8 novembre 2011

Trentinità vinicola?

Angelo Peretti
Scrivevo ieri della veneticità dei vini rossi e del loro carattere identitario intriso di freschezza e speziatura. Mi è capitato più volte di riflettere, da agosto ad ora, se esista parimenti una trentinità vinicola. Un'appartenenza al Trentino.
Dico da agosto perché è in quel mese che ho avuto modo d'assaggiare parecchie bottiglie alla piccola, bella iniziativa che i Vignaioli del Trentino hanno organizzato al Museo civico di Riva del Garda, dopo che avevano rifiutato di partecipare all'annuale rassegna allestita dall'ente pubblico, mostrando il loro disaccordo sulle politiche vinicole locali, condizionate dalla cooperazione e dalle sue problematicità.
Il pomeriggio a Riva è passato col vino che induceva pensieri e con l'Ora, vento malandrino, che rinfrescava la calura. Ma l'idea che mi sono fatto, in quell'occasione, è che alla fine ad aver vinto è proprio il modello culturale della cooperazione - quello che chiamerei il modello Cavit, ma solo per capirci, e perché Cavit è il colosso cooperativo provinciale -, e che i vignaioli, inconsapevolmente, nell'osteggiarlo hanno finito per replicarlo.
Orbene, la convinzione personale è che il modello cooperativo trentino abbia mirato nel tempo a costruire milioni di ettolitri di vini impeccabili sotto il profilo tecnico e tecnologico: il riferimento d'obbligo va al Pinot Grigio, ma non mi riferisco solo a questo. Vini modellati enologicamente per competere sul mercato globale e dare redditività alla filiera viticola, e non sono - si badi - obiettivi di poco conto. Però sono anche vini che, al di là di quanto raccontano il marketing e la comunicazione aziendale, inevitabilmente finiscono per aver poco di territoriale, perché la rincorsa necessariamente ossessiva alla correttezza tecnica difficilmente si può coniugare con le imperfette asperità del terroir.
I vignaioli potevano dal canto loro percorrere la strada opposta, quella appunto del terroir, per definizione imperfetto. Cercando un'identità territoriale trentina che la cooperazione non poteva inseguire (e forse neppure doveva, essendole stata assegnata una mission diversa). Però così mi pare non sia stato, ed anzi i vignaioli hanno focalizzato l'azione esattamente sullo stesso obiettivo delle cooperative: la ricerca della correttezza e persino della perfezione tecnica.
Ovviamente, quella dei vignaioli è una cura tecnica che ha obiettivi qualitativi ben diversi rispetto a quelli propri delle cantine sociali: i vigneron vogliono l'eccellenza assoluta, le cooperative la miglior qualità possibile per i prezzi spuntati sul mercato. Però la filosofia di fondo è la stessa, e guarda più alla vigna e alla cantina che non al terroir.
Ecco allora che oggi in Trentino si trovano bottiglie davvero ben fatte, e vini impeccabili, e a Riva ne ho tastati tanti. Vini che ristapperei. Ma sono vini che a mio avviso raccontano soprattutto dell'abilità artigiana del produttore. Così finiscono per essere perfetti, ma troppo diversi l'uno dall'altro, senza un filo comune nella narrazione. Trentini per origine, ma non per trentinità, vorrei dire.
La domanda che ci si può fare allora è: ma cos'è 'sta trentinità? Non lo so, e mi piacerebbe scoprirlo. Magari tastando e ritastando vini insieme ai vignaioli.

22 commenti:

  1. Da un lato mi trovi pienamente d'accordo in questa riflessione, penso però che la trentinità nei vini trentini esista ancora e che si ritrovi forse più facilmente negli autoctoni; penso alla schiava, in qualche buona nosiola, in marzemino e teroldego, nel vin santo. Peccato che in questi anni tante aziende abbiano seguito le tendenze dettate dalle cantine sociali, addirittura molti di loro hanno un numero tale di tipologie di vino prodotte da offrire una scelta ampia quanto quella della Cavit, senza così riuscire ad identificarsi con uno o due vini, quelli che realmente vengono bene in quel territorio. Il tuo è decisamente un buon spunto per tastare e scoprire le produzioni dei vignaioli trentini ed è un bene, a mio avviso, che organizzino momenti come quello di Riva per raccontarsi e confrontarsi.

