31 gennaio 2012

Amarone 2008: Marano, San Pietro e Valpantena

Angelo Peretti
All'Anteprima dell'Amarone del 2008, lo scorso week end, non potevo assaggiare tutto, non ne avevo il tempo, purtroppo. Ho dovuto fare delle scelte.
Ora, se ti trovi a dover scegliere in un panorama ampio e articolato come quello amaronista dell'Anteprima, i percorsi possono essere i più vari: ad esempio verificare come sono andati o stanno andati i nomi maggiori, oppure concentrarsi sulle new entry, in cerca della sorpresa, se sorpresa ce n'è. Però, visto che stavolta il Consorzio ha suddiviso lo spazio espositivo per vallate o almeno macrozone di provenienza delle uve, allora ho scelto di concentrarmi sulle due (in verità tre, ma due erano raggruppate) aree che a mio avviso potevano darmi meglio di altre il senso di un'annata tutto sommato "normale", e dunque giocata più sulla freschezza che non sulla concentrazione: la vallata di Marano insieme con la vicina San Pietro in Cariano, in zona Classica, e poi la Valpantena, a nord-ovest di Verona.
Ora, degli Amaroni di Marano e di San Pietro in Cariano del 2008, il panel di enologi istituito dal Consorzio valpolicellese ci ha detto che sono vini con queste caratteristiche salienti (copio): "Aroma di marasca e balsamico, il gusto presenta una elevata sapidità e personalità raffinata". Per la Valpantena, invece: "Essenze floreali, il gusto presenta un buon equilibrio e la personalità elegante".
Detto questo, eccomi a qualche vino - dieci in tutto, mi dispiace per gli altri - delle due (in realtà tre) zone.
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MARANO DI VALPOLICELLA
Amarone Classico della Valpolicella Moròpio 2008 Pierpaolo e Stefano Antolini
Una sicurezza. Ha gran beva ed eleganza. Bellissimo naso: frutta e spezie, mai sopra le righe. Bocca fruttata e balsamica.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)
Amarone Classico della Valpolicella Vigneti di Ravazzol 2008 Cà La Bionda
Che eleganza che ha questo rosso. Snello, lunghissimo, fresco, vibrante. Frutto croccante, fiore macerato, spezia.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)
Amarone Classico della Valpolicella 2008 Giuseppe Campagnola
Altra bella prova maranese dell'annata 2008. Frutto maturo ma per nulla marmellatoso, spezia finissima, vena balsamica. Buono.
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)
Amarone Classico della Valpolicella Corte Vaona 2008 Novaia
Compatto, teso, asciuttissimo. Niente smancerie. Ha notevole personalità. Andrà in bottiglia a giorni e aoccorre attenderlo.
Come minimo, due lieti faccini :-) :-)
Amarone Classico della Valpolicella 2008 Corte Archi
Frutto croccante, speziatura, terra nera. China, rabarbaro. Una buona dose di freschezza che supporta il calore dell'alcol.
Due lieti faccini :-) :-)
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SAN PIETRO IN CARIANO
Amarone Classico della Valpolicella Le Origini 2008 Bolla
Lo metterei in cantina volentieri. Colore scarico. Fiori, viola soprattutto. Fruttino succoso, mirtillo. Tannino lieve. Bello.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)
Amarone Classico della Valpolicella 2008 Rubinelli Vajol
Colore scarico, e mi piace. Spezia, fiori macerati, terra rosa. Morbido e caldo, e quel pelo d'alcolicità è l'unico limite.
Due lieti faccini :-) :-)
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VALPANTENA
Amarone della Valpolicella Vigneto Calandra 2008 Zecchini
Agrumi, intriganti. Bella florealità. Fruttino sotto spirito. Secchissimo, tradizionale. Ed ha notevole lunghezza. Bravi.
Due lieti faccini e quasi tre :) :-)
Amarone della Valpolicella Villa Arvedi 2008 Bertani
Bel colore, scarico come piace a me. Molto floreale (geranio) e note minerali in evidenza. E frutto croccante e spezia.
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)
Amarone della Valpolicella Corte Majoli 2008 Tezza
Niente riserve nel 2008: l'uva è finita tutta nel "base". Ancora in botte. Ha bel naso balsamico e terroso. Foglie appassite.
Due lieti faccini :-) :-)

30 gennaio 2012

Amarone: purché non sia colpa di chi lo beve

Angelo Peretti
Inutile che mi nasconda dietro un dito: l'assenza si notava, e tanto vale che ne parli subito. Via il dente, via il dolore si dice dalle mie parti, anche se il mio dentista non è, saggiamente, d'accordo. All'Anteprima dell'Amarone della vendemmia 2008, questo fine settimana, mancavano nomi importanti che gli anni scorsi c'erano. Mancavano Begali, Venturini, Speri, Tedeschi ed altri, gente che in passato era presente, eccome. Adesso loro ed altri fanno parte del club delle Famiglie dell'Amarone d'Arte, e le Famiglie hanno detto "no" all'Anteprima organizzata dal Consorzio. Le scelte sono scelte e vanno rispettate, ci mancherebbe. Ma non mi pare una bella cosa quest'assenza, oggi che l'Amarone tira come un forsennato. Se il treno frena, frena per tutti. Se deraglia, ci restano sotto tutti, inutile illudersi. Se ci sono problemi di filiera, che se ne parli, che ci si confronti, che ci si scanni se serve scannarsi, ma le colpe, se colpe ci sono, non possono ricadere su chi l'Amarone lo beve, sui suoi sostenitori, sui ristoratori, sui giornalisti e i blogger, su chi cioè ha nell'Anteprima un'occasione importante, e per molti di costoro unica, per avvicinarlo. Sono solo mie opinioni, ma mica potevo nasconderle.
Detto questo, eccomi ad annotare alcune cose sentite durante l'incontro (lungo, troppo) di presentazione dell'annata, prima che si aprissero gli spazi per la degustazione.
Emilio Pedron, presidente del Consorzio valpolicellese, ha fornito i dati del mercato: nel 2011 si sono vendute 11 milioni di bottiglie di Amarone (erano 5 nel 2000), più di 20 milioni di Ripasso e altri 25 milioni di Valpolicella "base". Nel 2000 il "base" era a 50 milioni: l'effetto sostituzione verso i gradini più alti (in prezzo) della piramide valpolicellista è clamoroso. In Valpolicella è arrivato un fiume di soldi, in questa maniera. "Oggi siamo più preoccupati di mantenere i numeri che non di farli crescere" ha aggiunto. Ha anche osservato che "il mercato c'è, esiste, è dunque facile vedere aziende che pensano più al loro interesse che non all'interesse collettivo". Dunque, ecco la proposta di un tavolo di lavoro, perché l'interesse della Valpolicella prevalga su ogni altra logica. Per quanto mi riguarda, e per quella miseria che conta il mio parere, spero che il tavolo si faccia e funzioni.
Eugenio Pomarici, docente di economia e politica agraria alla Federico II di Napoli, ha illustrato le linee guida dell'indagine che gli ha commissionato il Consorzio di tutela riguardo all'Amarone. Speravo che la ricerca fosse già avviata, e mi aspettavo le prime indicazioni. Invece deve ancora partire, ma l'assetto progettuale mi pare solido. Soprattutto, Pomarici ha messo in chiaro che "in un contesto complesso come quello attuale non è possibile individuare un modello vincente in ogni situazione". Sembra l'acqua calda, e invece è la chiave di volta e troppo spesso ci si dimentica che il nodo è proprio questo: occorre investigare mercato per mercato, e adattarcisi flessibilmente, soprattutto per un vino a fortissima vocazione internazionale come l'Amarone. Assodato che l'Amarone di punti di forza ne ha tanti (e i milioni di bottiglie vendute lo dimostrano, al di là di qualunque valutazione stilistica), ma è da capire se i difetti che la Valpolicella mostrava all'inizio del suo recente boom siano superati, altrimenti sarebbe un problema, perché "in un mercato instabile, le debolezze di lettura del mercato sono più pericolose". Bene, che si faccia quest'indagine è un'altra buona notizia. Auspico che la filiera valpolicellese questa ricerca la assecondi. Tutta.
Terzo: l'annata. L'ha presentata Daniele Accordini. Il 2008 ha visto "il ritorno alla normalità del calendario vegetativo". Ne sono uscite uve che dovrebbero avere garantito vini di buona longevità: meno stracariche di zuccheri del 2007, portatrici di buona acidità, capaci di dare rossi dalla componente fenolica più equilibrata. Per la prima volta, ci si è poi sforzati di presentare l'annata cercando di capire il carattere dei vini vallata per vallata. Sforzo importante, che necessita di ulteriori messe a punto, ma che va sviluppato. Almeno io la penso così.
E i vini? Dei vini - di alcuni - parlo domani.

