandorlato, come quelli che si facevano - un po' per caso - quand'ancora l'Amarone non era una moda.
Recioto della Valpolicella Classico Uvapassa 2004 Villabellini
Tre lieti faccini :-) :-) :-)

3 aprile 2012

Bianchi friulani da macerazione

[Mario Plazio]
Una cenetta in casa con alcuni amici è stata l’occasione per assaggiare alcuni vini del Friuli che avevo in cantina e che mi sono stati affidati dall’Osteria Devetak (se siete dalle parti di Gorizia andateci, cibo e vini sono eccellenti e non occorre rompere il salvadanaio), che qui ringrazio. Si tratta di produttori bio o naturali che dir si voglia, e che in gran parte adottano macerazioni prolungate sulle bucce per i vini bianchi, come fossero dei rossi. Per l’affinamento diverse sono le strade, dal legno, all’acciaio fino alle anfore di Vodopivec e Paraschos.
Evangelos Paraschos, Venezia Giulia Kaj 2005. Balsamico, unguento, ferro, pesca e cachi. Al palato svela una decisa tannicità, ma mantiene dinamismo e non esercita troppa pressione. È delicato e non insiste troppo nella concentrazione, ne risulta una beva abbastanza semplice per la categoria. 90/100
Il Carpino, Vis Uvae 2006. È un pinot grigio e si vede. Profilo decisamente scontroso, fa ben poco per farsi piacere. Sulfureo. Meglio in bocca, con però una presenza invadente dell’alcol. Imponente e massiccio, manca di finezza ed è destinato ai veri aficionados della tipologia. 80/100
Damijan Podversic, Bianco Kaplja 2005. Molto interessante. Frutto pulito con sfumature balsamiche (pomata), di fieno e minerali. La maturità del frutto conquista il palato, è un vino sferico e morbido che conserva una eccellente bevibilità. 90/100
Zidarich, Carso Vitovska 2006. Accentuata sensazione minerale al naso. Armonico ed elegante, ravvivato da una spinta acida ideale, ottima versione di vino macerato sulle bucce, senza alcuna deviazione aromatica. Il miglior vino della serata. 93/100
Vodopivec, Vitovska Solo MM4 (2004). Bottiglia molto giovane, sorprendente. Spezie, zolfo, pesca e sottobosco sono le sensazioni olfattive. Al palato tannino e materia vanno di pari passo, il tutto senza eccessi e con una buona eleganza. 92/100

2 aprile 2012

Oh, i Borgogna del 2009!

[Angelo Peretti]
Mi sento un po' come un traditore della patria, ma che volete farci, la tentazione era irresistibile. Sì, perché il Vinitaly sarà anche la fiera del vino italiano, ma io sono qui a dirvi di una memorabile degustazione di rossi che invece italici non sono, bensì francesi, o meglio, borgognoni. Sono stati infatti tra i pochi fortunati invitati a una sessione d'assaggio nel soppalco dello stand di Cuzziol, azienda distributrice di vini (e altre cose) d'eccellenza. E l'assaggio (io però in realtà me li sono bevuti: altro che sputare!) era di splendidi rossi di Borgogna del 2006.
A guidare il tasting per dieci, diconsi dieci ospiti, era Jean François Mouchonnat, uno che la Borgogna la conosce come le proprie tasche.E ci ha raccontato che quella del 2009 è stata un'annata "facilissima", calda e molto secca, e dunque con uve mature e sanissime. Talché i tannini sono anch'essi maturi e dolci, il che rende i vini, anche i più complessi, adattissimi anche all'immediata beva, oltre che ad un affinamento d'altri quattro o cinque anni (e qualcosa in più, per quelli maggiormente complessi). "Il 2009 è un'annata da bere" ha ribadito monsieur Mouchonnat. In più, il millesimo è stato tutt'altro che avaro in fatto di quantità d'uve, una delle vendemmie più ricche, quantitativamente, che si siano viste, e non è un male. Insomma: qualità e quantità, cosa volere di più?
Orbene, nel bicchiere ci siamo trovato sei rossi di Borgogna del 2009, tutti ovviamente distribuiti da Cuzziol, e adesso dico le mie impressioni.
Chassagne-Montrachet 1er Cru Budriotte 2009 Ramonet
Bellissimo colore. Tannino levigato. Frutto croccante, avvincente. Speziatissimo. Rosa appassita. Elegante.
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)
Nuits-St. Georges 1er Cru Les Procés 2009 Duband
Lo stile di Duband non fa per me, e ne ho avuto conferma: questione di gusti. Tradizionale, rustico, affumicato.
Un faccino e quasi due :-)
Vosne-Romanée 1er Cru Les Chaumes 2009 Arnoux-Lachaux
Rubino, bello. Teso, affilato. Muscoloso ma non palestrato. Rose, viole. Frutto dolce. Cioccolato al latte. Fascinoso.
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)
Morey Saint-Denis 1er Cru 2009 Dujac
Urca, che vino! Vino maschio. Tensione tannica. Fiori macerati, fruttino. Fumé. Austero e vitale. Elegantissimo.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)
Chambolle-Musigny 1er Cru 2009 Confuron
Colore più carico. Ricchezza fruttata. Amarena stramatura che contrasta con un tannino quasi rude. Arancia bionda.
Due lieti faccini :-) :-)
Gevrey-Chambertin 1er Cru 2009 Dugat
Naso speziato. Poi, fiori appassiti, terra rossa. Grande complessità. Frutto e tannino in bell'equilibrio. Lunghissimo.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)