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  2. Ciao Alessia. Vedi, sono parzialmente d'accordo, perché, come sai, io non credo tanto nel vitigno quanto nel terroir, che è prima di tutto fattore umano. Ergo, l'identità "trentina" non può essere data dal vitigno, ma da qualche cosa che è unico e irripetibile nella sua "trentinità". Non mi interessa il particolare, cerco l'universale. Il vitigno è il particolare, e può essere uno strumento per interpretare la "trentinità" del vino, ma quella, l'interpretazione, è umana, e trasversale.

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  3. e' l'anima che manca alla trentinità. non quella religiosa. quella che emoziona. che ti fà capire come le cose semplici siano decisive, praticamente inarrivabili. proponendo vini che non devono SOLO essere piacevoli. devono stimolare pensieri, aprire le menti, agitare i sensi. senza mirare all'assoluto. solo alla semplicità. ma i piccoli scimmiottano i grandi ( nel senso: cantinieri o vignaioli che siano ) e i grandi giocano a proporsi come piccoli. e la gioia del sorso và a farsi benedire. nel bicchiere non trovi l'anima del vino proprio perchè gran parte dei trentini l'hanno smarrita. si cimentano su percorsi produttivi dove lo stile è più filosofico che sincero. aprono a filosofie fascinose per mascherare certe frustazioni e - non sarete sicuramente d'accordo - pure talune sconfitte. legate ad un concetto di qualità dove nulla è concesso all'indomabile bellezza di grappolo pregno più di saperi contadini che di nozioni enologiche apprese al mitico sanmichele... con molti che mirando alla perfezione (organolettica) hanno ribudiato le consuetudini dolomitiche del vino. senza neppure conoscerle.

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  4. Che triste e che bello che è quel che scrivi, Nereo. Sì, credo sia un problema di anima. Che probabilmente non è definitivamente perduta, e che anzi potrebbe riemergere d'improvviso, ma che può essere ritrovata forse solo mirando, come dici, alla semplicità. L'anima, alla fine, vuole purezza.

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  5. nereo ha (purtroppo) ragione...
    In Trentino manca l'autenticità contadina nei produttori. La dottrina impartita dalla scuola enologica ha spesso il sopravvento sull'espressione più pura, vera, gioiosa di fare il vino come consuetudine "contadina", lontana dalle mode.

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  6. Andrea, credo tu abbia centrato perfettamente la questione, e francamente avrei voluto essere in grado di distillare questo concetto nella forma chiara e lineare in cui l'hai fatto tu.

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  7. leggo Nereo che scrive che manca l'anima alla trentinità e andrea parla di assenza di autenticità. Io penso che siano due cose che se guardiamo bene scarseggiano anche in altre zone d'Italia, poi sorrido e mi interrogo sul perché io, in un territorio confuso, complesso e in crisi come il trentino ho scoperto vini che hanno un'anima, vignaioli con un amore smisurato per il territorio in cui vivono e che tutto fanno fuorché scimmiottare le sociali. Si contano forse sulle dita di una mano ma ci sono e forse ben più di quelli che troveremmo in altre zone più fortunate.

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  8. Alessia, la risposta è semplice: ognuno va per la propria strada, e non si fa squadra, se non occasionalmente, eppoi comunque ciascuno ha in mente un unico obiettivo, la perfezione tecnica, inseguita secondo percorsi agronomici ed enologici. Ovvio, assolutizzo, e magari le eccezioni ci sono. Ma le eccezioni confermano la regola, sempre.

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  9. Ricevo e pubblico. senza commento. perche' le bugie hanno la email corta...
    n



    Caro Presidente e cari Vignaioli del Trentino

    Vi invito a collegarvi col sito in oggetto:
    http://www.internetgourmet.it/2011/11/trentinita-vinicola.html

