30 aprile 2011

Oh, quei Riesling della Mosella

Angelo Peretti
Ecco, è stata una fortuna che Monika Kellermann (grazie!) mi abbia invitato alla degustazione dei Riesling della Mosella che s’è tenuta al Vinitaly. Sì, una fortuna, ché s’è bevuto bene. Già, bevuto: la gran parte dei bicchieri li ho svuotati deglutendo. Non si poteva resistere, e già questo sarebbe abbastanza, credo, per dire la fascinazione che ne ho ricevuto. Credo non ci sia miglior complimento per un vino che dire: si beve. Soprattutto se son vini in realtà complessi e a tratti perfino complicati, con quel loro essere estremamente freschi ed estremamente dolci ed estremamente minerali ed estremamente agrumati. Ma quando c’è equilibrio fra tanti elementi estremi, allora è commovente, appassionante e passionale poesia.
Titolo della degustazione era, magari un po’ retoricamente, “Unicità e grandezza dei Riesling della Mosella”. Ha condotto, con perizia, Gian Luca Mazzella. L’organizzazione era d’una rivista tedesca che non conoscevo, ma che ora apprezzo: Wein+Markt. Etichette d'aziende socie della Vdp, la Verband Deutscher Prädikatsweingüter, associazione che riunisce il top del vino germanico.
Ora i vini, in ordine di apparizione, con brevi note, ché son tanti. Ma con applauso a scen'aperta per molti.
Karthäuserhofberg Riesling Grosses Gewächs 2009 Karthäuserhof
Mineralità Tracce vegetali. Senape. La bella freschezza fatica a tenere in equilibrio la dolcezza.
Un faccino e quasi due :-)
Marienburg Fahrlay-Terrassen Riesling Erste Lage 2008 Clemens-Busch
Chiuso, ostico. A mio avviso, problemi legati al tappo. Il sommelier dice di no.
Giudizio sospeso.
Uhlen Laubach Riesling Erste Lage 2005 Heymann-Löwenstein
Notevole varietalità. Mineralità, spezia, pepe. Frutto tropicale. Morbidezza integrata. Tensione.
Due lieti faccini :-) :-)
Scharzhofberger Pergentsknopp Riesling Erste Lage 2007 Van Volxem
Naso sottilissimo, elegante. Fiori, fieno. Bocca polposa di ananas, ma non è il mio stile.
Un faccino e quasi due :-)
Scharzhofberger Spätlese 1999 Egon Müller-Scharzhof
Frutto, erbe alpestri, vene affumicate, spezia dolce, idrocarburi. Avvolgente, invitante, succoso.
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)
Wehlener Sonnenuhr Riesling Spätlese 2007 Joh. Jos. Prüm
Naso rustico e speziato. Bocca freschissima, fruttatissima. Mandarino, cedro. Lunghezza notevole.
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)
Graacher Domprobst Riesling Spätlese Versteigerung 2009 Willi Schäfer
Un bellissimo cesto d’agrumi. Vino succoso, fruttato, avvincente, teso. Grande beva. Evviva!
Tre lieti faccini :-) :-) :-)
Maximin Grünhäuser Herrenberg Riesling Auslese Nr. 75 1993 von Schubert'sche Gutsverwaltung Grünhaus
Evoluto, sulla spezia e sugli idrocarburi. Senape, rafano, limone, cedro. Dolcezza bene integrata.
Due lieti faccini :-) :-)
Bernkasteler Doctor Riesling Auslese 2001 Wwe. Dr. Thanisch - Erben Thanisch
Deliziosamente verde-oro. Idrocarburi. Tè verde. Opulente, polposo, dolce di frutto. Teso, classico.
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)
Brauneberger Juffer Sonnenuhr Riesling Auslese 2004 Fritz Haag
Naso fumé. Bocca polposa. Ananas, mango. Cedro, arancia rossa. Liquirizia, caramello. Un godmento.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)
Erdener Prälat Riesling Auslese Goldkapsel 2009 Dr. Loosen
Che eleganza! Frutta surmatura, liquirizia. Avvolgente, vellutato, e fresco. Lunghissimo. Grande.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)
Ockfener Bockstein Riesling Eiswein 1998 Sankt Urbanshof
Che equilibrio! Dolcezza, freschezza, polpa, mineralità, croccantezza, lunghezza, complessità.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)

29 aprile 2011

Come per me il Royal Wedding si è trasformato in un affare

Angelo Peretti
Le favole esistono, e la gente se ne nutre. Ho saputo che stamattina c'è chi si è messo in ferie pur di poter seguire in tv il Royal Wedding, le nozze reali fra William e Kate. Beata gente…
C'è anche chi, attorno all'evento, ci ha fatto dei bei soldini. Ho visto a un telegiornale, per esempio, che andavano a ruba le tazze con l'immagine degli sposini. E mi domando che cosa se ne faccia uno con una tazza che abbia sopra la foto del principe.
Certo non mi sarei aspettato che il matrimonio regale si rivelasse un affare per me. Per me, intendo, come bevitore. Come, come? Credete che vi prenda in giro? E invece è proprio così. Perché aprendo la posta mi son trovato la mail d'un sito internet di commercio elettronico di vino, da cui abitualmente compro, che m'offriva la possibilità di comprare lo Champagne Pol Roger, quello scelto per il brindisi nuziale, al prezzo di 23,90 euro, anziché i 29,90 di listino. Il 20% di sconto. Il tutto limitato a 300 bottiglie in tutto, in onore degli sposi: chi prima arriva, meglio alloggia.
Mica male. E siccome il Pol Roger è un'affidabile bolla d'aperitivo, be', ho pensato che male non faccio a unirmi alle celebrazioni. C'è sempre una scusa buona per bere Champagne.

Promuovere il territorio? Macché, per me i consorzi devono promuovere il vino

Angelo Peretti
Qualche tempo fa, su una delle tante newsletter che arrivano sulle caselle di posta eletronica, si leggeva un intervento che titolava così: "Dalla tutela alla promozione del territorio: nuova frontiera per i Consorzi". I consorzi in parola sono quelli del vino. E il passaggio "sarebbe" quello imposto dalla nuova Ocm (l'organizzazione comune di mercato) europea del vino e, di riflesso, dalla nuova legge quadro italiana sul vino, che hanno tolto ai consorzi di tutela il piano dei controlli sulla produzione vinicola (attribuito ai cosiddetti "soggetti terzi"), assegnando agli enti consortili nuovi, ma onestamente ancora un po' nebulosi compiti, tra i quali il più rilevante è - dovrebbe essere - quello della promozione. Già, ma promozione di che?
Ecco, il nodo della questione è proprio questo: promozione di che? L'importante consorzio interrogato dagli estensori della newsletter sembra non avere dubbi: promozione del territorio. Tant'è che i consorzi si dovrebbero trasformare in "soggetti attivi nelle dinamiche e nelle strategie di territorio". Si dice infatti: "I Consorzi hanno la possibilità di trasformarsi in agenzie per la promozione del territorio, perché è sul territorio che lavorano, insieme ai produttori, alle amministrazioni comunali e alla altre istituzioni".
Ecco, se questa è la prospettiva, be', devo dire che la penso in maniera assolutamente diversa. Nossignori: i consorzi di tutela del vino non hanno come compito la promozione del territorio. Il loro compito è e deve essere uno soltanto: la promozione del vino. E il territorio è semplicemente un "di cui" del vino. Importante fin che si vuole, ma esclusivamente un "di cui".
Ho più volte dichiarato - e non mi stancherò di farlo fino alla noia - che credo nell'accezione umanistica - e se vogliamo filo-francese - del terroir come entità generatrice del vino. Un mix di territorio, certo, di vitigno, di clima, di suolo, ma soprattutto di umanità, di civiltà, di saperi che si sono stratificati nel tempo e che col tempo si evolvono. C'è invece un'altra corrente di pensiero, quella che pensa che l'uomo e la sua cultura siano un banale "accessorio" della produzione vinicola: è la scuola razionalista tipicamente italiana, che vede nel trittico territorio-vitigno-clima l'origine del vino. Ecco: dire che i consorzi di tutela devono trasformarsi in soggetti di promozione del territorio significa proclamare la supremazia di questa seconda scuola di pensiero. Personalmente dissento, ché sono per la prima linea, e dunque affermo e sostengo e ribadisco che l'oggetto della promozione dei consorzi di tutela è e deve essere esclusivamente il vino. Non è una distinzione da poco, credetemi.
Credo fermamente che i consorzi debbano lavorare - lavorare, termine desueto - per la promozione del loro brand, che è né più né meno quello della loro denominazione di origine. E già questa è un'impresa colossale. Altro che territorio.

