31 maggio 2010

Vinino: se ne parla su Vino 24

Angelo Peretti
Oh, accidenti, questo mi era sfuggito: un post dedicato al vino pubblicato da Cosimo Ricciato su Vino 24 (la foto qui accanto è presa proprio dal blog) Che scrive a proposito del convegno-degustazione che, insieme con Santa Margherita (e su loro espressa ispirazione e sollecitazione), ho potuto realizzare a Vinitaly.
Leggo così: "Un evento interessante che mi ricollega alla parola autoctono e territorialità c’è stato, ho assistito con molto interesse al dibattito-degustazione: bere col sorriso ovvero l’elogio della piacevolezza del vino, organizzato e presentato dall’azienda Santa Margherita e dall’Internet Gourmet Angelo Peretti, colui che, in poche parole ha dato vita ai Vinini".
Poi, Ricciato si chiede: "Che cosa sono i Vinini?" E risponde: "I vinini, brevemente, vogliono essere quei vini che vengono raggruppati in una fascia ben derminata; quella dell’ immediata godibilità, la genuina convivialità, vini capaci di accompagnare tutto il pasto, la fascia di prezzo (massimo otto-dieci euro), non essere mai banali come vini, la facile reperibilità e infine un legame con il territorio da cui provengono, quest’ultimo molto importante. Penso che non sia facile fare una selezione accurata seguendo tutte queste caratteristiche, ma basandomi sulla degustazione dei vini fatta al dibattito, tutto si è rivelato molto piacevole, specialmente nel caso del vino bianco da tavola ottenuto con l’autoctono campano: Catalanesca (penso che ne parlerò più avanti), davvero molto interessante. Secondo me si può fare".
Poi, le considerazioni finali: "Buon punto di partenza sicuramente, per quanto riguarda i vinini, ma la mia riflessione principale si sposa con l’educazione al bere, specialmente per quanto riguarda il bere dei nostri giovani, a mio avviso bisognerebbe coinvolgere le grandi e piccole aziende vitivinicole a partire con progetti mirati a questo tipo di educazione, i giovani, gran parte di loro non conoscono nemmeno la differenza tra alcolico e superalcolico e poi, in tanti il vino non sanno proprio cosa sia. Mi faccio due domande che ritengo essenziali, chiedendo un parere e qualche risposta: sono loro i consumatori del futuro? Se si, i vinini o qualcosa di simile quanto dureranno? E poi a conclusione della mia riflessione penso che il nome Vinini sia troppo riduttivo per un prodotto che è stato ottenuto da un lavoro duro e impegnativo durato come minimo un anno".
Il dibattito prosegue, dunque.

30 maggio 2010

Soave Classico la Froscà 2005 Gini

Mario Plazio
Note di evoluzione si percepiscono dal colore dorato.
All’olfatto è aperto e solare, si avvertono la frutta matura, gli agrumi, il miele. Intriganti i profumi di spezie e tartufo.
La beva è tesa e sferica allo stesso tempo.
Pur non avendo visto il legno odora di vaniglia, pepe e liquirizia.
Finale addirittura balsamico e gradevolmente vegetale a dare luce ad un palato decisamente armonico.
Un vino a perfetta maturazione, ma che potrebbe dare soddisfazione ancora per 4-5 anni.
2 lieti faccini abbondanti… :-) :-)

29 maggio 2010

Champagne Brut La Desirée Michel Furdyna

Angelo Peretti
Squadra che vince, non si cambia, si diceva nel fùbal di una volta, quello che si giocava per passione, mica il football odierno dei multimilionari in braghette corte supersponsorizzati. Oppure si sanciva che chi lascia la via vecchia per la nuova, sa quello che lascia, ma non quello che trova. E insomma avete capito il senso.
Ora, gli è che da qualche anno a questa parte, in fatto di bolle fraciose provo e riprovo, e trovo anche grandi bottiglie, ma alla fine ritorno sempre "a casa" e mi stappo volentieri uno Champagne che trovo piacevolissimo, costantemente ben fatto, e per di più ad un prezzo accettabilissimo: il Brut Réserve di Michel Furdyna.
Essendo però Furdyna uscito con una serie d'altre bottiglie, ho voluto provare. Ed anche se con qualche scetticismo, ho preso il suo nuovo chardonnay, La Desirée. Scetticismo dovuto al fatto che di solito preferisco le bolle che vengono dall'uve nere, e infatti la Réserve è pinot noir.
Dico ora che questa Desirée è una bella sorpresa. Per chi ami i blanc che sanno d'agrumi. E infatti è questa la sensazione dominante: l'agrumato. Che rende freschissima la beva.
C'è poi un che di mandorla tostata, un accenno di brioche all'albicocca. Ma giusto un accenno. Domina l'agrume, l'arancia rossa, il mandarino, il kumquat.
C'è anche bella salinità. Va giù che è un piacere.
Viene intorno ai 24 euro on line, confermando il grande rapporto qualità-prezzo dei vini di questa maison.
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)