    Di seguito un estratto del verdetto del grande opinionista - profeta del vino:
    nereo ha detto...
    e' l'anima che manca alla trentinità. non quella religiosa. quella che emoziona. che ti fà capire come le cose semplici siano decisive, praticamente inarrivabili. proponendo vini che non devono SOLO essere piacevoli. devono stimolare pensieri, aprire le menti, agitare i sensi. senza mirare all'assoluto. solo alla semplicità. ma i piccoli scimmiottano i grandi ( nel senso: cantinieri o vignaioli che siano ) e i grandi giocano a proporsi come piccoli. e la gioia del sorso và a farsi benedire. nel bicchiere non trovi l'anima del vino proprio perchè gran parte dei trentini l'hanno smarrita. si cimentano su percorsi produttivi dove lo stile è più filosofico che sincero. aprono a filosofie fascinose per mascherare certe frustazioni e - non sarete sicuramente d'accordo - pure talune sconfitte. legate ad un concetto di qualità dove nulla è concesso all'indomabile bellezza di grappolo pregno più di saperi contadini che di nozioni enologiche apprese al mitico sanmichele... con molti che mirando alla perfezione (organolettica) hanno ribudiato le consuetudini dolomitiche del vino. senza neppure conoscerle.


    Poi invito chi ha buona memoria a ricordare quanto già espresso dal "giornalista" Nereo qualche anno fa , quando ci definì vignaioli senz'anima (evidentemente ci crede davvero, se a distanza di anni non gli è venuta un'idea migliore) . Ne seguirono polemiche e prese di posizione che ricorderete bene.

    Ma poi si continuò a dargli credito, a farlo entrare nelle nostre cantine, a lasciargli decidere chi era degno o meno della sua attenzione e dei suoi giudizi.

    Oggi mi pare che sia ora di fare qualcosa.
    Non ritengo opportuno entrare in polemica sul blog, (dar retta ai detrattori non giova), penso sarebbe invece importante emarginarlo, così da lasciarlo pontificare sulle cantine sociali.

    Chiedo al Presidente e al direttivo, che ci rappresentano, una ferma posizione in merito.
    Con sincero affetto per chi lavora e ce la mette tutta.

    Emma Clauser
    vignaiola con anima.

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  10. Cara Vignaiola con anima, l'anima fa parte della persona, e la persona si confronta serenamente con altre persone, cercando di attingere da ciascuna un po' delle sue esperienze, delle sue idee, della sua vita. Escludere non fa bene all'anima, mai. Nemmeno all'anima del vino. Mi creda. E credo che il presidente e il direttivo dei Vignaioli del Trentino lo sappiano che l'anima è questo. Per questo li apprezzo. Si include sempre, non si esclude mai.

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  11. Ciao a tutti! Mi permetto di aggiungere il mio contributo, nonostante io sia una pivella del settore e di acqua sotto i ponti (ops, vino) ne abbia vista passare molto meno di voi visto l'età anagrafica... Stando sempre in giro per il mondo - enologico, gastronomico e non - ho maturato un pensiero: che i trentini abbiamo, Angelo, un'insita ritrosia ad esprimere platealmente le proprie passioni, nel vino come nella vita in generale. Fanno fatica a credere nelle proprie potenzialità, a essere orgogliosi delle proprie tradizioni e delle proprie usanze, che poi sono quelle che creano il fascino di un territorio, di un vino, di una ricetta... Personalmente mi sento molto impegnata nel dare il mio contributo affinché tutto questo, invece, venga fuori, anche se ancora - forse - non ho trovato ulteriori vie oltre a quelle del raccontare la magia del Trentino sulle testate nazionali con cui collaboro. Mi piacerebbe fare di più. I Vignaioli, secondo me, come tutti possono avere difetti, ma io vedo anche grandi pregi, come il fatto di essere loro i custodi di vitigni autoctoni che altrimenti sarebbero stati - penso - rasi al suolo in nome del business quantitativo dello Chardonnay e del Pinot Grigio. Ovviamente, tutto può migliorare e soprattutto a me piacerebbe che i Vignaioli si facessero forti delle loro potenzialità mettendo in atto un'azione di comunicazione e marketing slegata dalle logiche delle sovvenzioni provinciali, come ho recentemente scritto in un post sul mio blog www.geishagourmet.com. Da "masterizzata" in marketing internazionale mi piacerebbe fare due chiacchiere in proposito con Balter & co...
    Essere più "easy", lasciarsi andare di più, farsi conoscere e non temere il rivelare le proprie passioni, è un augurio che faccio a tutti i trentini, perché siamo gente bella e vera, e dobbiamo far venire fuori la nostra anima, la nostra essenza. Che c'è, eccome se c'è, solo che talvolta non si percepisce. Un abbraccio a tutti! Francesca (Negri)

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  12. Mi associo all'augurio, Francesca. Se l'anima c'è, l'anima deve trasparire. Grazie del contributo.