28 aprile 2011

La Fivi si muove: nasce il primo mercato dei vini dei vignaioli indipendenti

Angelo Peretti
Oh, finalmente la Fivi si muove, e lo fa sul serio. Il presidente della federazione italiana dei vignaioli indipendenti, Costantino Charrère è approdato ai vertici della Cevi, la confederazione europea dei vigneron, assumendone la vicepresidenza, con l'importantissima delega all'attività sindacale e politica. E adesso è arrivata voce anche del fatto che a dicembre, seguendo l'esempio degli attivissimi colleghi francesi, che organizzano periodicamente (e con successo e pubblicità entrambi notevoli) i loro Salons des vins des Vignerons Independants, i vignaioli indipendenti italiani proporranno la loro prima fiera-mercato. Fiera, perché ci saranno gli stand espositivi, e mercato, perché il vino si potrà comprare anche da parte dei consumatori. Era ora, anche se bisognerà aspettare sino alla fine dell'anno (intanto, meglio cominciare a fare la lista della spesa, e ne vale la pena).
La notizia non mi pare sia ancora stata ufficializzata al pubblico, ma cercando nei meandri del sito, perfettibile, della Fivi ho visto scritto, in una nota dello spazio "riservato ai vignaioli" (ma comunque evidentemente raggiungibile anche da chi vignaiolo non è), che "sabato 3 e domenica 4 dicembre 2011 negli spazi di Piacenza Expo la Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti apre il primo Mercato dei Vini dei Vignaioli Indipendenti, un’occasione per far conoscere il lavoro del vignaiolo e creare un rapporto diretto tra i vignaioli e chi beve il vino: due giorni dedicati agli incontri e alle degustazioni, alla cultura del vino e alla vendita diretta".
La data pare azzeccata: poco prima delle feste natalizie, ottima occasione per lo shopping. Ma perché proprio a Piacenza? "La scelta di Piacenza Expo per il primo Mercato dei Vini dei Vignaioli Indipendenti - leggo - è dettata dalla facilità con cui si può raggiungere da tutto il nord Italia".
Cominciate a segnarvelo in agenda. E spero che, se non proprio tutti, almeno la stragrande maggioranza dei soci della Fivi sia presente coi suoi vini: sarebbe una gran bella cosa.

27 aprile 2011

Mi sa che le reni allo Champagne per ora non le spezziamo

Angelo Peretti
Da veneto qual sono per motivi di nascita e di residenza, dovrei gioire sapendo che il prossimo anno spezzeremo le reni allo Champagne, superandolo col "nostro" Prosecco (uso le virgolette perché ne fanno anche in Friuli, e il nome della denominazone corrisponde oggi a un loro paesello) in termini di bottiglie messe sul mercato. Nei giorni del Vinitaly si è infatti letto che dai 185 milioni di bottiglie prosecchiste del 2009 si sale, secondo certi calcoli, a 286 milioni per quest'anno, mentre le proiezioni del 2012 farebbero ipotizzare 353 milioni di bottiglie di Prosecco contro i 320 previsti - non so come e non so da chi - per lo Champagne.
Ora, al di là del fatto che mi pare azzardato che noi veneti ci arroghiamo la virtù del vaticinio, non posso che sommessamente far notare che c'è un problema non tanto banale se si fanno confronti di mercato. E quel problemuccio si chiama prezzo. E dunque sarei, da veneto, lietissimo se davvero battessimo gli champagnisti, ma magari preferirei farlo sul fatturato, più che sui volumi. Ma non posso gioire, per via dei prezzi, se vedo gli scaffali dei supermercati colmi di bolle prosecchiste a prezzi stracciati.
Per carità, son prezzi che comunque, con le rese ammesse dal disciplinare del Prosecco doc (180 quintali per ettaro), garantiscono una più che soddisfacente - accidenti, sì - remunerazione al vignaiolo, e credp che con la crisi d'oggidì ci sia più d'un motivo, tra i contadini, per benedire il fenomeno Prosecco (e i politici capisco che ne portino qualche vanto), epperò i valori delle bottiglie son bassi bassi se si vuole puntare ad essere davvero leader bollicinosi.
Direte: portaci un esempio. L'esempio - ed è uno fra i tanti - lo prendo dalla pubblicità dei supermercati Galassia comparsa in ultima pagina del quotidiano L'Arena (di Verona) il 22 aprile, venerdì santo. Il Prosecco doc di un marchio notissimo come Zonin era in proposta a 2,90 euro la bottiglia. Meno d'un chilo di salamelle-luganeghe, offerte nella stessa pagina a 2,99 euro. Perbacco, mi sa che per spezzare le reni ai francesi dovremo attendere ancora un po'.

26 aprile 2011

I vignaioli indipendenti europei hanno un nuovo leader ed offrono spazio all'Italia

Angelo Peretti
Thomas Montagne, vigneron di Luberon, nel sud della Francia, è il nuovo presidente della Cevi, la confederazione europea dei vignaioli indipendenti. L'elezione, all'unanimità, è avvenuta nel corso dell'assemblea generale che si è svolta nei giorni scorsi in Italia, in Trentino. Montagne, che è anche il segretario generale della potentissima associazione dei Vignerons Indépendants de France (ho già dichiarato più volte la mia ammirazione per questo sodalizio e per la qualità mediamente molto alta dei vini dei suoi soci, che sono tantissimi), succede a Xavier de Volontat, che ha retto la Cevi per ben nove anni.
Alla vicepresidenza sono stati nominati la vignaiola svizzera Claude Bocquet-Thonney (presidente della federazione svizzera dei vignaioli indipendenti), il valdostano Costantino Charrère (presidente della Fivi, la federazione italiana dei vignaioli indipendenti) e il lussemburghese Laurent Kox. A Charrère è stata attribuita la delega, piuttosto importante, a mio avviso, delle iniziative sindacali e politiche della confederazione. Un bell'atto di stima nei confronti della realtà italiana.
Insomma, l'impressione che ne traggo è che la Fivi vada pian piano accrescendo il proprio rilievo a livello internazionale. Magari, se mi è concesso, la vorrei più presente sul fronte interno, dove ha tuttora una visibilità che mi dispiace definire bassina, e non basta certo il logo della federazione sulle bottiglie dei soci per darle quell'evidenza che potrebbe e dovrebbe avere.
Sta di fatto che il neopresidente della Cevi sembra avere le idee chiare sul ruolo dei vignaioli indipendenti nel contesto del panorama vitivinicolo europeo. "La mia priorità e il centro stesso della mia azione - ha dichiarato - saranno lo sviluppo della nostra influenza sindacale e politica. In particolare, voglio che sia ascoltata la nostra proposta di modifica della Pac".
Che dire, se non "in bocca al lupo"? Alla Cevi, alla Fivi, a tutti i vignaioli europei che fanno vino con passione.

Valdobbiadene Prosecco Superiore Extra Dry Primario Ruge

Angelo Peretti
Ecco, questa è una bella novità. Già, novità novità. Nuova azienda, primo imbottigliamento. Un Prosecco Superiore di Valdobbiadene di quelli che non ti dimentichi, se ti piacciono le bollicine.
Si chiama Primario e non ho la minima idea del perché. L'azienda che lo produce ha per nome Ruge. Ruggeri è il cognome della famiglia. A fare il vino è Andrea Ruggeri (è lui nella fotina), che è anche tra i collaboratori di Federico Giotto.
Detto questo, eccomi al vino.
Entra in bocca con un'atipica, inusuale, convincente mandorla. E poi esplode la mela croccante. E la bolla è bene integrata in una struttura di tutto rispetto. E il finale vira verso una composta morbidezza cremosa.
Un Extra Dry che sa stare in tavola, eccome. Senza sdolcinature, senza mollezze, senza cedimenti. Con carattere.
Buona la prima.
Se vi capita, bevetelo. Se non vi capita, andate a cercarlo, ché ne vale la pena. E se non vi piace, son qui a pagare dazio.
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)

25 aprile 2011

Un sole come vino bianco

Ora un sole come vino bianco inonda tutta la strada vuota. È ora che me ne vada. Non so se darle la mano o un bacio su ogni guancia. Noi latinoamericane, per quanto ne so, diamo solo un bacio. Un bacio su una guancia. Le spagnole ne danno due. Le francesi ne danno tre. Quando ero ragazzina pensavo che i tre baci che davano le francesi volessero dire: libertà, uguaglianza, fraternità. Ora so che non è così, ma l'idea mi piace lo stesso. Così le do tre baci e lei mi guarda come se, in qualunque momento della sua vita, avesse pensato la stessa cosa.
Roberto Bolaño, "Amuleto", Adelphi 2010