29 gennaio 2012

Mantecare il risotto

Aveva accettato il suo invito perché l'aveva detto a Mattia e perché, adesso ne era sicura, non ci sarebbe mai stato per lei nulla di più simile all'amore di ciò che poteva trovare lì.
Fabio aprì il frigo e da un panetto di burro tagliò un pezzo che secondo Alice era di almeno ottanta-novanta grammi. Lo buttò nella padella per mantecare il risotto e quello si sciolse, liberando tutti i suoi grasso saturi e animali. Spense la fiamma e girò il risotto con un cucchiaio di legno, per un paio di minuti ancora.
"Ci siamo" disse.
Paolo Giordano, "La solitudine dei numeri primi", Mondadori 2008

28 gennaio 2012

Solide basi e flessuosa lunghezza

Angelo Peretti
Questo intervento sarà brevissimo, ma mi viene così.
Non me la posso permettere, non ci sta. L’Arco è per le case grandi, e la mia non è grande abbastanza, o almeno penso. Intendo la lampada della Flos, quella creata dai Castiglioni nel ’62.
L’Arco, un capolavoro. Solida base e flessuosa lunghezza. Sono le stesse parole con cui talvolta descrivo alcuni dei vini bianchi che più mi intrigano, e devono avere, appunto, basi saldissime e lunghezza sinuosa. E mi piacciono.
Tutto qui.

27 gennaio 2012

La coratella al Pantheon

Angelo Peretti
Il loro sito internet dice che sono a trenta metri dal Pantheon, che è forse la più bella tra le tante cose belle che si possano ammirare a Roma. Se non sono trenta metri saranno cinquanta, sta di fatto che Armando al Pantheon è proprio lì, in un vicolo (si chiama Salita dei Crescenzi, ma salita mi pare proprio un termine eccessivo) a due passi dal Pantheon, e se andate a fare una visita a Roma, be', pensate magari di mettere in agenda una capatina in questa trattoria che fa cucina romano-romanesca alleggerita quel tanto che basta, ingentilita quel che di sufficiente per renderla ghiottissima senza imbastardirla. Oh, badate: anche se è in pieno-pieno centro e se davanti passano colonne di turisti, questa è una trattoria di quelle autentiche, e dentro è abbastanza piccina, per cui prenotare è d'obbligo.
Ci ho mangiato degli spaghetti alla grigia notevolissimi e poi una coratella d'abbacchio indimenticabile (con la cicoria al posto del carciofo, perché nel carciofo c'è un po' d'aglio, e io l'aglio non lo tollero, purtroppo). Chi stava con me è stato felice della zuppa di orzo, lenticchie, porcini e tartufo e dei classicissimi spaghetti all'amatriciana.
Conto sui quaranta euro, col vino.
Armando al Pantheon  - Salita dei Crescenzi, 31 - Roma - tel. 06 68803034

26 gennaio 2012

Il lato bianco di Bordeaux

Angelo Peretti
Quando pensi a Bordeaux ti viene in mente il vino rosso. Ma c'è mica solo quello. C'è qualche rosato, anche se è quisquilia, in genere. Ci sono i bianchi dolci, botritizzati, vedi alla voce Sauternes eccetera. E i bianchi secchi, che ho sempre fatto parecchia fatica a capire.
Ora, m'è capitato di stappare una bottiglia del Bordeaux Blanc del 2006 dello Château du Gran Plantier che avevo dimenticato in cantina e che quand'è uscito era di esplosiva freschezza. Vino, aggiungo, che aveva raccolto le sue belle soddisfazioni sulla guida Hachette, sempre quand'era uscito. Mi domandavo come avesse superato questi annetti. Ne sono rimasto impressionato. Per la croccantezza.
Sì, era tutto frutto croccante. L'albicocca quando ancora è duretta e scrocchia sotto i denti eppure ti rilascia di già il suo profumo. E la pesca nettarina bianca appena tratta dall'albero. E la meletta di montagna staccata dai rami.
In fondo, c'era un tappeto di fiori estivi, di prato.
E una freschezza che faceva rotolare i frutti ed esaltava il fiore.
Buonissimo.
Penso che presterò attenzione maggiore ai bianchi bordolesi.
Bordeaux Blanc Sec 2006 Château du Gran Plantier
Tre lieti faccini :-) :-) :-)

25 gennaio 2012

Il bel manifesto della Loira

Angelo Peretti
Un manifesto così bello per una manifestazione del vino non l'avevo ancora visto. Mi piace proprio.
È il manifesto della tredicesima edizione del Dive Bouteille, un "grand meeting" che si svolge domenica 29 e lunedì 30 gennaio allo Château de Brézé, a una decina di chilometri da Saumur, nella Loira.
Accidenti se è bello 'sto manifesto. Esteticamente, intendo, perché in fatto di informazioni è avarissimo. Ma, si sa, quando ci sono di mezzo i produttori bio-qualcosa, e qui, nella Loira dello chenin-blanc, i bio-qualcosa (i "naturali", insomma, nelle loro diverse declinazioni) sono tanti, capita anche che la comunicazione possa essere interpretata in maniera non convenzionale, e questo è un salone di bio-qualcosa, e dunque...
Che cosa ci si trova a questa mostra di vini bio?  Oh, be', se si legge il manifesto ci si capisce poco, a una lettura letterale.
Il testo dell'affiche in questo è... chiaro (si fa per dire): "Più di cento candidati con la promessa di interi scatoloni di vino", e sarebbero, queste scatole di vini, la ricetta per risolvere questioni essenziali quali: "Difficoltà Coniugali, Ritorno immediato e definitivo dell'Essere amato, Impulsi sessuali, Lavoro, Commercio, Attrazione dei Clienti, Partenza della  Fermentazione, Acidità volatile, Disinganno delle Cuvée".
Et voilà! Tutto chiaro, no?
Sì, è tutto chiaro: il manifesto non mira a descrivere i dettagli, ma il clima, la sensazione, l'essere "fuori di zucca", in qualche modo. Ecco, il vino bio-qualcosa ha probabilmente (certamente) bisogno di essere presentato con un codice di comunicazione che non sia convenzionale. Questi, i francesi, l'hanno capito per primi, come sempre capita nelle faccende del vino. E dunque 'sto manifesto mi piace ancora di più.
Certo, ci vuole una buona dose di coraggio per fare comunicazione in questa maniera. Ma non è incoscienza. Credo.
Il parterre degli espoisitori è di quelli da leccarsi i baffi. Alla voce Champagne, giusto per dire, ci trovi: Pierre Larmandier, Larmandier-Bernir, Jérôme Prevost, la Closerie, Hélène et Bertrand Gautherot, Vouette Sorbée (chissà perché la prima voce cho ho cercato è stata: Champagne). Ovvio che il plotone della Loira è foltissimo (giocano in casa). E c'è anche qualche italiano: bravi.
Se volete saperne di più, l'indirizzo web è questo qui: diveb.blogspot.com.
In bocca al lupo.

24 gennaio 2012

Husar o del Marzemino di Isera

Angelo Peretti
L'azienda si chiama de Tarczal. La de è minuscola, e questo significa che la famiglia è di nobile schiatta. La terra apparteneva ai conti Alberti. Più di un secolo fa la contessa Alberti sposò Gèza dell'Adami de Tarczal, ammiraglio della Regia Imperial Flotta Austro-Ungarica. Ecco spiegato il de minuscolo.
Le terre sono a Isera, Trentino. A Isera si coltiva il marzemino, oscuro oggetto del desiderio, che sta cercando ormai da tanto tempo di riemergere, e forse per riemergere avrebbe bisogno di guardarsi indietro, verso la sua storia, per capirla e reinterpretarla senza tradirla.
Se il Marzemino di Isera somigliasse all'Husar dei de Tarczal forse sarebbe non solo riemerso, ma avrebbe anche successo: così m'è venuto da pensare quando 'st'estate l'ho tastato, l'Husar 2008 dei de Tarczal. Ero a Riva del Garda, per la rassegna dei Vignaioli del Trentino. Faceva caldo, non era magari tempo da rosso. E invece questo rosso era dissetante, era saporito, ecco, sì, saporito e anche sapido, anche se non è un vino da beva semplice, anche se non mira propriamente a dissetare. Ed è un complimento.
Le uve vengono da vigne di marzemino coltivate, mi pare, a pergola. Il vino s'affina, credo di ricordare, in botte grande, da cinquanta ettolitri, per un anno e più. Se sbaglio, qualcuno mi correggerà. Del vino dico che frutto ce n'è un bel po', e anche c'è spalla. Eppure la dolcezza del frutto maturo trova bell'equilibrio grazie a una freschezza a tratti quasi nervosa. Fin dall'avvio, dall'attacco, dall'incipit.
Un rosso che fa riflettere, perché si può essere moderni senza dimenticare la tradizione. Ecco, mi sembra una strada interessante.
Trentino Marzemino d'Isera Superiore Husar 2008 de Tarczal
Due lieti faccini :-) :-)

