6 marzo 2012

Franciacorta: verso una riduzione delle rese?

Angelo Peretti
Giovanni Arcari dei Franciacorta se n'intende. Perché li fa, ovvero aiuta altri a farli. Ha anche un blog, che si chiama TerraUomoCielo, e qualche giorno fa ha pubblicato un post titolato: "Abbassare le rese per evitare l’esubero di uva non è la risposta giusta". Dice Giovanni: "Il caso che porto all’attenzione riguarda la Franciacorta, ma dubito sia diverso da quello di altri territori. Si paventa che per la prossima vendemmia ci sarà un esubero di uva che non sarà ritirata dai soliti, causa crisi globale". Ora, non so se quest'informazione si trasformerà poi in verità dei fatti, perché ovviamente siamo ben lontani dalla vendemmia. Però se anche nella felice Franciacorta si comincia a parlare di esuberi e giacenze...
Il problema è quello indicato da Arcari: "Un eccesso di uva sul mercato porta inevitabilmente all’inflazionarsi del valore della stessa, con un conseguente abbassamento dei prezzi". Spesse volte, per non dire quasi sempre, in casi come questo, gli enti consortili adottano la stessa politica: "riduzione della produzione per ettaro". Ma è una scelta che Arcari definisce "una politica arcaica", perché alla fine "a pagare il prezzo della crisi è soltanto chi coltiva l’uva e non chi la acquista". E dunque propone un'alternativa: "Sostengo sia più opportuno - scrive - ridurre la resa in vino (e non quella in uva), in altre parole pressare meno. Se fino a ieri si ottenevano 65 ettolitri per ettaro, da domani (per fare un esempio senza calcolo) se ne potranno ottenere 55". Le sue motivazioni preferisco le leggiate direttamente sul suo blog. Dico solo che effettivamente pressando meno, il vino con le bolle viene più buono.
Al di là della Franciacorta e dell'ipotesi ventilata, la questione è davvero argomento quotidiano in molte aree vinicole italiane. Per questo mi sono permesso di dire la mia tra i commenti del post. E vorrei riportare una parte del mio pensiero. Ho scritto così: "Quello che credo debba essere tenuto presente - non dai singoli produttori, o meglio, non solo da loro, bensì dall’ente consortile - è che per regolare la domanda e l’offerta si può operare sull’una o sull’altra. Quasi sempre, in caso di difficoltà, i consorzi decidono di agire sull’offerta, riducendola per sostenere il prezzo, attraverso declassamenti o riduzioni delle rese. Io ritengo sia invece necessario agire prioritariamente sulla domanda, ampliandola attraverso opportune azioni di promozione, di informazione, di comunicazione, di marketing, secondo precise linee di pianificazione strategica. Nel primo caso pagano soprattutto i piccoli, nell’altro prevalentemente i grandi, attraverso maggiori costi associativi, sapendo peraltro che l’ampliamento della domanda premierà nel divenire soprattutto chi dispone di massa critica. Si tratta di fare delle scelte".
Ecco, salvo casi d'emergenza assoluta, è questa l'idea di gestione nella quale credo. Magari mi sbaglio, ma la penso così, e propendo per scelte strutturali, non congiunturali.

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