23 aprile 2011

Il Riveselle è tornato

Angelo Peretti
Evviva, evviva: è tornato il Riveselle che piace a me. L'annata 2008 fu spettacolare per beva, succosità di frutto, eleganza di speziatura. Il 2009, annata calda, aveva segnato un certo arretramento della beva, con una vena tannica più accentuata e una concentrazione cresciuta. Ma il 2010 ce lo riconsegna in grande spolvero e in forma smagliante. Di nuovo splendido esempio di quello stile che amo chiamare il vinino, ossia il vino magari semplice, epperò per nulla banale, e anzi perfettissimo nel suo farsi bere.
Il Riveselle è il Tai (leggi Tocai) Rosso di Tommaso Piovene Porto Godi, erede di nobile schiatta e nobilissimo produttore sui colli vicentini. La doc è quella dei Colli Berici. E il tai (leggi tocai rosso, e scrivo minuscolo perché qui mi riferisco al vitigno, non al vino) è il grenache: in terra berica cambia nome. Bene, il tai rosso è uva che dà poco colore epperò offre tanta spezia (cannella, chiodo di garofano), e frutto di bosco (mirtillo, amarena) e fiore (l'ibisco, o meglio, il karkadè, bevanda ormai da lungo desueta, che meriterebbe una riscoperta invece) e una beva eccellente, quand'è ben gestito. E non ho dubbio alcuno nell'affermare che qui a Toara di Villaga, dai Piovene Porto Godi, lo si gestisce al meglio, eccome. E dunque sia lode al ritrovato Riveselle, annata 2010 (per dirla coi miei faccini, quelli con cui valuto la piacevolezza del vino, gliene darei tre, il massimo).
Ho tastato dell'azienda anche altre due interpretazioni del tai rosso (vitigno). Una è quella più muscolosa del Thovara, che nell'annata 2008 ha fatto, mi pare di poter dire, un saggio arretramento rispetto a certi eccessi di polpa e tannino che l'avevano un po' contraddistinto e segnato in precedenza, acquistando ora in eleganza e anche in beva e in succosità di frutto. E mi si conferma come il 2008 sia stata in effetti annata eccelsa per il tai vicentino. Ci ho trovato spezia, tanta tanta, e dunque torna ad emergere più netta la varietalità. Ah, dimenticavo: il Thovara è un Tai Rosso Colli Berici, doc.
L'altra interpretazione è una new entry, un inedito rosato da uve di tai rosso. Un igt del Veneto. Si chiama Lola, anno 2010. L'ho trovato un po' chiuso al naso (penso per recete imbottigliamento), ma del tutto varietale al palato. Confermandomi ancora una volta nell'impressione che sia questa la via del tai: la piacevolezza e la leggerezza.
Adesso tocca a voi andare a far la prova (e dirmi magari come la pensate).

22 aprile 2011

Ma noi quand'è che avremo una guida ai millesimi?

Angelo Peretti
In allegato al numero di aprile della Revue du Vin de France c'era un quadernetto di poche pagine sul quale in alto a sinistra si strillava: "Indispensable!" Che cos'aveva quel libricino da permettersi d'autoproclamarsi indispensabile? Aveva che era Le Guide des Millésimes. Un fascicoletto che diceva un po' per tutte le più importanti aree vinicole francesi com'era stata la vendemmia e come sonoora i vini dal 1991 al 2009.
Ecco, sì, per chi come me ama bere anche - dico: anche - vini franciosi, be', un tascabilino del genere è, se non proprio indipensabile, almeno utile, e parecchio. E me lo terrò bene in vista sulla scrivania del mio studio, come vademecum per quanto faccio i miei acquisti, soprattutto on line. Epperò quel libretto è anche motivo d'incavolatura non da poco. Ma no, non con la Revue e neppure coi galletti transalpini. L'incavolatura è autoctona: ce l'ho con noi italiani.
Sissignori: ce l'ho con noi per il semplice fatto che qui da noi pensare di stampare un manualino di questo tipo è impossibile. Perché da noi la cultura della vendita - da parte del produttore - e dell'acquisto - da parte del consumatore - di vini di età diverse non c'è, ma proprio no. Si va ad esaurimento di stock: prima vendo il 2008, poi quand'è finito vendo il 2009 e poi quando anche questo è esaurito vendo il 2010. D'altro canto, gli acquirenti vorrebbero solo roba nuova, e magari - prendetela come una battuta, per carità - c'è chi bramerebbe avere già le bottiglie del 2011. Quanti ristoratori m'hanno detto sconsolati di gente che ha mandato indietro il vino perché non era dell'ultima vendemmia!
Desolante. Ecco, lo scenario italiano è desolante. E un quadernetto come quello della Revue qui da noi sarebbe impossibile anche solo pensare di stamparlo: tanto, chi se lo filerebbe?

21 aprile 2011

Il nuovo Iperico, il Valpolicellino di Valentina Cubi

Angelo Peretti
Sgombriamo il campo subito: ma sì, Valentina Cubi, intestataria dell'azienda, è la moglie di Giancarlo Vason, re del commercio di attrezzature e prodotti dell'enologia. Ma non c'entra. Ché nei vini la mano enologica è in secondo piano, credetemi. Del resto, sia lei che lui non nascondono la passione per il piccolino di famiglia, il Valpolicellino del 2010, da uve coltivate coi canoni dell'agricoltura biologica, in comune di Verona (e dunque non in zona Classica della Valpolicella), mentre sino all'anno prima si raccoglieva solo a Fumane e San Pietro (che son Classici). E devo dire che la passione, per quel che conta, la condivido: ecco, provatelo il Valpolicelino, l'Iperico. Lei, donna Valentina, lo dice senza enfasi, ma lo dice, quando parla della recente svolta bio che l'ha generato: "L'uva così è più buona". E mi basta questa specie di candore nell'enunciare il succo del gran discorrere che si fa sui modi d'allevar la vigna.
Detto questo, i vini valpolicellesi di Valentina Cubi li ho assaggiati, e li ho trovati di carattere, e alcuni in particolare me li metterei volentieri in cantina - e in tavola - e qui di seguito ne racconto, sinteticamente, le impressioni.
Valpolicella Iperico 2010
Che piacere! Colore tenue, trasparente. Fruttino, marasca, lampone. Tanti fiori, ciclamini. Succoso.
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)
Valpolicella Classico Iperico 2009
Colore scarico. Piccolo frutto. Buon tannino. Ma è altra annata, altra vigna, altro mondo.
Un faccino :-)
Valpolicella Classico Superiore Iltabarro 2006
Rubino con unghia granata. Fiori essiccati, frutta passa, spezia, rabarbaro. Elegante, decadente.
Due lieti faccini :-) :-)
Valpolicella Classico Superiore Ripasso Arusnatico 2005
Frutto macerato, morbido e persistente. Amaroneggiante eppure anche snello e bevibile, fresco.
Due lieti faccini :-) :-)
Amarone della Valpolicella Classico Morar 2006
Confettura, frutta stramatura. Carnoso, polposo, dolce di frutto. Moderno ma elegante.
Due lieti faccini :-) :-)
Amarone della Valpolicella Classico Morar 2005
Più carico di colore del 2006. Ciliegia surmatura. Pepe, spezia. In divenire. Non è li mio stile.
Un faccino :-)
Amarone della Valpolicella Classico Morar 2004
Wow! Rusticamente elegante. Fascinosamente speziato. Nervoso, scattante, terroso. Personale.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)
Amarone della Valpolicella Morar 2003
Doc, non Classico. Figlio dell’annata torrida, però il frutto è sumaturo ma non cotto. Evoluto.
Due lieti faccini :-) :-)
Recioto della Valpolicella Classico Meliloto 2003
La dolcezza del frutto surmaturo è avvolgente. Una caramella, un bon bon. Vellutato.
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)
Recioto della Valpolicella Classico Meliloto 2000
Evoluto, molto, all’olfatto. Ma che bocca! Coinvolgente mix di spezie e frutto macerato e fiori.
Due lieti faccini :-) :-)

20 aprile 2011

Contrordine: il Vinitaly 2012 sarà dal 25 al 28 marzo

Angelo Peretti
Contrordine compagni, scriveva ironico Giovannino Guareschi. Ecco, qui non c'è ironia alcuna, ma il contrordine quello invece è vero. Perché il Vinitaly 2012 non sarà più, come annunciato in apertura dell'edizione 2011, dall'1 al 4 aprile, bensì dal 25 al 28 marzo. Anticipo d'una settimana, dunque, rispetto al primo annuncio, ed è un anticipo probabilmente salutare, vista che la scelta originaria posizionava l'evento veronese nella settimana che va verso Pasqua. Resta comunque la nuova collocazione nella settimana: dalla domenica al mercoledì, e non più, come accaduto sinora, dal giovedì al lunedì. Bene.
Un po' meno bene invece l'anticipo d'una settimana, perché viene a cadere la distanza che s'era posta fra il Vinitaly e il ProWein di Düsseldorf, che sarà dal 4 al 6 di marzo. Adesso l'intervallo scende a meno di tre settimane, e dunque i produttori torneranno ad esser di corsa e ad aver troppo poco tempo per programmare i contatti e fare l'opportuno recall dopo la fiera tedesca. Vabbé, si può rimediare.
Positivo è invece che il Vinitaly abbia già addirittura annunciato le date dell'edizione 2013, che sarà da domenica 7 a mercoledì 10 aprile. Finalmente si potrà cominciare a fare sana, seria programmazione. Ed è una bella novità.

Dealcolare il vino?