23 gennaio 2012

Social Enogea

Angelo Peretti
Be', per essere uno che professa ignoranza in materia di web, devo dire che è reattivo come pochi altri tra coloro che invece si dichiarano web-addicted, ed anzi è ben sopra la media. Parlo del Masna, al secolo Alessandro Masnaghetti, il capo ed editore di Enogea, che per me è la più bella cosa cartacea che sia dedicata al vino in Italia.
Ordunque, il Masna, dichiaramente filocartaceo, prima ha aperto il sito internet di Enogea, poi ha creato un applicativo per iPhone per le sue celeberrime carte dei cru e ora si è messo a vivacizzare (o far vivacizzare) anche una pagina Facebook pur essa enogeiana.
Ne scrivo perché la pagina di Facebook l'ho "scoperta" solo ieri, e sono stato il cinquecentesimo a cliccare "mi piace", ed è una gran bella pagina. Rilassata (testi brevi, flash sull'anteprima del Taurasi, giusto per dire una tra le ultime cose), rilassante (che bello leggere in breve, e in quel poco trovarci cose che vale la pena di leggere). A tratti perfino ironica (l'intervallo stile Rai in bianco e nero per Campi Bisenzio è una chicca) com'è tipico del Persichetti, alter ego del Masnaghetti sull'On the Road, la spassosa rubrica finale di Enogea, che, non me ne voglia Alessandro, è anche la prima cosa che leggo appena trovo Enogea nella cassetta della posta.
A chi mi segue e frequenta Facebook e non fosse già nei cinquecento dico: cliccate il "mi piace" della pagina di Enogea, non ve ne pentirete. Anzi.
Be', per essere uno che professa ignoranza in materia di web, cosa dobbiamo aspettarci in futuro? Gli ho domandato se per caso pensasse a un blog. Mi ha detto che per ora resta così.

22 gennaio 2012

Sciampagna

"Casimiro!" chiamò don Liborio.
 E il cammareri trasì con quattro buttiglie di sciampagna livate allura allura dalla ghiazzara. In un angolo del saloni c'era già conzato un tavolino con i bicchieri supra. Le buttiglie foro stappate, i bicchieri inchiuti.
"I signori soci si servano" fici don Liborio Spartà. "Ma prima voglio fare un brindisi di ringraziamento al signor sindaco Calandro e a tutti coloro che hanno aderito alla nostra iniziativa per la liberazione del dottor Bellanca. La pressione esercitata sul Prefetto dal sindaco e da noi ha dato il risultato voluto. Alla salute del dottor Bellanca!".
Andrea Camilleri, "La setta degli angeli", Sellerio 2011

21 gennaio 2012

Questo sì che è glamour

Angelo Peretti
Oh, caspita, non le avevo ancora viste. Poi una sera che tornavo a casa in treno e non avevo voglia di leggere cose troppo seriose e men che meno star lì a cianciare  col telefonino, ho fatto incetta di riviste in edicola, e tra le riviste ho preso anche Amica, che aveva un allegato dedicato alle sfilate delle collezioni primavera estate (moda) del 2012 e sull'allegato c'erano ben sei pagine pubblicitarie della Moët & Chandon con le foto di Scarlett Johansson. Volete che vi dica? Se la mega maison champagnista voleva darsi un'immagine glamour, be', ci è proprio riuscita.
In particolare, mi strapiace quella foto dove l'attrice è sulla scala e tiene appoggiata alla gamba un magnum di Champagne e la scala è addosso a una gigantesca colonna di flûte, vuote. E lei è in abito azzurrino cielo e sullo sfondo uno specchio monumentale e il tutto in una sala elegantissima (se non ho capito male, è il Trianon, la residenza costruita da Moët Jean-Rémy tra il 1805 e il 1817, a Epernay). Be', sì, è glamour. E pazienza se ci sono le flûte, che odio: mica devo berci dentro le bollicine, accidenti! Quelle son lì per far scena, e la fanno bene.
Si dirà: bella forza, con tutti i quattrini che hanno quelli della Moët & Chandon, capaci tutti. Nossignori, mica capaci tutti, perché d'aziende che investono fior di denari nell'advertising ce n'è un sacco, ma il risultato stavolta è davvero notevole.
Merito di Scarlett Johansson? Mah, credo sia merito soprattutto di Tim Walker, il fotografo che ha firmato la campagna.
La morale di tutto questo? Boh, che morale volete che ci sia? È glamour, ed è ben fatto. That's all.
Ah, no, invece la morale c'è: se dovete far pubblicità, affidatevi e dei professionisti, che è meglio.

20 gennaio 2012

Ma l'Amarone può ancora crescere?

Angelo Peretti
Stavolta l'Anteprima dell'Amarone conto di non perdermela. Per la cronaca: è il 28 e 29 gennaio, al palazzo della Gran Guardia, nel centro di Verona. L'anno passato ci feci una toccata e fuga, perché avevo altri impegni concomitanti. Stavolta l'ho messa in agenda: incrocio le dita. Perché sono curioso di tastare i vini, ed è di scena la vendmmia del 2008, ma anche, e sto per dire "soprattutto", voglio sentire cosa racconterà il professor Eugenio Pomarici, dell’Università Federico II di Napoli, sul posizionamento della filiera dell’Amarone sui mercati internazionali, e in particolare in mercati chiave come il Canada, la Svezia, la Germania e gli Stati Uniti. L'obiettivo, dice il comunicato stampa del Consorzio valpolicellese, è quello di "orientare efficacemente la futura politica dell’export".
Mi si domanderà: e perché mai dovrebbe saperla Pomarici 'sta cosa? Rispondo: perché ci ha già indovinato una volta, e dunque perché non potrebbe riuscirci di nuovo?
La prima volta fu nel 2006, e se si guarda alla storia amaronista è un secolo fa. Ma fu il momento dell'avvio di quella corsa che ha portato l'Amarone a crescere, crescere, crescere. In quantità e in prezzo. E Pomarici aveva previsto che lo spazio c'era, e lo scrisse in un libretto che probabilmente pochi hanno letto. Spiegava che la Valpolicella poteva spingere sull'acceleratore perché godeva di vantaggi strutturali che altri non mostravano di avere.
Si diceva, nella ricerca d'allora, che il "sistema Valpolicella" risultava complesso "perché agiscono come propulsori della dinamica una molteplicità di soggetti con caratteristiche dimensionali e di organizzazione dell’offerta molto diverse ma, a ben vedere, complementari. Vi sono le piccole imprese caratterizzate da una forte specializzazione nei vini Valpolicella soprattutto di elevatissimo pregio, fortemente caratterizzate dal territorio, con imprenditori di grandissima capacità relazionale, con politiche distributive molto selettive e orientate prevalentemente al mercato interno. Vi sono poi le medie imprese, di grande talento e esperienza nella produzione, che gestiscono una gamma molto ampia, affiancando ai vini Valpolicella, nei quali mantengono una specializzazione, prodotti di altre aree e che distribuiscono i loro prodotti in Italia ma anche, per una quota importante, all’estero. Operano, infine, grandi imprese che presentano una notevole capacità di innovazione e una notevole solidità e che gestiscono una gamma multiregionale e assai differenziata per fasce di prezzo e una molteplicità di canali di distribuzione in Italia e all’estero".
La citazione è lunga, capisco, ma è interessante ribadirla. Com'è interessante ripetere che queste tre tipologie d’impresa convivevano allora senza farsi (troppo) la guerra e senza farsi (troppa) concorrenza, perché di fatto avevano scelto di ritagliarsi mercati diversi, e questo consentiva di crescere ancora. Non solo: secondo Pomarici, i vari attori della filiera amaronista avevano messo in piedi una sorta di partership ampiamente diversificata, una "molteplicità di relazioni" che si esprimeva "sotto il profilo della fornitura e dell’acquisizione dei fattori di produzione".
La chiave del successo era questa: "Il sistema - cito la ricerca d'allora - è reso efficiente sotto il profilo produttivo da una rete di scambi di uve e vini tra diversi operatori che consente ai più di ottimizzare lo sfruttamento della propria capacità produttiva e/o commerciale e di valorizzare le specifiche competenze». In poche parole, commentavo io cinque anni fa, quello valpolicellese era un tipico caso di distretto industriale, di quelli che hanno fatto grande economicamente il nordest.
Bene. Da allora di acqua sotto i ponti ne è passata tanta, tantissima. Sono curioso di sentire qual è la nuova fotografia che Pomarici ha fatto dell'Amarone e della Valpolicella. Per cercar di capire se il treno correrà ancora.