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  13. ecco cosa ho scritto a Nereo e che voglio fortemente pubblicare anche qui:
    "cari colleghi, ma perché non cerchiamo il modo di fare un passo oltre le polemiche e dimostriamo cosa siamo con i fatti?
    Poi, a breve magari sara' bello un confronto. Non penso affatto che chiudere la porta ad uno di noi giovi, anzi!!!!! Buon lavoro

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  14. No, mi dispiace, l'apertura è sempre positiva ma al Nereo a sto punto no.

    Se c'è uno che avrebbe potuto fare qualcosa per il vino trentino è lui. Per 20 anni ha gestito, spadroneggiato, sparlato (male) del vino trentino, facendo finta di appoggiarlo. Ma chi ha avuto orecchie in altre zone d'Italia sa quele è stato il suo atteggiamento e quanto lui abbia fatto da contro-ambasciatore.

    Andiamo avanti, parliamo di trentinità seriamente. Ma con mentalità e personaggi nuovi.

    Brava Alessia, bravo anche se non condivido il post Angelo, interessante la proposta di Francesca (di sicuro il marketing non è il nostro forte).

    Ma il Nereo no. Queste cose non può dirle. Del resto anche prima di questo post le cantine in cui può ancora entrare in Trentino sono veramente poche. E in quelle poche ci sono tanti bicchieri e poco di buono da bere.

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  15. Vedi, anonimo (meglio firmarsi, no?), ognuno può vederla come gli pare, e io cerco sempre di rispettare il parere degli altri. Però onestamente temo che sul Nereo in Trentino ci siano dei pregiudizi abbastanza ingenerosi. Io, ad esempio, che sto "in altre zone d'Italia", anche se di confine con voi, negli anni ho potuto assaggiare e conoscere molti vini di molti di voi (voi, vero?) piccoli vigneron trentini perché il Nereo i vostri vini me li ha fatti avere, me li ha fatti assaggiare, me li ha addirittura talvolta portati a casa, me ne ha comunque parlato. Magari si trattava anche di alcuni di quei vini che poi non erano messi così tanto in luce dalle guide, quelli che al Nereo non piacevano. "Mi nol me piàs, però tàstelo" mi ha detto alcune volte. Lo stesso dicasi per gli oli trentini, che mi ha portato a casa perché trovassi modo di assaggiarli, di segnalarli, di scriverne. Chiaro, poi da voi (voi, vero?) il Nereo ha preteso molto, ma credo che ciascuno abbia il carattere che ha e che sia giusto accettarsi per quel che si è e che comunque lui abbia talvolta preteso da voi con quell'atteggiamento che hanno certi padri coi figli: ma se non è amore, quanto meno è affetto. Un affetto burbero, tante volte, concordo. Detta così, sembra una difesa d'ufficio del Nereo. Ma, credimi, è invece una storia personale ed autentica: se volete credermi, credetemi, altrimenti pazienza, ma non posso tradire la mia esperienza personale. Sia chiaro: come chiunque al mondo ho anch'io le mie simpatie e antipatie, ma quando mi occupo di vino cerco di astrarmene e di farmi un giudizio il più fondato possibile, sapendo che il giudizio è comunque soggettivo, e dunque cercando di tener conto di questo limite. Su molti di voi mi sono potuto nel tempo fare dei giudizi anche perché il Nereo mi ha aperto le porte del Trentino prima che altri lo facessero, e garantisco che non ha mai minimamente cercato di condizionarmi, né d'altro canto se ci avesse provato l'avrei preso in considerazione, perché il mio giudizio voglio farmelo da me, e lui lo sa bene. Ecco, forse questo è il Nereo che non conoscete. O forse sono stato fortunato io a conoscerlo così, ma ormai sono anni. Poi, se volete che vi dica che il Nereo è, diciamo così, un incorreggibile brontolone e magari anche un po' rompic..., be', su questo posso acconsentire.