Angelo Peretti
Il tema era questo: "Intorno ai 12°, vini a ridotto tenore di alcol, un’opportunità di mercato". Mi riferisco al convegno che, puntuale come ogni anno, l'Informatore Agrario ha proposto a Vinitaly. E per me era ed è argomento di particolare interesse, visto che son paladino pressoché da sempre dei vini "da bere".
Orbene, Clementina Palese, che guidava il parterre dei relatori, ha voluto darmi la parola, ché dicessi la mia sulla questione. E la questione è quella del ridurre la gradazione alcolica, ormai spesso in crescita esponenziale, dei vini.
L'opinione che ho espresso, e che ho visto parecchio ripresa sul web, è che probabilmente, più che preoccuparci di come ridurre in cantina il tenore alcolico dei vini, dovremmo seriamente ripensare la nostra viticoltura. Dagli anni Ottanta in poi abbiamo guyotizzato il vigneto italiano. Tutti a far filari, tutti ad addensare gli impianti, tutti a piantare cloni evoluti, tutti a predicare il verbo delle basse rese per ettaro e per ceppo. Insomma, abbiamo omologato il vigneto allo stile bordolese-californiano. Con la differenza che quello stile va bene a Bordeaux, ma non per forza altrove. Ma no, bisognava seguire il dogma del filare e del vino concentarto, muscolo, tannico, alcolico. E adesso ci si ritrovano per le mani uve pregne di zuccheri, da cui si ricavano per forza vini troppo alcolici. E si vorrebbe porci rimedio in cantina, abbassando l'alcol con l'aiuto della tecnologia.
Ma, dico, scherziamo? Prima dopiamo l'uva nel vigneto e poi ridopiamo al contrario il vino in cantina? E abbiamo ancora il coraggio di chiamarlo vino?
Non è che magari sarebbe meglio rivedere l'assetto del vigneto, la forma d'allevamento, e magari lasciar che la vigna cresca un po' di più, e faccia un po' d'uva in più, e insomma permettere che la gradazione più bassa e il vino il più bevibile nascano nel vigneto, come sarebbe logico che fosse?
Ecco, io credo questo: che non per forza il filare vada bene ovunque e che, soprattutto, non per forza le basse rese siano l'ottimale. E sono pronto a prenderni la croce di questa mia affermazione. Ma io non voglio vini palestrati, da concorso o da degustazione, voglio vini che stiano in tavola col cibo.
Diverso è il discorso relativo a una dealcolizzazione pressoché totale del vino. Ecco, quella la vedo come un'opportunità. Certo, il prodotto finale non sarà vino e sarebbe dunque meglio trovargli un nome diverso rispetto a "vino dealcolato", ma credo che sia un bene studiare un prodotto nuovo, che permetta di smaltire la sovraproduzione di uve senza farla transitare dalle doc o dalle igt. Credo che questo permetterebbe - assieme - di destinare ai vini a denominazione le uve migliori, di ridurre le giacenze e comunque di garantire un discreto reddito a chi coltiva. Lo spazio sul mercato c'è: si pensi ad esempio a quei milioni di persone che non bevono alcol per ragioni religiose. L'obiezione che questo pseudo-vino dealcolato possa uccidere il vino vero non la accolgo. La Diet Coke non credo abbia mangiato quote di mercato alla Coca Cola classica, e la birra a zero gradi o quasi non ha sottratto spazio a quella tradizionale, ed anzi stanno fiorendo ovunque microbirrifici che fanno birre artigianali. I target di mercato son diversi, e tanto vale occuparli.

19 aprile 2011

E la giovane enologa disse: "Il legame tra vino e cucina è fondamentale"

Angelo Peretti
Ecco, leggere che una giovane donna di ventisei anni, impegnata nel far vino, dice cose del genere mi apre il cuore. Lei è Erika Pedrini e dopo aver fatto esperienza all'estero è attiva in cantina accanto al padre, alla Pravis, nella Valle dei Laghi, in Trentino. Intervistata da Francesca Negri per il suo Geisha Gourmet, alla domanda "Come legge l’attuale situazione del comparto vino?" risponde così: "Credo che questa crisi sia dovuta a un errore delle cantine e dei ristoratori. Entrambi hanno fatto diventare il vino un gioiello e questo è stato uno sbagliato. Il vino è piacere, quotidianità, non va messo su un piedistallo. Ed il suo legame con la cucina è fondamentale". Brava, brava, brava: è questo il nodo, è questa la via per riportare il vino al suo posto, per fargli recuperare la sua dimensione, per salvarlo. Lo dico e lo ripeto da tempo, e non mi stuferò di farlo fino alla noia, per quel che può contare.
Francesca Negri l'intervista sulla questione del vino trentino e sulla decisione dell'Associazione dei Vignaioli del Trentino di non entrare nella Consulta del Piano del Vino, l'organismo previsto dal piano di rilancio del comparto vitivinicolo tridentino elaborato dalla Fondazione Mach e adottato dalla Provincia di Trento, e pure di disertare, probabilmente, la Mostra del Vino del Trentino maggio. "Non vogliamo né creare spaccature, né fare guerre, ma nemmeno continuare ad essere pazienti se questo atteggiamento non porta a niente" dice la giovane enologa, ed è una voce consonante con quella di tanti giovani e soprattutto di tante donne che si occupano di vino in Italia. Sì, sono le donne che salveranno il vino.

18 aprile 2011

E il ProWein decise di giocare d'anticipo

Angelo Peretti
Quest'anno han dovuto fare i salti mortali. Intendo quei vignaioli che espongono sia al ProWein che al Vinitaly. La fiera tedesca s'è svolta dal 21 al 23 di marzo. Giusto il tempo di tornare a casa, e già c'era da pensare all'agenda per la kermesse veronese, e poi da preparare lo stand, e dall'8 al 12 aprile eccoli di nuovo in fiera. Troppo poco spazio in mezzo per poter tirare il fiato, per stabilire contatti, per fare marketing sul serio, ricontattando la gente incontrata lassù in Germania.
Il prossimo anno le cose dovrebbero andar meglio. In mezzo fra Düsseldorf e Verona c'è un mese. Il ProWein sarà dal 4 al 6 di marzo, mentre il Vinitaly invece è in calendario dall'1 al 4 di aprile.
La scelta dei tedeschi non è lasciata al caso. Come si legge sul loro sito, l'inizio di marzo è stato individuato "in armonia con il calendario delle fiere internazionalmente rilevanti del vino". Aggiungono poi, con considerevole autoreferenzialità, che "con queste date, la fiera leader dei vini e degli alcolici non solo rimarca la sua ben nota posizione di evento d'apertura per l'industria del vino e degli alcolici, ma anche garantisce condizioni ottimali sia per gli espositori che per i visitatori". Insomma: i leader siamo noi, dicono senza mezze misure, e di consequenza han pensato di giocare d'anticipo.
Ora, entrambe le date, sia quella scelta dai germanici che quella individuata dai veronesi, potrebbero avere delle controindicazioni. Nel caso del ProWein, si rischia seriamente di far la fiera senza i vini della nuova annata: troppo presto per aver già le bottiglie pronte per molte, molte denominazioni. Nel caso del Vinitaly magari c'è invece qualche problemuccio logistico per il fatto che la settimana indicata è quella che porta dritti dritti alla Pasqua (che sarà la domenica 8 aprile), ed è dunque possibile che un po' d'operatori dell'hotellerie e della ristorazione siano impegnati.
In ogni caso, meno male che in mezzo c'è un mese: vuoi vedere che stavolta si potrà fare busimess sul serio, prendendo i primi contatti in Germania e poi sviluppandoli a Verona? E il mondo del vino ne ha un gran bisogno di serietà.

17 aprile 2011

Testo e foto: Chiaré!

Enrico Lucarini
Buono buono buono! Accidenti, in genere non apprezzo più di tanto il bere mescolato, ma Andrea Palmisano con questo cocktail a base Bardolino Chiaretto ha fatto veramente centro. Va giù “a secchiate” questo Chiaré: di facile beva (poco alcolico) e intrigante (profumatissimo) ti seduce ancora prima che te ne possa rendere conto. Finitolo, il palato anela a ritrovare subito la sua freschezza, roba da bevitore seriale. Pure si sposa bene pure con l’aperitivo a tutto tondo: l’abbiamo provato con la trippa di Leandro Luppi e reggeva una meraviglia, e idem con il Monte Veronese nelle diverse stagionature!
Che sia nata l’alternativa allo spopolante spritz? Provandolo ho avuto la sensazione di trovarmi di fronte ad una di quelle grandi opere che segnano la storia, come chi per primo provò la pasta alla carbonara, per intenderci. Qualcosa che entrerà nella nostra vita quotidiana, una importante innovazione in punta di piedi. Chiaro?