19 gennaio 2012

Stephane Aladame e la Borgogna bianca

Mauro Pasquali
Chi pensa alla Borgogna generalmente va subito con la mente al pinot nero e ai suoi Grand Cru, ottenuti da questo straordinario ma scorbutico vitigno. Poi, subito dopo, il pensiero corre ai grandi bianchi di Borgogna, in primis allo Chabils, nelle sue varie declinazioni. Infine, pochi arrivano (e hanno potuto assaggiare) alla Borgogna minore, ma che poi tanto minore non è: la Côte Chalonnaise e quello scrigno di Premier Crù che è Montagny. Qui, partendo da meno di 3 ettari di vigneto a soli 18 anni, dopo gli studi a Beaune, Stephane Aladame ha lentamente ma costantemente ingrandito il suo scrigno (perché tale è) fino agli attuali 7 ettari dei quali ben 6 in Premier Cru. E chi conosce la Borgogna sa cosa questo significhi.
Oggi, a neppure quarant’anni, Stephane è uno dei grandi alfieri dello chardonnay di Borgogna, riconosciuto tale non solo in Francia ma ovunque sono stati assaggiati i suoi vini. Ecco: lui è rimasto quel ragazzo di diciott’anni, quasi timido e più avvezzo a parlare con le sue viti che in pubblico. Lascia volentieri la parola ai suoi vini che, in verità, molto hanno da dire.
Agricoltura biologica da una decina d’anni, vigne di diverse età (da venti a novant’anni), per un totale di circa 40.000 bottiglie, uso di legno (ovvio in Borgogna) ma anche di acciaio: questo è Stephane Alamande. E la sorpresa maggiore è proprio l’uso molto parco del legno e una lenta ma convinta conversione alle botti grandi e all’acciaio. Tanto che il vino che più mi è piaciuto della breve ma intensa degustazione, è proprio uno chardonnay che il legno non lo ha visto.
Cremant de Bourgogne Blanc Domaine Stephane Aladame
L’unico vino fatto con uve non di proprietà. Ancora per poco, perché dalla prossima annata anche questo Cremant sarà interamente prodotto con lo chardonnay che Stephane produce.
Naso complesso con profumi forse compressi ma con evidente e forte mineralità. In bocca entra morbido tanto che non gli daresti i soli 6 grammi/litro di zuccheri residui. Buona sapidità e grande salinità. Finale morbido ma pulito e di buona lunghezza.
Due beati faccini :-) :-)
Montagny 1er Cru Découverte 2009 Domaine Stephane Aladame
Il frutto tropicale è evidente ma la cosa che stupisce di più è la grande freschezza e salinità, accompagnate da note minerali e notevole sapidità. Il vino che mi è piaciuto di più: fresco, pulito, lungo. Uno Chardonnay che invoglia a bere il secondo bicchiere. E, poi, anche il terzo.
Tre beati faccini :-) :-) :-)
Montagny 1er Cru Les Maroques 2008 Domaine Stephane Aladame
Grande complessità e profumi che spaziano dalla frutta gialla alla speziatura. La nota salina, caratteristica dei vini di Stephane Alamande, ritorna marcata ma non prepotente. La fermentazione e la permanenza in legno del 30% del mosto si sente ed è evidente, non perfettamente bilanciata dal rimanente che ha sostato solo in acciaio. Da riassaggiare dopo la sostituzione della barriques con le botti grandi.
Un faccino e quasi due :-)

18 gennaio 2012

Eugenio e la sincerità e il marzemino

Angelo Peretti
A volte basta un aggettivo. L'aggettivo giusto, quello che risolve tutto il discutere sul vino trentino e sulla trentinità e sulla trentinitudine enoica e su tutto quel che volete in fatto di vino della terra di Trento me l'ha detto un vignaiolo tridentino un po' eretico che risponde al nome di Eugenio Rosi. Mi ha detto che per lui prima di tutto il vino dev'essere sincero.
Ecco: sincero. L'aggettivo è quello giusto, non ci sarebbe da aggiungere altro. Ero a Piacenza, al Mercato dei vini organizzato dalla Fivi, la Federazione dei vignaioli indipendenti, cui Rosi aderisce. E sono andato via portandomi in tasca una bella lezione: sincero, il vino per esprimere una terra e un vignaiolo e un vitigno e un'idea di vino ha da essere sincero. Bravo.
I vini di Eugenio Rosi li avevo tastati a Riva del Garda in agosto, quando c'era stata la rassegna dei Vignaioli del Trentino. Mi avevano parecchio colpito. Il marzemino sapeva di marzemino, il bordolese era un bordolese, il passito aveva un equilibrio che raramente ne trovi di uguali, e di più è difficile chiedere, epperò c'era il di più ed aera che dietro ci sentivi un progetto, un'idea costante, che traversava il vino. E in questo c'era sincerità, sì.
Vallagarina Poiema 2008 Eugenio Rosi
Fatto col marzemino, un terzo circa appassito per un mesetto o poco più. Che naso che ha! Frutto e geranio e pepe. Strepitoso. E il vino è avvolgente ed elegante e pulito. Frutta matura, polpa ma senz'eccesso, e beva. Tredici gradi. Molto buono. Molto.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)
Vallagarina Esegesi 2006 Eugenio Rosi
Taglio bordolese, cabernet e merlot. E classicamente bordolese è al naso. Il vino è ancora in divenire. Per ora (per allora, agosto, ripeto) ci sono ancora legno e alcol (intorni ai quattordici) un po' scomposti, e dunque c'è bisogno di aspettare con pazienza.
Per ora (per allora) due lieti faccini :-) :-)
Vallagarina Doron 2007 Eugenio Rosi
Marzemino appassito. Naso elegantissimo. Spezie e frutto macerato e fiore in pot-pourri. In bocca sa di uva. Sissignori, di uva, e non si può volere di meglio. E la dolcezza (un centinaio di grammi residui!) e la freschezza stanno in perfetta bilancia. Fantastico.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)

17 gennaio 2012

Wine blog: generalisti o specialisti?