28 maggio 2010

Vinino: ne parla Marina Alaimo

Angelo Peretti
Un vinino in Calabria. Ne parla Marina Alaimo, sommelier campana ed ottima wine writer sul blog di Luciano Pignataro, recensendo il Magno Megonio 2008 - un igt della Val di Neto - di Librandi.
"Sto sicuramente infilando la strada maestra dei luoghi comuni - scrive Marina - asserendo che non si finisce mai di imparare, ma mai come in questo caso la massima trova giusta conferma. Tra le occasioni perdute della vita ritrovo il magliocco, questo sconosciuto, antico vitigno calabrese, che finalmente ho avuto il piacere di incontrare alla degustazione Slow Food dei vini Librandi all’Hotel Romeo di Napoli. Magno Megonio 2008 di Librandi è il vino in questione, prodotto appunto con uve magliocco dolce in purezza, il vinino per eccellenza, come direbbe l’amico Angelo Peretti, pensando questo termine per identificare un vino che sappia raccontare con estrema sincerità il proprio territorio, a piccoli prezzi".
Ora, ringraziando per la citazione, segnalo anche che Marina Alaimo abbina a questo vino un brano musicale, che mi pare perfetto: la fuga dal "Clavicembalo ben temperato" di Bach reinterpretata in chiave jazz dagli Swingle Singers. Un adattamento apparentemente semplice, addirittura orecchiabile, in realtà dotato di bella personalità. Come ha da essere un vinino. Provare per credere: l'articolo, con relativo video musicale d'antan, si raggiunge anche cliccando qui.

Colli Tortonesi Derthona Timorasso Costa del Vento 2007 Walter Massa

Mario Plazio
Uno dei temi alla moda di questi tempi riguarda la presunta mineralità del vino. È vero che c’è una proliferazione e un abuso del termine. È anche vero che non è semplice capire in che cosa dovrebbe consistere questa supposta mineralità. È altrettanto vero però che molti vignaioli hanno affinato le loro competenze, hanno adottato schemi produttivi più rispettosi e “naturali” (non apriamo il dibattito su questo termine) che consentono alle piante di affondare le radici più in profondità. Oppure hanno recuperato vecchie vigne, terreni o uve abbandonate per la difficoltà di ottenere un prodotto valido sul piano organolettico e redditizio economicamente. Fatto sta che nemmeno io ho la risposta pronta in merito alla questione iniziale. Come si esprime la mineralità in un vino?
Una certezza però credo di averla. Il Timorasso di Walter Massa sprigiona mineralità. È una sensazione immediata, ne vieni travolto e non puoi che definirla in questo modo.
Il Costa del Vento è per me un vino “freddo”, spietato nella sua essenzialità fatta di pura tensione. Così si prova ad accostarlo ad un grande Riesling alsaziano, di quelli più introversi e meno disponibili.
Poi però trovi anche certe sensazioni che hai provato negli chenin della Loira, dal lato di Vouvray, meno solari ad aperti dei cugini di Montlouis o di Savennières.
Non posso fare a meno di citare come il liquido sia implacabile nella sua progressione, la bocca è cesellata, regala fini ricordi di agrumi e di fiori di cappero, di mare. Uno dei pochi bianchi d’Italia in grado di emozionare.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)