16 aprile 2011

C'è chi sta col sughero (gratta e vinci incluso)

Angelo Peretti
Temo (per loro) che se la stiano vedendo brutta i produttori e commercianti di tappi in sughero se a Vinitaly han messo in campo un gruppo di baldi giovinotti & graziose giovinette vestiti di maglietta con su scritto IoStoColSughero, intenti a distribuire foglietti gratta e vinci che mettevano in palio soggiorni in Portogallo e Sardegna. Sissignori: ve la sareste mai aspettata solo una manciata d'anni fa un'offensiva del genere da parte del mondo dei tappi in sughero? Evidentemente il fiato sul collo da parte dei produttori di chiusure alternative cominciano a sentirselo.
Ora, la campagna IoStoColSughero è fatta con tutti i crismi dell'operazione moderna di marketing, inclusi ovviamente un sito internet "dedicato" e una pagina Facebook. E sembra puntar molto sulla leva "ambientale". In home page del sito si legge così: "Come sostieni le foreste di querce da sughero? Semplice, scegli solo bottiglie di vino con il tappo di sughero! In questo modo supporti una realtà fondamentale che contribuisce al mantenimento economico-sociale di queste foreste". Il che personalmente mi pare una forzatura, ma che invece tale evidentemente non pare a un organismo sensibile ai temi ambientali come il Wwf, che ha affiancato nella campagna l'Apcor (Associazione portoghese dei produttori di sughero ) e l'Assoimballaggi/Federlegnoarredo.
Chi mi legge, sa bene che io non sto col sughero, bensì con la capsula a vite, e le ragioni le ho spesse volte spiegate su quest'InternetGourmet. E dunque non concordo con quanto leggo sul sito della campagna, dove si dice che "il sughero è ancora oggi la soluzione più naturale ed efficace per proteggere e conservare il vino" e che "il sughero naturale favorisce la corretta evoluzione e conservazione del vino in bottiglia". E mi sembra francamente discutibile sostenere che grazie all'impegno dei produttori di tappi in sugheri "nel giro di soli cinque anni, il numero di bottiglie danneggiate dal TCA è diminuito dell’80%" se non si forniscono i dati su quante siano le bottiglie danneggiate. E comunque il TCA è solo uno dei problemi del tappo in sughero: di alterazione del gusto innescate dal tappo ce n'è altre, purtroppo. E mi domando chi mi rimborserà le bottiglie che troverò a vario titolo con difetti rivenienti dal tappo: mi basterà forse recarmi alla più vicina sede del Wwf?

15 aprile 2011

Morgon Climat Corcelette 2003 Daniel Bouland

Mario Plazio
Strani  i vini delle annate calde. Alla fine ho deciso di inaugurare una degustazione in due puntate visto il comportamento particolarissimo del vino in questione.  Il Beaujolais è una delle mie grandi passioni degli ultimi anni. Lasciando perdere la versione “nouveau” (che purtroppo tanti identificano tout court con l’aoc intera), il Beaujolais rappresenta una delle più riuscite espressioni di territorio che mi sia capitato di incontrare. Inoltre si tratta (per i migliori ovviamente) di vini caratterizzati da una beva strepitosa, lontana da eccessi di concentrazione, legno, alcol, ecc. che (peste li colga) costituiscono ormai la regola presso una sempre più nutrita schiera di produttori (italiani aggiungo). Ci avviciniamo molto alla Borgogna, non solo geograficamente, ma anche come sensazioni, specie dopo qualche anno di invecchiamento.
Il Morgon 2003 di Bouland ha offerto un naso etereo  e minerale con sentori di ciliegia sotto spirito e catrame. A questo  ha fatto seguito una bocca molto potente, poco coerente e soprattutto inficiata da tannini poco gradevoli. Alla pressione iniziale non corrisponde un dovuto allungo nel finale.
Un faccino e mezzo :-)
Il giorno dopo il vino si è letteralmente trasformato, anche nelle sensazioni tattili. Il naso assume un fascino incredibile: succo di liquirizia, fiori, sangue e ferro. Il richiamo ad un grande pinot nero è inevitabile. In bocca si sgonfia e si allunga, acquista eleganza e continuità. Rimane solo una certa aggressività nel tannino, ma la metamorfosi è stupefacente.
Due faccini e mezzo :-) :-)

14 aprile 2011

Le bollicine di monsieur Paillard

Angelo Peretti
Ho scritto ieri delle idee d'uno champagnista di punta come Bruno Paillard sul tema della sboccatura. Lui la data del dégorgement sulle sue bottiglie la scrive dalla prima metà degli anni Ottanta, e dunque ci crede davvero (bravo!). Questione di rispetto verso il bevitore, m'ha detto, e concordo.
Questo l'ho scritto ieri. Senza però dire nulla dei suoi vini. E dunque eccomi qui adesso con qualche breve nota sulle bolle che ho tastato.
Champagne Brut Première Cuvée
Rappresenta il 60% della produzione. Proviene dalle uve di trenta e passa differenti vigneti, e c'ha dentro più rosse che bianche (grosso modo, un 45% di pinot noir, un 22% di pinot meunier e il resto chardonnay). Vino piacevole. Champagne classicissimo. Agrumi, croissant, frutta secca.
Due lieti faccini :-) :-)
Champagne Rosé Première Cuvée
Soprattutto pinot, e un po' di chardonnay. Ed è un rosè di fascino considerevole, e d'eleganza altrettanto notevole. Si beve che è un piacere. Fruttino, velluto, freschezza, snellezza. L'ho bevuto già tre volte quest'anno e m'ha sempre favorevolmente colpito. Molto.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)
Champagne Brut Blanc de Blancs Réserve Privée
Conta appena per il 3% della produzione dell'azienda. Vino raro. Che viene dai Grand Cru della Côtes des Blancs. E che sa di frutta candita (e di scorza d'arancia, soprattutto, direi) e di fiori (bianchi) e di mandorla appena tostata. E che ha polpa e tensione insieme. E persistenza.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)

13 aprile 2011

Bollicine nere per il ministro

Angelo Peretti
Vero che uno quando ha sete può bere quello che vuole. Vero che ai vari convegni del Vinitaly sul tavolo c'era l'acqua minerale e mica il vino. Ma santiddìo la signora Ministro del Turismo Michela Vittoria Brambilla doveva proprio presentarsi con la lattina di Coca Cola davanti alle telecamere quando, alla fiera veronese del vino, ha siglato col suo neo-collega dell'Agricoltura, Francesco Saverio Romano, il protocollo d’intesa per promuovere in maniera coordinata il turismo enogastronomico italiano?
Eccolo qui il nuovo stile di promozione dell'Italia delle tipicità: bollicine nere.
Leggete cosa dice Vanity Fair.

Le sette vite dello Champagne

Angelo Peretti
Lo Champagne ha sette vite. Parola di uno che se n'intende. Si chiama Bruno Paillard, e lo Champagne lo fa proprio buono. M'ha dedicato un quarto d'ora del suo tempo per dirmi qualche cosa di suo sulla questione della sboccatura. Ricordate? Della faccenda del dégorgement ne ho parlato qualche po' fa riprendendo una proposta lanciata da Giovanni Arcari sul suo wine blog TerraUomoCielo: rendere obbligatoria l'indicazione della data di degorgiatura sulle etichette della bollicine fatte col metodo classico. Ebbene, Paillard m'ha detto che indicare la data della sboccatura è importante, fondamentale. Tant'è che lui lo fa dal 1983, e adesso tanti lo copiano, ma troppi lo fanno solo perché va di moda. Lui invece lo scrive perché crede sia importante che chi beve uno Champagne sappia cosa avrà nel bicchiere. Quale delle sette vite, insomma.
La prima vita è quella del dominio del frutto.
Poi arrivano i fiori ed è la seconda vita.
La terza è quella della "breadiness", della "paninosità", del pane fresco.
Quindi eccoci all'età delle spezie.
Si va avanti e arriva l'età della tostatura.
Ancora, ecco la vita della frutta candita, del pan d'épice.
Infine l'età della torrefazione.
Il tutto non in una sequenza di sostituzioni, bensì di arricchimenti, di sovrapposizioni. In un crescendo di complessità, ogni sensazione si somma alle precedenti. Solo l'indicazione della data di sboccatura può far da indizio al bevitore circa l'età nella quale troverà lo Champagne. Parola di Bruno Paillard.
Poi, lui è uno di quelli che son convinti che il vino, dopo il dégorgement, debba riposare abbastanza a lungo prima d'essere bevuto. M'ha detto che non a caso i francesi usano il verbo operé, che fa riferimento alla chirurgia. Il vino è stato sui lieviti per anni e poi è stato "operato", con la sboccatura. Allora ha bisogno d'un tempo di convalescenza. E siccome lo Champagne è vivo, allora il tempo della convalescenza sarà da valutare come lo si valuta per noi umani, che se ci operiamo da giovani abbiamo bisogno di poco tempo, e invece man mano che si va avanti con l'età ci mettiamo di più a recuperare. Stesso dicasi per una bolla: più è stata sui lieviti, più avrà bisogno di riposare dopo la sboccatura. Questo è il suo credo, ed è il credo secondo il quale fa le scelte di cantina e di commercializzazione. E siccome i suoi Champagne sono buoni, credo abbia proprio ragione.