Angelo Peretti
Mi pare che nel mondo del wine blogging italiano si siano tracciate o si stiano tracciando quattro o cinque diverse strade.
La prima è quella più classica, il blog tradizionale, solitario, individuale e individualista, e cito come archetipo della categoria, giusto per capirci, Vino al Vino di Franco Ziliani, ma anche, per fare un altro esempio, la Kyle Phillips's Italian Wine Review, scritta in inglese e interamente orientata alla descrizione di degustazioni di vini (lo metto tra gli italiani, questo blog, perché Kyle vive in Toscana da una vita e parla un ottimo italiano con inflessione tosca).
La seconda via è quella dei vignaioli blogger, che non si limitano però a dire di sé e della propria vigna e cantina, ma spaziano abbastanza ad ampio raggio nel settore. Due esempi su tutti: Giampaolo Paglia col suo blog di Poggio Argentiera, che non va giù tanto per il sottile quando si tratta di parlare di questioni di categoria, e Armin Kobler col Weinhoh Kobler Weblog, il blog italo-tedesco della sua azienda altoatesina.
La terza corrente, che ha buon successo di audience, si indirizza verso una scrittura a più mani, in pool, buttando l'occhio non solo (e non tanto) all'attualità, ma anche (e talvolta soprattutto) al gossip e alla provocazione, con uno stile di scrittura piuttosto brillante. Il caso lampante è quello di Intravino, che in poco tempo ha assunto una notorietà mica da scherzi.
L'altra strada è quella del blog specialistico, che si focalizza su un unico territorio, su un'unica titopologia di vino, addirittura su un'unica denominazione. Si tratta di un'opzione ancora poco utilizzata, ma in crescita. In questo scenario credo di essere stato un pioniere, visto che sono ormai passati cinque anni da quando fondai Bardoc.it, interamente dedicato al Bardolino, poi da me messo messo in stand by quando sono passato a incarichi istituzionali per la denominazione. Ma ora ci sono Le Mille Bolle Blog, sempre di Ziliani, per il mondo delle bollicine e solo per quelle e poi il sorprendente (e informatissimo, accidenti se lo è) Trentino Wine Blog per il vino della provincia tridentina, e alla categoria ascriverei anche il blog dei Saggi Bevitori di Alessandro Carlassare, che è un punto di riferimento per chi voglia informarsi sul mondo prosecchista.
Poi ci sono i blog delle testate cartacee. Il migliore credo sia Vino di Fabio Rizzari e Ernesto Gentili, curatori della guida enoica de L'Espresso, ospitati, appunto, sul portale della testata.
Tralascio l'altra strada, quella dei blog aziendali, gestiti dagli uffici commerciali delle singole aziende: non mi pare abbiano un grande successo, ed è logico, a mio parere (ma mica pretendo di avere ragione!) che sia così.
Mi pare che il panorama a disposizione di chi ama leggere di vino sia piuttosto ampio: ce n'è per tutti i gusti. E aggratis, per di più.
C'è però un'ideuccia che è filtrata sulla rete nei giorni scorsi e che mi sembra intrigante. L'ha lanciata Carlo Macchi su WineSurf. Dice Macchi, parlando ai wine blogger: "Perché non federiamo i nostri giornali in una specie di testata multipla, dove una parte è pubblica ed una a pagamento? L’abbonamento potrebbe essere a tutte o ad una sola rivista. In altre parole io potrei fare l’abbonamento annuale cumulativo a (per esempio) Porthos, Winesurf, Intravino, Wine Blog, Vinoalvino, Lavinium etc a X euro, oppure solo l’abbonamento ad una o più di queste riviste ad una cifra inferiore, in cui sia compreso però anche un 'tot' per un fondo comune da dividersi a seconda dei contatti o in altra maniera". La proposta può apparire bizzarra ma è interessante. Una specie di Sky del wine blogging italiano, suddiviso tra più canali. Per chi avesse voglia di cimentarcisi, potrebbe essere la nuova via, quella che mette insieme parecchie delle altre. Perché no?

16 gennaio 2012

Ciao, Bepi

Angelo Peretti
Faceva freddo, ieri sera. Più freddo delle altre sere. Forse arriva l'inverno. Stavolta arriva davvero, credo.
Mi si è fatta gelida la sera quand'ho saputo che il Bepi se n'è andato. Giuseppe Quintarelli è morto. Con lui scompare l'Amarone della tradizione. E muore l'idea stessa di classicità valpolicellese. Senza se e senza ma. Un'epoca è finita. Per sempre.
Gino Veronelli fra le sue ultime cose lasciò scritto del suo "inginocchiarsi di fronte a una bottiglia di Amarone della Valpolicella Classico Superiore Monte Cà Paletta 1978 e memorare i poeti". Ecco, capita, stappando un vino del Bepi, che si resti attoniti. Davanti, intendo, a quei vini così possenti, eppure anche così eleganti. La finesse, dicono i francesi, la finezza. Coi vini del Bepi capisci che la finezza è tanto. Tanto.
Capiterà ancora, fortunatamente, di godere dello stupore di questi sorsi, ché i suoi sono vini che sanno sfidare il tempo, e lo faranno a lungo se si avrà la pazienza di aspettarli. Occorre pazienza, come l'aveva lui ad attendere il vino, che si compisse. Anni.
Avrei voluto, ieri sera, d'acchito, scendere in cantina a prendere una bottiglia di quelle del Bepi. Per ricordarlo con uno dei suoi rossi. Ho poi deciso d'attendere. Forse l'attesa è il miglior ringraziamento che io gli possa tributare.
Il resto sta nei miei ricordi.

15 gennaio 2012

Mesceva continuamente

Mi fece bere, quella sera, una quantità enorme di vino. Mesceva continuamente e beveva per primo obbligandomi, per rispetto, a fare altrettanto. Pur essendo riuscito a bere un terzo di quel che aveva bevuto lui, mi alzai con la testa che pareva un alveare, meravigliandomi con me stesso dell'equilibrio che riuscivo, o che credevo di riuscire a mantenere nel camminare. Lui era impassibile e freddo come se avesse bevuto caffè e latte, sicuro di sé e ben orientato, sebbene vedesse pochissimo, e neppure dove metteva i piedi, a causa di un glaucoma che gli appannava gli occhi.
Piero Chiara, "Il patrizio di Pfaffikon" in "L'uovo al cianuro e altre storie", Mondadori 1979

14 gennaio 2012

Preparatori d'Uva ora anche a Verona

Angelo Peretti
Di solito si scrive: "riceviamo e volentieri pubblichiamo". Però stavolta è vero: ho ricevuto un comunicato del Gruppo Italiano Vini e ne pubblico i contenuti molto volentieri. Mica perché è il Giv. Il fatto è che da veronese la notizia mi fa piacere, e credo si tratti di qualcosa che farà del bene alla viticoltura della mia terra. Che potrà far del bene, intendo, anche se poi dipende dai vignaioli.
Il fatto è questo: le cantine Bolla di Pedemonte, nella Valpolicella Classica, sono diventate una sede distaccata della Scuola di potatura della vite dei Preparatori d’Uva friulani Marco Simonit e Pierpaolo Sirch. La Bolla, è noto, da qualche anno è entrata nell'orbita del Gruppo Italiano Vini. E a farsi promotori dell'apertura della scuola sono stati Christian Scrinzi, direttore ed enologo di casa Bolla, e Andrea Lonardi, responsabile viticolo del Giv, dopo che hanno a lungo già collaborazione con Simonit e Sirch nelle tenute del gruppo.
Il primo ciclo di tre giorni di lezioni si terrà dal 26 al 28 gennaio 2012 e sarà dedicato alla potatura invernale: venti ore di corso focalizzate su teoria e pratica della potatura ramificata sulle forme di allevamento a spalliera e sulla pergola veronese. Alla parte teorica si affiancherà quella pratica in vigneto.
Nel mese di marzo si terrà la seconda sessione di due giorni (dodici ore), dedicata alla potatura primaverile, e vi si affronterà teoricamente e praticamente la gestione del verde.
Il programma completo del corso è consultabile sul sito www.simonitesirch.it, e sullo stesso sito ci si può anche iscrivere alle lezioni on-line. Leggo sul comunicato del Giv che i corsi - a numero chiuso fino ad esaurimento dei posti disponibili - sono organizzati dai Preparatori d’Uva in collaborazione con il professor Maurizio Boselli del dipartimento di biotecnologie dell’Università di Verona e il professor Attilio Scienza della Facoltà di agraria dell’Università di Milano. Buon lavoro.

13 gennaio 2012

Ah, il Pineau des Charentes!

Angelo Peretti
Allora, diciamo che i francesi hanno almeno due cose che gli invidio, in fatto di vini. La prima è lo Champagne, e questo è abbastanza ovvio. L'altra sono i vini fortificati. Come il Rivesaltes, nella zona dei Pirenei orientali, e ho ancora qualche bottiglietta del meraviglioso '99 di Michel Chapoutier. E poi il Pineau des Charentes, fatto col mosto e col Cognac, che blocca la fermentazione. Lo fanno nella regione del Poitou-Charentes, nell'arrondissement di Cognac, Francia centro-occidentale. È un'appellation controlée, una doc diremmo noi.
Chiaro, gli invidio anche ben altro (per dire, i Bordeaux vecchi, gli elegantissimi Pinot Noir della Borgogna, il Sauvignon Blanc della Loira e tant'altro), ma diciamo che queste sono due cose straordinarie davvero. L'una famosissima, le bolle champagniste, l'altra ben poco nota dalle nostre parti, i fortificati.
Al primo Mercato dei Vini dei Vignaioli indipendenti, a Piacenza, c'era anche un piccolo manipolo di vigneron francesi. Tra di loro, uno veniva da Châteauneuf-sur-Charente. Era Gérard Simonnot, il presidente della Fédération des Vignerons indépendants des Charentes, che raggruppa ben settantacinque vignaioli di Charente e di Charente-Maritime. E aveva lì ovviamente i suoi vini e i suoi Cognac. Me ne sono comprato un paio, il bianco e il rosé, e ora li ho bevuti e sono spettacolari. Chi ama i vini dolci lo sappia.
Ecco, la questione dei vini dolci è complicata. Spesso sono stucchevoli. Per compensare lo zucchero ci vuole l'acidità. O l'alcol. Qui c'è l'alcol (sui diciotto, diciotto e mezzo) e c'è anche fascinoso equilibrio.
Non so se Simonnot sia importato in Italia. Forse sì. Se vi capita, prendete i suoi Pineau. E sono buonissimi anche i Cognac.
E pensare che stavo per andarmene senza essermi fermato al suo tavolo...
Pineau des Charentes Blanc Gérard Simonnot
Colore giallo intriso di sfumature dorate. Albicocca disidratata, fiori essiccati, ananas candito. Dolcezza invitante, densa di spezia dolce.
Due lieti faccini :-) :-)
Pineau des Charentes Rosé Gérard Simonnot
Colore ambrato più che rosato. E poi ciliegie sotto spirito, liquore di prugna, prugne sotto Cognac, mandorla, spezia da dolcetti natalizi tedeschi. Una complessità che ti lascia appagato, e riesci a bere il secondo e il terzo bicchierino, ed è giocoso e gioioso compagno della conversazione. Dolcezza e alcol in perfetto equilibrio. Buonissimo.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)