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  16. bella soddisfazione, caro anonimo. sono orgoglioso di essere criticato. anche duramente. io non ho mai sparlato del trentino. anzi. ho difeso in tutte le sedi - leggi: una valanga di servizi su tv e radio nazionali, come nesssuno, ripeto NESSUN giornalista ha mai fatto per la propria regione o zona d'origine - il valore sincero dei vini trentini. prendenomi cazziatoni da schiere di colleghi e capi rai ( a neree, quante bottiglie ti sei scolato del tuo trentino per parlarne cosi' bbbene..) e sollevando proteste dai vari uffici stampa di consorzi esterni trento ( leggi: quello del franciacorta, dell'asti, del chianti, pure del montepulciano )che mi rimproveravano di parlare solo di trentodoc, ignorando altri spumanti e prodotti. sapete con che riscontri? dal trentino non ricevo neppure una mail d'auguri di natale...
    ho scritto centinaia di pagine sul vino trentino. ho sempre difeso le persone, ho mirato più all'individuo che a quanto c'era nel bicchiere. sempre. ho addirittura fatto tre film sul marzemino, vino che certo non è tra i miei preferiti, proprio per ridare anima ad uno stile enoico autenticamente vallagarino..
    e' vero, non mi sono mai convertito al biologico, biodinamico o bio sa el c.... ma non ho mai remato contro quei vignaioli che credono nel bio. solo una precisazione: sono stato io a trovare e denunciare il taglio del lambrusco secolare di avio, quello che sarebbe diventato il ciso, orgoglio dei biotrentini... se non c'ero io, quel giorno ad avio, le viti le tagliavano. sul serio.
    e ancora: penso che ognuno abbia il diritto di dire la sua. non in forma anonima. del resto io non ho criticato nessun vignaiolo. ho parlato di 'anima del vino' e non ho criticato i produttori. se l'unico sistema per discutere e' l'emarginazione.. prego, prosit! io lo faro' con vini non solo buoni da bere. ma anche per pensare.

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  17. Poi magari, con calma, ci sediamo tutti una sera attorno a un Teroldego di Fedrizzi o a un Besler Bianc di Mario, a parlare di trentinità.

    Son sicuro che ne usciranno più sorrisi.
    Le porte non si devono chiudere, mai.


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  18. Credo che questo post sia figlio di un disagio che, non nascondiamocelo esiste.
    Ho letto pareri importanti di persone che si espongono con le loro idee.
    Concordo con il pensiero di Francesca, il Trentino ha risorse enormi ma le ha, oltre a quelle indiscusse del territorio, nella forza e nella caparbietà della sua gente, nel lavoro delle loro braccia e nella bontà del loro animo.
    Manchiamo e non brilliamo per intraprendenza e capacità comunicative, quello si.
    Credo che se fossimo tutti più uniti e comunicassimo meglio all'improvviso i nostri vini risulterebbero anche più ricchi di identità, di anima.

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  19. Perfetto, Roberto: occorre stare uniti e cercare un'identità trentina. Senza coltivare però l'illusione che l'identità arrivi dall'enologia. Quella è importante, essenziale, e va governata. Ma è uno strumento. Neppure aiuta pensare che il problema sia solo di comunicazione o di marketing. Le azioni di comunicazione esterna (figurarsi quelle di marketing!) si possono (si debbono) fare solo se prima si è fatta tanta, tanta comunicazione interna. Altrimenti è solo fumo, che può servire, ma occorre anche l'arrosto, e l'arrosto sono i vignaioli. Dunque, che i vignaioli stiano assieme il più possibile, ma senza parlare di tecnica: quella in Trentino c'è già, forse ben più che altrove.

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  20. A livello di comunicazione mi sento di sottiscrivere quanto dice Angelo. Prima il progetto, ben chiaro, condiviso dalla stragrande maggioranza (che i plebisciti ormai son rarissimi), poi la comunicazione, educata, persistente, coinvolgente.

    Bisogna trovare la coesione sui valori fondanti, sulla direzione - pur con tutte le sfumature diverse che giustamente la viticoltura deve porre in evidenza - e sugli obiettivi. E bisogna cercare di farlo parlandosi tra grandi e piccoli, insieme, consapevoli delle differenze ma con critica costruttiva volta al miglioramento e alla crescita di entrambe le sponde della produzione trentina.

    My two cents.


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