12 aprile 2011

Soave Classico Le Rive 2005 Suavia

Mario Plazio
I Soave delle sorelle Tessari sanno affrontare il tempo senza alcun timore. Continuo ad ammirare sopra tutto il Monte Carbonare e a considerare le Rive uno scalino sotto per la minore capacità di esprimere negli anni l’eleganza del terroir.
Questo 2005 è a memoria uno dei migliori millesimi delle Rive che mi sia capitato di bere. Conserva un bel naso di erbe montane, anice, mandarino e spezie dolci. Al palato l’incisività è appena cullata dall’apporto del legno, che nel finale conferisce una vena di dolcezza che a mio avviso sottrae dinamica gustativa al liquido.
È comunque una gran bella bottiglia, un Soave succoso e vivo che potrebbe andare avanti ancora per qualche anno.
Due faccini e mezzo :-) :-)

11 aprile 2011

Come come? Il vino non sarebbe più un alimento?

Angelo Peretti
Ultima puntata del mio personale excursus tra le cose lette o sentite a Vinitaly, e faccio riferimento in particolare al dibattito sull'andamento del mercato italiano. E dall'inchiesta voluta da VeronaFiere sull'argomento son venute fuori - era inevitabile - parecchie ovvietà, ma anche degli spunti di riflessione notevoli. A volta anche delle affermazioni per me un po' sorprendenti. Ora, non so se quanto si legge in un comunicato stampa di Vinitaly corrisponda esattamente al suo pensiero, ma la frase attribuita alla gamberista Eleonora Guerini m'ha fatto sobbalzare sulla sedia. La frase è questa: "Per Eleonora Guerini bisogna scrollarsi di dosso quel complesso di inferiorità che impedisce di comunicare la qualità dei vini italiani, in questo momento secondi a nessuno, ma bisognerebbe anche che i produttori smettessero di pensare ai propri vini come a un alimento, visto che per i consumatori non lo è più".
Come come come? Per i consumatori il vino non è più un alimento? E sulla base di cosa si fa un'affermazione del genere? Certo, per gli enosnob il vino è soprattutto oggetto di godimento o status symbol. Ma per la gran parte dei consumatori il vino è ancora un pezzo di desco quotidiano. Sennò come lo spiegheresti che il vino più venduto in Italia è il Tavernello? Quello mica lo si compra per farci bella figura con gli amici a cena, e neppure per favorire la conversazione, e men che meno come istrumento di meditazione colta. Nossisgnori: lo s'acquista per berlo mentre si mangia. Come alimento. E questo vale per la stragrande maggioranza del vino italiano. Ed è una fortuna che sia così. Ed anzi, invito gli enostrippati a far marcia indietro e a riportare il vino là dove sta benone: in tavola. Come alimento. Piacevole. Da condividere. Elemento di convivialità.

10 aprile 2011

La casalinga di Voghera lo capisce che il vino è "un fenomeno e spettacolo naturalistico"?

Angelo Peretti
Qualche giorno fa commentavo l'indagine che il Vinitaly ha lodevolmente scelto di condurre nelle scorse settimane sull'andamento del mercato del vino in Italia. Intervistando vari esponenti della produzione e della comunicazione. Dicevo io, commentando, che c'è a mio avviso una maniera sola di far tornare seriamente la gente al vino, ed è quello di parlargliene nella più assoluta semplicità, parlando come t'ha insegnato tua madre, e facendoglielo assaggiare, 'sto benedetto vino.
Temo che questa maniera di parlare i cosiddetti comunicatori del vino l'abbiano smarrita per strada da lungo, lungo tempo, e forse anche in questo sta parte della disaffezione che un sacco di gente ha verso il vino, giudicato troppo elitario. Insomma, la casalinga di Voghera e il sciùr Mario, impiegato di banca, non comprano più il vino al ristorante perché hanno una fifa boia di sbagliare, di farsi prendere in giro solo perché non sanno come si fa a pirlare intorno il bicchiere. Al massimo arrivano a dire se gli piace o no (che poi bisognerebbe spiegargli che invece hanno capito tutto e che è questa la vera essenza della degustazione: dire se quel vino ti piace oppure no, e se ti piace è buono e se invece non ti piace allora per te non è buono, punto a basta).
Quasi a riprova del fatto che c'è una spaccatura fra il linguaggio della gente comune e quello dell'esperto, ecco che nell'indagine del Vinitaly sui perché della crisi del mercato italiano del vino leggo il commento di un critico di settore, Luca Maroni, che dice che serve “un Rinascimento culturale agricolo e naturalistico del nostro Paese – dice il giornalista Luca Maroni -, attraverso un progetto strategico che divulghi l’Italia del vino e degli alimenti come un fenomeno e spettacolo naturalistico, esempio di bellissime umanità virtuosamente applicate”.  Ecco, se la dici alla casalinga di Voghera, una cosa del genere, stai fresco che compra ancora una bottiglia di vino.

9 aprile 2011

Se gli altoatesini hanno una marcia in più

Angelo Peretti
Se andate a vedere il sito del Vinitaly, scoprirete che c'è una sezione titolata L'Italia del Vinitaly. Contiene la presentazione delle caratteristiche produttive delle varie regioni italiane. Stavo per scrivere delle regioni vinicole italiane, ma in realtà tutte le regioni italiane fanno vino.
Perché ne scrivo? Perché se andate a scorrere le varie pagine, troverete qualcosa che fa pensare. Questo: nelle varie presentazioni regionali si riporta il logo della Regione. Che c'è di strano? Niente. Se non fosse che l'Alto Adige ha un logo diverso: c'è il marchio Südtirol, certo, ma è piccoletto e per di più in grigio, poco evidente, mentre a spiccare è il doppio testo Südtirol Wein - Vini Alto Adige. Sissignori, i sudtirolesi presentano non già il logo della provincia autonoma, bensì il marchio dei loro vini. Marchio unitario.
Così si fa marketing territoriale, così si crea sistema, altroché. Concentrandosi sul prodotto, mica disperdendosi in mille bla bla bla. C'è da promuovere il vino dell'Alto Adige? E allora ecco il logo dei vini dell'Alto Adige. E basta.
Oh, sia chiaro: stavolta il fatto che abbiano la provincia autonoma e dunque un sacco di quattrini a disposizione non c'entra. Loro la promozione unitaria la fanno, e avere un marchio unitario non è questione di soldi. Semmai è questione di testa.

8 aprile 2011

Al supermercato crolla in vino in brik e cresce quello a doc, ma non c'è da stupirsene

Angelo Peretti
Vado avanti in questi giorni vinitalyani nel dire la mia sui temi che ho visto affiorare sul sito del Vinitaly. Oggi per esempio, 8 aprile, è in programma un convegno della fiera veronese per la presentazione di una ricerca condotta SymphonyIRI sull'andamento delle vendite del vino nella grande distribuzione. I risultati sono stati ovviamente anticipati da tempo tramite un comunicato stampa, che dice: "Calano le vendite del vino confezionato, ma crescono i vini a denominazione d’origine di fascia alta". Insomma, come si legge, "anche le vendite di vino nei supermercati nel 2010 risentono della contrazione dei consumi e confermano le difficoltà dell’intero mercato nazionale del vino". Però mentre "il dato totale delle vendite del vino confezionato (vino in bottiglia, da tavola e a denominazione d’origine, e vino brik) nel 2010 rispetto all’anno precedente è negativo, facendo segnare - 0,9% a volume (+ 0,4% a valore)", viene evidenziato che "crescono, invece, le vendite delle bottiglie da 0,75 l a denominazione d’origine (doc, docg e igt) che aumentano del 2,3% a volume ( e del 3% a valore). Ancor più significativo l’aumento delle vendite delle bottiglie a denominazione d’origine della fascia di prezzo da 6 euro in su, che mettono a segno un + 11,2% a volume ( e + 10,8% a valore)".
Come si devono leggere 'sti strani dati? Boh, ce lo diranno gli esperti. Quanto a me, la mia lettura è quella della celebre casalinga di Voghera. E dunque, per cercare di farmi capire anche dalle altre casalinghe, la articolo in tre punti. Primo, la povera gente non ce la fa più ad arrivare a fine mese, e dunque taglia tutto quel che può tagliare, ed è la gente che comprava il vino in brik o comunque il vino generico, e siccome non ha più soldi non lo compra più. Secondo, la cosiddetta "classe media", anche quella tira un bel po' la cinghia, e allora invece di andare al ristorante tutte le settimane preferisce stare a casa, ma una discreta bottiglia la vuole pur bere, e dunque quando va a far la spesa per comprare la roba da mangiare con i parenti o gli amici, compra anche la bottiglia di vino, ma siccome è in difficoltà ma non è ridotta alle pezze al culo, almeno si permette una bottiglia doc, non proprio di fascia bassissima, e dunque spende volentieri quei 6-8 euro che ti permettono di far bella figura comunque. Terzo: un po' tutti sono terrorizzati da 'sta maledetta storia della patente a punti, e dunque fuori casa non bevono più, per paura di essere beccati dall'etilometro, e allora cercano magari di bere una bottiglia a casa, e si ritorna allora al punto due, con le considerazioni che ho appena fatto.
Troppo semplicistico? Be', invece che ai superesperti, andate magari a domandarlo alla casalinga di Voghera o al sciùr Mario che fa l'impiegato in banca, e sentirete.