12 gennaio 2012

Venica e il video e l'artigianalità

Angelo Peretti
Le mail che non ti aspetti e che ti sorprendono. Una l'ho ricevuta ieri da Giampaolo Venica. Chi sa di vino friulano questo nome lo conosce.
Mi scrive: "Sono un produttore di vino friulano, l'azienda di famiglia si chiama Venica & Venica. Ho creato un video di presentazione per la mia azienda dove il consumatore vede passo dopo passo l'evoluzione della vite durante l'arco di un anno. Credo sia una maniera nuova di coinvolgere il pubblico e farlo sentire più vicino a quello che trova nel bicchiere. Lascio a voi giudicare l'idea e spero possa trovare uno spazio sul vostro sito".
Di solito, quando ricevo mail autopromozionali sono diffidente. Lo ero anche stavolta. Però sono andato a vedere il video su YouTube. Un lavoro artigianale, artigianalissimo, realizzato mettendo insieme una serie di fotografie in sequenza e in dissolvenza. Ma la serie di foto pazientemente scattate alla stessa vigna nell'arco di un anno è davvero affascinante, e dunque consiglio la visione. E dico anche che con le nuove tecnologie digitali chiunque è in grado di autoprodurre materiale per la promozione della propria realtà: ci vuole impegno, e anche una buona dosa di passione, ma ci si riesce. Un bell'esempio per altri produttori, e dunque eccomi qui che ne parlo.
Il video lo potete vedere cliccando qui sotto.

11 gennaio 2012

Secco, spumante di mele

Angelo Peretti
Quali sono i paesi che producono più vini con le bolle? Oh, sì, a fare una simile domande c'è da scatenare l'ennesimo conflitto italo-francioso: prima l'Italia, no, prima la Spagna! Evabbé, ecchissenefrega? Comunque, dicunt che Italia e Francia cubino suppergiù la stessa cifra di bollicine, solo che quelle francesi son soprattutto metodo champenoise, mentre fra quelle italiche prevale l'autoclave. Il bello però viene per il terzo posto: chi ci sta dietro a Francia-Italia? "Io lo so, io lo so, la Spagna, la Spagna!" Ecco, sì, gli spagnoli ci hanno i Cava, e qualche volte gl'italiani durante le vacanze a Maiorca o in Costa del Sol qualche Cava l'hanno bevuto. Ma se per il primo posto è uno sprint sul filo di lana tra Francia e Italia, per il terzo posto occorre pure andare al fotofinish, e stavolta è tra Spagna e - udite udite! - Germania. Sissignori: la Germania è uno dei maggiori produttori al mondo di spumante. Pare che Italia e Francia stiano intorno ai 370-380 milioni di bottiglie, mentre Spagna e Germania sono sui 310-320 milioni, mica tanto di meno delle corazzate franco-italiane.
Bene. Assodato che in Germania fan tanto vino bollicinoso, resta un'altra informazione da prendere in esame. Questa: com'è che i tedeschi chiamano i loro spumanti? La risposta è: Sekt. Già, in Germania il vino con le bolle si chiama Sekt. Lo capite adesso perché quando vengono in Italia e han voglia di una bollicina i teutonici chiamano Prosecco qualunque spumante trovino? Perché il termine Prosecco - Pro-Secco - richiama terribilmente, nel suono e nella scrittura, il loro Sekt.
La premessa è lunghissima, ma ci voleva tutta per spiegare come mai, girando il mercatino di Natale di Brema, Germania, non m'è sembrato bizzarro più di tanto vedere in vendita, intorno ai sei euro e mezzo (che è mica pochissimo), delle bottiglie di Pomme Belle Apfelsecco. Già, non Apfel (cioè mela) Sekt (ossia spumante di mela), bensì, in italiese, Apfel-Secco. Secco (Prosecco) uguale Sekt, per i tedeschi, e allora se fai un vino di pomi, perché non chiamarlo, all'italiana, Secco? Eccoci qua: se qualunque cosa che abbia un po' di alcol e anche le bolle per i tedeschi è Secco (Pro-Secco), siamo fritti. E infatti temo che un po' lo siamo.
Che poi, 'sto Pomme Belle Apfelsecco, ha un vestitino che pare proprio quello di uno spumante. Bottiglia da spumante. Tappo a fungo da spumante. Etichetta filo-vinosa. Descrizione del terroir d'origine: "Aus dem Alten Land". Lo fa la Herzapfelhof, specializzata nella produzione e nella lavorazione delle mele, appunto.
Detto, questo, il Pomme Belle, il vin de pomi, l'ho comprato, aperto e provato. Colore giallo dorato chiaro, carino da vedere. Naso da mela golden croccante, che in qualche modo somiglia ai toni di certi Prosecchi, appunto. In bocca è succo di mela piuttosto semplice. Non c'è grande profondità. Una bevanda frizzante con un po' di alcol (intorno ai 6 gradi).

10 gennaio 2012

Trentodoc: la verticale e l'intruso

Mauro Pasquali
Del Trentodoc è persino superfluo parlare: più di un secolo di storia e quasi dieci milioni bottiglie prodotte all’anno parlano da sole e raccontano della prima doc italiana di un metodo classico, di tanti produttori, piccoli e grandi e di un vitigno principe: lo chardonnay che ormai caratterizza in modo quasi monotono un’intera regione.
Sono passati ormai dieci anni da quanto la Cesarini Sforza, fra le prime aziende a credere nel Trentodoc metodo classico, è entrata in quel colosso della cooperazione vitivinicola che è il gruppo LaVis. Dieci anni durante i quali mantenendo la sua autonomia, Cesarini Sforza ha potuto attingere a quell’immenso patrimonio di terreni vitati del gruppo LaVis.
Le vigne sono situate nella zona a nord di Trento, sulle colline che fiancheggiano il corso del torrente Avisio e in Val di Cembra e sfruttano appieno le caratteristiche morfologiche e climatiche della zona, permettendo di ottenere uve adattissime alla spumantizzazione.
Dopo dieci anni dall’acquisizione da parte del gruppo LaVis, ecco l’occasione di una verticale che parte da molto lontano, quando Cesarini Sforza era ancora autonoma e che mi ha dato diverse conferme e qualche piacevole sorpresa.
Trento Millesimato 1992 Cesarini Sforza
Nasce lontano, quasi vent’anni fa questo Trento doc. Soprattutto, nasce lontano come tecnica produttiva e composizione: 100% chardonnay e una maturazione sui propri lieviti del vino base per sei mesi. Poi, senza fermentazione mallolattica, la messa in bottiglia, per sboccarlo quasi vent’anni dopo. Il risultato è un prodotto straordinario, equilibrato, armonico. Il naso si apre con una leggera (!) nota ossidativa, un che di croissant all’albicocca. In bocca la sapidità, nonostante l’età, è notevole, come pure l’eleganza. Una lunghezza che sembra non finire mai, chiude una bocca pulita e piacevole.
Tre beati faccini :-) :-) :-)
Trento Millesimato 1999 Cesarini Sforza
Sette anni più giovane e l’ingresso del pinot nero per il 20% caratterizzano questo millesimato, nettamente meno elegante del precedente ma, comunque, con una bella mineralità e salinità. La malolattica è svolta completamente e si sente in bocca, dove i toni morbidi prevalgono. Un vino, oserei dire, quasi “muscoloso”
Due beati faccini :-) :-)
Trento Tridentum 2001 Cesarini Sforza
Cambia il nome e, pur mantenendo uve e percentuali del precedente, lo chardonnay sembra prevalere aromaticamente, apportando un frutto tropicale quasi invadente mentre un che di affumicato avvolge la bocca. Chiude sfuggente, quasi metallico. Sicuramente un vino giunto alla fine della sua vita.
Un faccino di stima :-)
Trento Tridentum 2002 Cesarini Sforza
L’annata, fredda e piovosa, ha influito sul risultato finale. Il naso elegante e fine nasconde una bocca vagamente anonima e corta. L’acidità, nonostante l’annata, è poca e la sapidità si fa desiderare. Sorge un dubbio: e se fosse ancora troppo giovane? Troppo contrasto tra il naso e la bocca, come se quest’ultima non esprimesse ancora tutto il potenziale. Vorrei riprovarlo fra tre-quattro anni.
Due faccini di stima :-) :-)
Trento Tridentum 2004 Cesarini Sforza
Naso complesso ed elegante. Una bocca piena. Un prodotto interessante, evoluto ma, probabilmente, con poca vita davanti a sé. Buon finale pulito e pieno.
Un faccino e quasi due :-)
Trento Tridentum 2005 Cesarini Sforza
Annusandolo e assaggiandolo continuava a tornarmi in mente qualcosa che non riuscivo a individuare. Poi l’illuminazione: sono tornato al Millesimato 1992 e vi ho ritrovato lo stesso filo conduttore. Un naso complesso e armonico. Una bocca sapida e piena. Un grande vino oggi ma con una prospettiva di vita davanti a sé paragonabile a quella del primo campione. Da riprovare, perché no?, tra dieci-quindici anni.
Tre beati faccini :-) :-) :-)
Trento Aquila Reale 2004 Cesarini Sforza
L’intruso. O, meglio, l’evoluzione. Il vino (100% chardonnay) fa la malolattica in legno. E si sente nella vaniglia forse un po’ eccessiva. Anche il liqueur d’expedition è forse un po’ invadente ma è questione di gusti per chi, come me, predilige i pas dosè. Il naso sa di agrumi canditi. E poi vaniglia e leggerissima speziatura. In bocca prevalgono sapidità e acidità. Un vino interessante ma, come dire, in divenire. Da riprovare nelle prossime annate, una volta messi a punto alcuni particolari.
Un faccino e quasi due :-)