7 aprile 2011

Evviva! Dal prossimo anno il Vinitaly si svolge dalla domenica al mercoledì

Angelo Peretti
Ora, so bene che quel che ho scritto non ha influito nelle scelte. Però il fatto che il Vinitaly l'anno prossimo apra dalla domenica al mercoledì, anziché, com'è accaduto fino ad ora, dal giovedì al lunedì, be', mi lascia parecchio soddisfatto.
L'ipotesi di uno spostamento in avanti dei giorni d'apertura l'avevo lanciata lo scorso anno su quest'InternetGourmet, subito dopo l'edizione 2010 del Vinitaly. E facevo una proposta: "Mettiamo invece il caso che si apra la domenica per chiudere il mercoledì. Il sabato potrebbero agevolmente arrivare gli operatori esteri e per loro - così come per la stampa di settore - si potrebbero allestire serate promozionali in città e nelle province vicine: un'occasione di business extra fiera in più. Per gli arrivi a Verona, il sabato ci sarebbe l'opportunità di sfruttare voli low cost, minor affollamento sui treni e autostrade meno trafficate. La domenica - con gli espositori ancora 'freschissimi' - ci sarebbe il consueto bagno di gente, ma senza i caciaroni-ubriaconi del sabato. La domenica costituirebbe poi un'occasione d'oro per i media generalisti, che troverebbero pane per la loro smania di folla e di gossip, con corrispondente visibilità della fiera. Dal lunedì al mercoledì si farebbe effettivamente business, oltretutto con la ristorazione che potrebbe 'riappropriarsi' della fiera". Di recente la stessa proposta l'ho rilanciata sempre su InternetGourmet.
Ora, inaugurando il Vinitaly 2011, il presidente di Veronafiere, Ettore Riello, ha dato l'annuncio che succederà proprio questo: il prossimo anno si andrà dalla domenica al mercoledì. Lo potete leggere in un comunicato stampa ufficiale della fiera scaligera, che dice così:  "Inaugurazione di Vinitaly 2011 con la mente già proiettata al 2012, quando la manifestazione, che sarà in calendario dall’1 al 4 aprile, cambierà i giorni di apertura: non più dal giovedì al lunedì, ma dalla domenica al mercoledì. La 45^ edizione del più importante salone internazionale dedicato ai vini e ai distillati registra già alla prima giornata di evento un’ottima affluenza di operatori professionali, confermandosi la più grande fiera per il business e la cultura del vino, con più di 4.000 espositori da 23 Paesi su oltre 92.000 metri quadrati espositivi netti e che con Sol, Agrifood Club ed Enolitech rappresenta un poker di manifestazioni unico al mondo. 'Vinitaly ridisegna le proprie date - ha spiegato durante la cerimonia di inaugurazione il presidente di Veronafiere Ettore Riello -. Una scelta importante che amplia le giornate dedicate al business, ma che intende favorire anche ristoratori, chef e titolari di wine bar, che beneficeranno di più giorni coerenti con le loro giornate di chiusura settimanale'."
Che dire, se non che sono contento?

Riportiamo il vino fra la gente!

Angelo Peretti
Tra i tanti comunicati stampa che compaiono sul sito del Vinitaly, ce n'è uno dedicato al mercato italiano del vino. Attenzione: al mercato italiano, ai consumi interni. La cosa, di per sé, è una notizia: finalmente ci si preoccupa anche del mercato interno, dopo che ci hanno fatto una testa così dicendomi che o vai all'estero o non sei nessuno. Nossignori: il mercato italiano resta importante per il nostro vino, e andrebbe curato un po' di più e un po' meglio. Oh, sì sì.
Detto questo, sul comunicato del Vinitaly, uscito da un'indagine condotta nelle scorse settimane, si dice: "Si discute su come conquistare nuovi mercati, nella convinzione che chi non conosce il vino non lo può apprezzare, e intanto non si fa niente per i nuovi consumatori italiani. Quali? Quelli che negli ultimi 20 anni hanno cambiato radicalmente abitudini alimentari e sociali e i giovani, che il vino non sanno nemmeno come si produce". Parole sante. Solo che poi le soluzioni proposte son le solite, coi paroloni tipo "programmi di comunicazione" e "strategie".
Personalmente, ho una convinzione, che è come la scoperta dell'acqua calda, ma che credo sia pur sempre una scoperta, visto che l'acqua calda non se la fila nessuno, e si va invece a cercare la luna nel pozzo. La mia convinzione è che bisogna tornare a parlar di vino parlando come t'ha insegnato tua madre, e cioè con assoluta semplicità, e che bisogna che prima di tutto, prima di ogni chiacchiera, il vino si torni a farlo assaggiare alla gente (come volete che facciano a comprarlo, sennò: dovrebbero fidarsi delle chiacchiere?), e che tutto questo occorre che sia fatto dove la gente c'è ed è disposta a perdere due minuti per assaggiare e ascoltare il minimo che c'è da ascoltare (il minimo!).
Si obietterà: sì, belle parole, ma dov'è mai 'sto posto così magico?
Oh, è nelle prime periferie d'ogni città: si chiama centro commerciale, ipermercato, supermercato, outlet. Quello è il luogo della "nuova" aggregazione, che piaccia o no. Lì si deve riportare il vino. Lì lo si deve far assaggiare. E mica coi sommelier in livrea, nossignori. E ci vuole una bella dose di umiltà per farlo. E soprattutto ci vuole il linguaggio della semplicità, che è il linguaggio dell'outlet e del centro commerciale, appunto. Riportiamo il vino fra la gente, signori miei, e facciamolo parlando la lingua della gente. Quella comune.

6 aprile 2011

Tappo a vite: un convegno a Vinitaly

Angelo Peretti
Sì, vabbé, di appuntamenti a Vinitaly ce ne sono in calendario così tanti che è difficile ricordarseli tutti. Però uno mi permetto di segnalarlo. Perché tratta di un argomento di cui parlo da parecchio tempo su quest'InternetGourmet e anche perché ne sono in qualche modo protagonista. Ebbene: venerdì 8 aprile, dalle 14 alle 15.30, nella sala Respighi di Veronafiere (Palaexpo, primo piano) parleremo di vini neozelandesi e di tappo a vite (io preferisco dire capsula a vite, per distinguere le nuove chiusure da quelle "storiche" dei bottiglioni e dei liquori).
Titolo dell'appuntamento: "I pregiati vini neozelandesi con i tappi a vite: una storia di successo". L'organizzazione è del Consolato generale della Nuova Zelanda e del Guala Closures Group, che è leader di mercato. Io faccio da moderatore alla tavola rotonda, che prevede l'intervento di Clare Wilson (Console generale Nuova Zelanda), Flavia Straulino (Business Development Manager, NZTE Consolato generale Nuova Zelanda), Franco Cocchiara (Global Wine Coordinator Guala Closures), Armin Kobler (enologo e produttore di vino in Alto Adige, nonché wine blogger), Hosam Eldin Abou Eleyoun (AIS - Associazione Italiana Sommelier, delegato di Milano),  Jacopo Lupo Melia (Quality Wines, esportatore in USA e importatore di vini dal Nuovo Mondo),  Antonio Pasquale (Pasquale Ltd produttore di vini in Nuova Zelanda).
Alla fine, degustazione di vini neozelandesi, ovviamente chiusi con la capsula a vite, che è una sorta di emblema del panorama vinicolo nazionale.
Ah, dimenticavo: la presentazione del convegno dice così: "La qualità dei vini neozelandesi e l'utilizzo di sofisticati tappi a vite che ne garantiscono le caratteristiche organolettiche e il delicato equilibrio. I tappi a vite, un fondamentale fattore di packaging di successo per l'export di questi vini, potrebbero esserlo anche per i vini italiani di qualità". Quasi inutile dire che sono d'accordo: sì, la capsula a vite ben s'adatta ai vini italiani di qualità. Il problema, semmai, sono gli italiani, non i vini. Ma ne discuteremo a Vinitaly. Chi vuol dire la sua è atteso in sala Respighi.

E così 1855 s'è comprata ChateauOnline

Angelo Peretti
Per chi compra vini on line, questa è una notizia. L'ho letta sul sito della Revue du Vin de France: il portale di e-commerce francese 1855 ha comprato un suo concorrente diretto, ChateauOnline, vero e proprio pioniere della vendita di vino on line, nato nel 1998.
Sono da anni un cliente di ChateauOnline, anche se da qualche tempo ho progressivamente preferito la maggior flessibilità d'acquisto (e pure la celerità e regolarità di servizio) che mi offre Vinatis. E certo devo a ChateauOnline parte della mia "formazione" di bevitore di vini francesi. Per quanto riguarda 1855, non ci ho mai fatto acquisti perché trovavo formula e costi meno interessanti. Ho letto da qualche parte che 1855 avrebbe avuto anche qualche difficoltà nella regolare consegna dei vini acquistati en primeur, e la Revue lo ricorda. Tant'è che la stessa Revue ipotizza che l'acquisizione di ChateauOnline sia indirizzata anche a un lifting dell'immagine. Non so se sia vero e poco mi interessa saperlo. Da acquirente di vini francesi on line dico che spero che questa sia un'opportunità per noi clienti: sposare l'affidabilità di ChateauOnline con il catalogo di 1855 potrebbe offrire ottimi risultati.
L'obiettivo del nuovo agglomerato che ruota attorno a 1855 (c'è anche Cave Privée, che credo sia pure stata rilevata da non moltissimo) pare sia quello di arrivare a volumi di vendite intorno ai 20 milioni di euro già nel 2011. Se la cosa funziona, due soldini ce li metterò anch'io, con i miei click d'acquisto.

5 aprile 2011

Il Pinot Grigio fa cinquanta

Angelo Peretti
Il 1961 fu un anno eccezionale per il vino del "vecchio mondo". A Bordeaux l'annata venne valutata come grandiosa, come il 1945, e i vini di quella vendemmia continuano ad essere strepitosi e, ahimè, carissimi.
Nel 1961 nell'Italia del vino accadeva qualcosa che, senz'avere il tocco di magica grazia che è proprio dei rossi bordolesi di quell'anno, avrebbe comunque segnato un'epoca e che ancora continua a dare copiosi frutti. Succedeva che Santa Margherita presentava per la prima volta il suo Pinot Grigio dell'Alto Adige. Un vino fatto con le sole uve pinot grigio, vinificate in bianco, senza contatto mosto-buccia, e dunque senza il tono ramato tradizionale. Erano de resto gli anni dei vini "bianco carta" che avrebbero spopolato un bel po'.
Oggi, a tanta distanza, il Pinot Grigio di Santa Margherita, che è ora sotto la doc Valdadige, seguita ad essere un prodotto di successo: ho letto che se ne piazzano qualcosa come quattro milioni di bottiglie in settantacinque paesi del mondo, mica bazzecole. Ed anzi gli si deve attribuire buona parte di quel travolgente successo - sissignori, diamo a Cesare quel che è di Cesare - che il Pinot Grigio ha avuto e continua ad avere in particolare sul mercato americano e su quello inglese. Accidenti, non c'è da mica dargli torto a Ettore Nicoletto, amministratore delegato del gruppo vinicolo Santa Margherita, se in un comunicato stampa afferma che quello, per l'appunto, del Pinot Grigio è "un fenomeno che, lungi dall’essersi esaurito, continua a raccogliere interesse da parte di segmenti sempre più ampi di consumatori di vino, consolidandosi come uno dei fattori che guidano lo sviluppo non solo di Santa Margherita, ma di tutta la vitivinicoltura nazionale".
Il comunicato in parola è quello con cui viene annunciata, appunto, la cinquantesima candelina sulla torta del Pinot Grigio di Santa Margherita e l'appuntamento coi festeggiamenti fissati venerdì 8 aprile al Vinitaly. Un convegno alle 10.30, incentrato ovviamente sul oinot grigio italiano e sulle "letture" che se ne danno in viticoltura, in enologia, nell'approccio al mercato e nella gestione dei rapporti di filiera. E poi alle 15.30 una degustazione di Pinot Grigio del mondo.
Mi par giusto darne comunicazione, di quest'evento. Che piaccia o no quel vino, bisogna ammettere che i suoi cinquant'anni li porta bene. Parecchio.

4 aprile 2011

In onore dell'osteria veronese

Angelo Peretti
A Verona si chiama gòto il tozzo bicchiere delle osterie d’una volta. Ma invitare qualcuno ad andare assieme a bere un gòto è qualcosa di più che proporgli un bicchier di vino. Perché l’osteria veronese è prima di tutto il luogo eletto per la chiacchiera e il pettegolezzo. Il vino è il pretesto, e ci vuol tempo, e dunque non lo prendi mai da solo, ma l’accompagni sempre e comunque con qualcosa da sbocconcellare.
Senza tirare in ballo complicate teorie sociologiche sulle classe sociali, in città distingui fra chi ti offre un caffè e chi ti propone un gòto. I primi sono i forestieri, gli altri quelli che hanno radici nella città. Gli uni cercano un bar e si esprimono in un corretto italiano, gli altri praticano l’osteria e conversano in dialetto.
Nella prima metà del Novecento, Hans Barth diceva che Verona è l’osteria dei popoli. Impossibile capire Verona se non si frequenta l’osteria.
Lo rammenti, se vuole, chi sarà a Verona per il Vinitaly

3 aprile 2011

Chardonnay 2002 Valter Mlecnik

Mario Plazio
Da sempre i vini dello sloveno Mlecnik mi hanno intrigato. Per quel loro sapersi donare con generosità senza però essere pesanti. A differenza di altri colleghi che praticano una forte macerazione sulle bucce e che usano poca o nulla solforosa, i vini di Walter mi sembrano meno stereotipati, più vicini al territorio e al vitigno, più equilibrati insomma. E il suo è uno dei pochi Chardonnay dell’est Italia/Slovenia che ancora mi piacciono.
Ha un naso tra il frutto maturo e le spezie, con note varietali di pesca e nocciola. E poi anche muschio e cumino. Come spesso capita è in bocca che rivela la sua grandezza. Credo si manifesti qui la differenza tra un vino “convenzionale” e uno “naturale” (non andiamo oltre nella definizione).
Questo 2002 è appagante, maturo e fresco, si beve che è un piacere e ha una complessità invidiabile.
Tre faccini :-) :-) :-)

2 aprile 2011

Cala il vino, crescono gli antidepressivi: c'è una correlazione?

Angelo Peretti
Sul numero di marzo della Revue du Vin de France m'ha colpito l'editoriale del direttore Denis Saverot. Un editoriale coraggioso. Perché parla senza peli sulla lingua della campagna di denigrazione del vino che è stata giostrata in Francia negli ultimi anni. E credo che si possa fare un qualche parallelo con la situazione italiana, meno "feroce" di quella francese (almeno qui da noi non dobbiamo scrivere dovunque che il vino nuoce alla salute), ma certamente preoccupante, come ben sappiamo.
Dice Saverot che in Francia s'è assistito nel corso dell'ultimo decennio allo scatenarsi d'una violenta campagna verso il vino e verso chi lo produce e verso chi lo beve e verso chi lo vende. S'è cominciato nel 2004 assimilando il vino alla morte. Nel 2006 si è invocata l'astinenza totale come forma di lotta all'alcolismo. Nel 2009 si è detto che il vino è cancerogeno fin dal primo bicchiere. E perfino nella pubblicità del vino sui giornali o sui siti internet si deve scrivere: "L'abus d'alcool est dangereux pour la santé. A consommer avec modération", il che magari è buona cosa per la seconda parte, dove si raccomanda la moderazione (chi ama il vino non si sbronza), ma che così com'è fa tanto terrorismo informativo.
Ma c'è un ma, come ricorda il direttore della Revue. Ed è che se dal 1960 ad oggi in Francia il consumo di vino si è più che dimezzato, nello stesso periodo la vendita di ansiolitici e antidepressivi è passata da zero a 60 milioni di pezzi l'anno. E la crescita delle vendite è esponenziale.
Che ci sia una correlazione fra campagna anti-vino e boom della chimica antidepressiva e antiansia? Credo sia difficile affermarlo con certezza. Ma i latini consigliavano di chiedersi sempre "cui prodest?" e dunque domandiamoci a chi giovi davvero questo continuo scagliarsi contro il vino. Sarà mica che alla gioia d'un bicchiere di vino si vuol sostituire l'assuefazione alla pillolina magica, vero?
Uh, qui va a finire che si pensa male…

1 aprile 2011

Il cavatappi a pesce

Angelo Peretti
Questo è uno di quegli oggetti che un vero appassionato di vini non può non avere: il cavatappi a forma di pesce. Accidenti, se lo vorrei. Carino. L'ho trovato in vendita on line su un sito americano: 12 dollari e 99 centesimi.
Lo vorrei soprattutto per stappare la mia bottiglia d'oggi, visto che è il primo d'aprile e i pesci impazzano. Ma questo del cavatappi non è un pesce d'aprile. Esiste davvero. E sono perfino tentato di comprarmelo. Tanto, una volta all'anno è lecito andar giù di zucca. Vero che il detto si riferirebbe al carnevale, ma insomma, è poi il primo d'aprile.