9 gennaio 2012

Insisto, all'Iper ci sanno fare

Angelo Peretti
In giugno scrissi a proposito della linea Grandi Vigne che si trova sugli scaffali dei vini all'Iper. Grandi Vigne è la private label dell'Iper. E l'Iper (La grande i) si fa imbottigliare con propria etichetta dei vini a denominazione (o anche a indicazione geografica) da piccole-medie aziende o da cooperative in mezz'Italia, e il nome del produttore è scritto nella retroetichetta. Recensii a quel tempo una serie di bottiglie che avevo acquistato sullo scaffale, e a chi mi diceva che sarebbe stato utile che di altri vini della medesima linea avessi ancora parlato replicai che sì, sarebbe stato bello, ma mica potevo fare un mutuo, e che magari se quelli dell'Iper me li avessero fatti provare... Insomma, ecco che a casa mi è arrivata una scatola dall'Iper, e dentro altre sei bottiglie. Che ho provato, confermandomi nella prima impressione: il buyer dell'Iper ci sa fare, nella scelta dei vini e dei vignaioli, e mira - mi par di aver capito dagli assaggi, ormai ripetuti - a mettere in bottiglia vini fatti per stare in tavola, mica per la degustazione, che poi quella di stare appunto in tavola col cibo dovrebbe essere la prima missione di un vino.
Qui di seguito, dunque, proseguo con le mie impressioni, e di ciascun vino dico il produttore, così come si legge nella retro. Aggiungo solo che, con questi, sono arrivato a tredici vini tastati nella linea Grandi Vigne e non ce n'è uno che non riberrei, ed anzi ce n'è qualcuno che ricomprerei immediatamente (vedi il Negroamaro qui sotto, oppure il Pecorino della volta scorsa). Mica male per una private label della grande distribuzione, mica male davvero. Già, all'Iper ci sanno fare.
Salento Negroamaro Rosso La Galiarda 2009 Grandi Vigne - Terrulenta
Bel vino, che unisce materia e beva. Amarena, tanta. Succosità, tannino presente ma non invasivo, e inaspettata freschezza. Una piacevolissima sorpresa.
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)
Chianti Classico La Vittoria 2007 Grandi Vigne - Borgo Scopeto
Ecco un Chianti emblematico dello stile Grandi Vigne: è fatto proprio per la tavola. Frutto croccante e scattanti accenni verdi e freschezza. Buono.
Due lieti faccini :-) :-)
Sagrantino di Montefalco La Palombara 2005 Grandi Vigne - Terre de la Custodia
Succoso nel frutto rosso. Lungo, denso. E c'è parecchia freschezza ad aiutare la beva. Magari è ancora un po' segnato dal legno, ma si beve.
Due lieti faccini :-) :-)
Cannonau di Sardegna La Fumosa 2008 Grandi Vigne - Piero Mancini
Altro rosso dalla beva esemplare. Fruttino e sapidità, il mix ideale per stare in tavola senza troppo sussiego. Un buon bicchiere quotidiano.
Un faccino e quasi due :-)
Oltrepò Pavese Cruasè Valli dei Lanceri Grandi Vigne - Tenuta La Costa
Per avvicinare il rosé oltrepadano metodo classico fatto col pinot nero. Una bolla ben fatta, e ha buon fruttino, ma la vorrei più cremosa.
Un faccino e quasi due :-)
Moscato d'Asti Frati e Mottura 2010 Marco e Vittorio Adriano
Dipende cosa volete da un Moscato. Se è la dolcezza, allora fa davvero per voi. Se, come nel mio caso, la croccantezza del frutto, allora meno.
Un faccino :-)

8 gennaio 2012

Il capretto al forno

Il sindaco Tìndaro Dedomini una matina s'affacciò dal finestrone e si rivolse alla genti che addimannava pani, parlò a longo, chiamò a tutti "fratelli", si fece viniri le lagrime agli occhi per le sofferenze che i suoi concittadini pativano. Doppo, siccome sò mogliere da un quarto d'ora lo tirava per la giacchetta, salutò i montelusani e si andò a sbafare un capretto al forno che era in tavola, appunto, da un quarto d'ora.
Andrea Camilleri, "Il re di Girgenti", Sellerio 2001 

7 gennaio 2012

Bordeaux: la voglia di farsi del male

Angelo Peretti
A volte c'è voglia di farsi del male, nel mondo del vino. Certo, criticare è cosa buona e giusta, e se si vede che da qualche parte si stanno facendo delle forzature, bisogna dirlo. Ma a volte si esagera. Parrebbe questo il concetto che Denis Saverot esprime nell'editoriale del numero di dicembre della Revue du Vin de France. Parlando di Bordeaux. Perché, dice, "in virtù di un paradosso molto francese, quello di Bordeaux è diventato il più criticato dei vigneti francesi. Vini troppo cari, gusto standardizzato, un ritardo sulla coltivazione 'bio', le accuse sono così vivide che ci si dimentica perfino che il nome stesso di Bordeaux altro non è, per molti nel mondo, che l'altro nome del vino".
Ha ragione, accidenti: non me ne voglia chi adora la Borgogna, ma per me il vino rosso è quello di Bordeaux. Perché, sì, come dice Saverot, quello è il vigneto "più copiato, quello classificato da più tempo, il crogiolo dei cru più cari, la patria di vitigni ormai mondiali". E questi meriti vanno riconosciuti. Così come va capito, dico io, che sono le quotazioni stratosferiche dei grandi bordolesi, e la loro celebrità, a far reggere il mercato, da quelle parti.
Però, lo ammetto, da fan dei rossi bordolesi lo dico anch'io che c'è qualcosa che non mi torna più da quelle parti: tanto alcol, tanta materia. Preferivo la beva e la finezza del passato. Tant'è che preferisco comprare, se posso, le annate fino all'83, all'85, ché poi anche a Bordeaux si son parkerizzati, ed hanno cercato più polpa, più concentrazione. La soluzione, per me, è quella di comprare le bottiglie delle annate più magroline, che hanno più beva e costano molto, molto meno. Io faccio così, e non me ne pento.

6 gennaio 2012

Aglio

Invisibile ma presente.
Inconfondibile. Solo lui era così.
E sembrava impossibile che fosse lì dentro.
Eppure...
Entrato nella stanza, Ernesto Cervicati si era improvvisamente fermato davanti a quel muro fantasma, ma dotato di una sua solidità. Aveva annusato. Una, due, tre volte, tirando su discretamente con il naso.
Non c'era da sbagliarsi, era odore di aglio.
Andrea Vitali, "Zia Antonia sapeva di menta", Garzanti 2011

5 gennaio 2012

Un po' di Champagne

Angelo Peretti
L'altra sera mi sono fatto una bevuta di Champagne. Per festeggiare con gli amici. Ma anche perché sto cercando un degno sostituto di quello che è stato fino all'estate passata il mio Champagne "della casa", ossia il quasi insostituibile - perché è buonissimo e perché ha un superbo rapporto qualità-prezzo - Réserve di Michel Furdyna.
Ne abbiamo stappati una decina, di Champagne (con cotechino e salsa pearà, giusto per onor di cronaca). E qualcheduno di buono buono l'abbiamo trovato, e ad un prezzo associabile a quello del Furdyna, e in un caso addirittura sotto. Ma, accidenti, i due che mi sono piaciuti di più sono esauriti presso il fornitore (on line) da cui li avevo presi. Che rabbia!
In ogni caso, ecco che cosa consiglio.
Champagne Brut Tradition Thibault-Desbois
Se vi piace lo Champagne morbido, cremoso, che ricorda la pasticceria alla frutta e alla vaniglia, questo fa per voi. Da beva disimpegnata. Viene 21,60 euro su Wineandco. Lo riberrò.
Due lieti faccini :-) :-)
Champagne Brut Tradition J. Charpentier
È il più serio candidato a diventare il mio vino-speritivo di casa, anche perché ha davvero un rapporto qualità-prezzo incredibile. Secco, affilato, teso, floreale. Buono. Su Wineandco lo trovate a 16 (diconsi sedici) euro la bottiglia: imbattibile per via del prezzo. Già comprato, comunque, in opportuna quantità.
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)
Champagne Brut Améthyste Louis Barthélémy
Accidenti, che buono! Pieno, denso, fruttatissimo, e poi nocciola, brioche. Bel sale. Lunghezza considerevole. Peccato sia esaurito. Su Chateauonline veniva 24,90 euro la bottiglia.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)
Champagne Brut Sélection Jean Diot
Ecco, se non fosse esaurito me ne comprerei un mezzo bancale. Mi piace, accidenti se mi piace, con tutti quegli agrumi: mandarino, arancia rossa, kumquat. E poi la brioche all'albicocca e il pane appena sfornato. E gran sale, e beva. Veniva 21,90 euro su Chateauonline e mi pento di non averlo assaggiato in tempo per riordinarlo. Chiunque lo rintracciasse è pregato di darmene notizia.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)

4 gennaio 2012

Signori champagnisti, adesso esagerate!

Angelo Peretti
Che io sia un fan scatenato dello Champagne credo sia abbastanza noto a chi mi legge. Ma quand'è troppo è troppo, accidenti! Nel senso che nella difesa ad oltranza della loro peculiarità, gli champagnisti mi pare stiano proprio esagerando.
Leggo sul numero di dicembre della Revue du Vin de France una notiziola - giusto un trafiletto nella colonna delle brevi - nella quale si dice che gli Champenois (ossia i produttori di Champagne) continuano la marcia verso la difesa del loro nome, il che, mi permetto di chiosare, è cosa buona e giusta. Epperò, scrive la Revue, "l'ultima vittima in ordine di tempo, è la denominazione Fleurie-en-Beaujolais, per il suo storico lieu-dit Champagne". Ora, va chiarito che il lieu-dit - o anche un climat - è qualcosa di simile ad una piccola sottozona. Un lieu-dit, un "luogo detto", un "posto che si chiama" insomma, è un'area ben specificata nella quale storicamente vengono vini dal carattere spiccato di territorio, che per questo sono identificati facedo riferimento a quel particolare pezzo di terra. Insomma, una bella cosa, e nel Beaujolais, dalle parti di Fleurie, c'è un "posto che si chiama" Champagne dove da sempre si fa un Fleurie particolare, e alcuni produttori della zona lo scrivono sull'etichetta dei loro rossi a base di gamay. Ora, gli champagnisti sostengono che quelli di Fleurie non possono usare quel nome, Champagne. E io dico: non vi pare di esagerare? Ma che fastidio vi dà se c'è un rosso del Beaujolais che viene da un pezzetto di terra che da quelle parti chiamano Champagne? Cari maestri della bollicina, così non va. E invece loro insistono: "Les Champenois demandent son interdiction", scrive la Revue.

3 gennaio 2012

Buoni propositi: la Champagne Diet


Angelo Peretti
È istruttivo leggere le riviste femminili. Le sfoglio quando sono in vacanza. D'estate, oppure a Natale. Si imparano sempre cose nuove. Per esempio, ho capito che posso avere buoni propositi per il 2012: mi metto a dieta. Sì, perché su Più Sani Più Belli ho letto che c'è in giro una dieta nuova. L'ha ideata Cara Alwill Leyba, scrittrice e blogger, americana. In che consiste? Mi affido alle parole del mensile: "L'autrice ha seguito tutti i programmi dimagranti del mondo, senza mai perdere peso. Fino a quando ha deciso di integrare il suo regime da 1200/1400 calorie giornaliere con un paio di flute di champagne, perdendo circa dieci chili". Accidenti, mi piace questa cosa!
Adesso pare che stia per uscire anche un libro sulla Champagne Diet: superfluo aggiungere che lo comprerò subito. Intanto, The Campagne Diet è un blog che spiega "le regole (e le ricette da cocktail) per vivere una vita più effervescente". Perché, vi si dice, un calice di Champagne ti dà appena un centinaio di calorie, ed è perfetto per le donne che stanno attente alla linea, e permette di festeggiare ogni giorno, e questo - aggiungo - è un bel programma di lavoro.
Mi viene però un dubbio: varrà mica solo per le donne? Perché se fosse così i miei buoni propositi verrebbero a cadere. Però posso sempre sperimentare.

2 gennaio 2012

Le porzioni da duecento

Angelo Peretti
Qui da noi, in Italia, quando vai in enoteca, al bar, in osteria, al ristorante e chiedi un bicchiere di vino, di solito te ne versano nel calice una porzione da cento millilitri. Insomma, da una bottiglia (da settecentocinquanta) vengono fuori grosso modo sette bicchieri. La prassi è consolidata: va così.
Ci son rimasto un po' a vedere che nella Germania del nord quando domandi un calice di vino te lo portano strapieno. Guardando meglio, vedi che sul vetro c'è la doppia tacca: a cento e a duecento. Ebbene: la porzione normale è quella da duecento. Il che vuol dire che lassù da una bottiglia (da sette e cinquanta) tirano fuori poco meno di quattro bicchieri. Ma adesso capisco il perché varie aziende tedesche facciano anche la bottiglia da litro: sono cinque porzioni esatte, con quel parametro.
Vista la stranezza, ho fatto caso alle carte dei bar e dei ristoranti, ad Hannover e Brema: indicano chiaramente, per il vino a bicchiere, che la porzione è da duecento mililitri.
Mi domando cosa i teutonici settentrionali pensino di noi mediterranei quando vengono in vacanza dalle nostre parti e, ordinato un bicchiere di vino, si vedono davanti una per loro striminzita porzione da cento. La metà di quella che si usa dalle loro parti.
Vabbé. In ogni caso, io preferisco la nostra abitudine. Meglio la dose da cento. E tuttavia non sbagliano di certo loro, quando in carta non indicano solo che c'è la possibilità di avere il vino a bicchiere, ma dicono chiaro anche quanto vino ci andrà versato in quel bicchiere. Magari quest'indicazione, per chiarezza e trasparenza, sarebbe bene che la fornissimo anche dalle nostre parti, a prescindere dal fatto che qui la porzione è da cento.

1 gennaio 2012

Carne di dinosauro

Le possibilità di mangiare dinosauro, ai giorni nostri, sono abbastanza remote. Scomparvero 65 milioni di anni fa, quando sulla crosta terrestre non si muovevano nemmeno le proscimmie, cioè gli antenati dei nostri antenati. I sismosauri, si sa, avevano una buona carne, almeno in quantità, visto che arrivavano a pesare 90 tonnellate. Anche le uova che deponevano erano sostanziose: con un solo uovo di tirannosauro si poteva fare una frittata per un battaglione.
Héctor Abad Faciolince, "Trattato di culinaria per donne tristi", Sellerio 1997