27 maggio 2010

Finalmente una guida ai vini esteri importati in Italia: è su Enogea

Angelo Peretti
Ecco, se dovessimo ragionare alla maniera di Facebook, sarei un fan. Di Enogea, la rivista - pardon, la "newsletter bimestrale indipendente" - di Alessandro Masnaghetti. E, permettetemi, del suo fido collaboratore Francesco Falcone. Gente che ha dimostrato coi fatti che di vino ne capisce eccome.
Enogea, per chi ancora non la conoscesse, non si trova in edicola. Tocca abbonarsi. Ed è un piacere leggerla. Niente pubblicità. Tanta giusta soggettività. Vivaddìo, questa è informazione.
Sull'ultimo numero arrivato per posta, è proprio Falcone (sul sito di Enogea si dice che "è uno che gira, gira, gira e poi gira ancora. Assaggia molto e ha l’entusiasmo di chi guarda le cose con occhio limpido") a firmare una rubrica che spero - come leggo nelle intenzioni dichiarate - possa continuare: è la recensione dei vini stranieri importati e distribuiti in Italia. Finalmente. Più che una rubrica, un servizio.
La prima tappa è dedicata a Balan, che importa Schloss Johannisberger (grandi Riesling tedeschi), un bel po' di ottime cose borgognone, un che d'Alsazia e di Rioja, e poi Belgrave, Clos de Jacobin e Valandraud dal Bordolese.
Prossime tappe Bolis, Meregalli, Moon Import, Fratelli Pellegrini, Sarzi Amadè. Benissimo. Perché in effetti, come scrive Francesco, "orientarsi nei cataloghi degli importatori di vini esteri non è mai facile né per il più preparato dei sommelier, né per il ristoratore più ambizioso, né per l'amatore incallito". E dunque il più delle volte la scelta è orientata sui soliti noti. Perdendo occasioni preziose, per sé e per i clienti.
Ora che alla buon'ora c'è anche una sorta di guida agli importatori, mi aspetto - ma mi illudo: è impossibile - un miracolo. Ossia che i medesimi importatori accettino di vendere (anche a casse, a lotti, quel che si vuole) ai privati che hanno passione per il vino. Trovo insopportabile leggere i siti dei distributori e non poter mettere le mani su qualcheduna delle bottiglie che hanno in catalogo. Sarebbe tempo che anche in Italia ci fosse un servizio decoroso di vendita - on line, su catalogo, quel che volete - per l'appassionato che non abita nelle grandi città dotate di super-enoteche. Lo so: mi illudo.

26 maggio 2010

Côtes de Duras Rouge Vieillefont 2006 Domaine Mouthes Le Bihan

Mario Plazio
Una denominazione poco conosciuta in Francia, figuriamoci da noi…
"Sente" la vicinanza dei vicini bordolesi nel suo incedere austero ed elegante, tutto fiori e mineralità.
Anche al palato si segnala più per la finezza che per la potenza.
Riesce ad ogni modo ad andare in profondità restando spontaneo e solare, non per le note mature, ma per quella facilità di approccio che difficilmente troviamo in tanti altri vini anche più celebrati.
Sarà anche perché prodotto in regime biologico o biodinamico (non so dire quale dei due), però accomuna complessità a facilità di beva.
Certo non è tra i più raffinati, i tannini non sono setosi ed emerge una certa rusticità… autentica.
Non chiediamogli troppo e approfittiamo ora di quanto ci sa offrire.
Due faccini lieti :-) :-)

25 maggio 2010

Arrivano i Bordeaux della modernità: sarà vera gloria?

Angelo Peretti
Qualche giorno fa ho scritto dei diversi pareri che stanno arrivando dai critici enoici in merito alla grandezza o meno della vendemmia 2009 nella zona di Bordeaux. C'è chi, come Steven Spurrier (è lui nelle foto qui accanto) dice a gran voce che si tratta della migliore annata di sempre, e lo dichiara su una rivistona come Decanter. C'è invece chi, come il nostro Alessandro Masnaghetti sulla sua Enogea, dice che sì, ci sono dei veri e propri fuoriclasse, ma per il resto è da vedere se si tratta di un'annata "grande" oppure "grossa".
Insomma: mica facile capire come stiano veramente le cose.
C'è tuttavia un passaggio del pezzo di Spurrier che mi pare illuminante. Quello in cui parla di "espressione moderna" dei rossi bordolesi.
Dice cioè che in questi ultimi anni il mix generato dal riscaldamento globale e dalla dotazione tecnica di cantina, che permette di affrontare uve surmature, ha "spinto Bordeaux nell'epoca moderna" e che col 2009 i produttori bordolesi questa modernità l'avrebbero totalmente abbracciata e che "non torneranno più indietro".
Aggiunge Spurrier: "Le vendemmie degli anni Novanta sono spesso state viste come la conferma di un magnifico passato. Quelle degli anni Duemila davano maggiormente l'impressione di dove ci si stava indirizzando. Nel 2009 sono arrivati a destinazione. Il moderno Bordeaux ora guarda verso un brillante futuro".
Signori, si cambia, dunque. E per chi, come me, ama la classicità bordolese, be', temo saranno anni duri, quelli che si prospettano.
La questione, però, è quella di farsi un'opinione direttamente, nel bicchiere. Ed a sentire Spurrier stavolta non occorre aspettare che escano i vini delle appellation maggiori, che sono anche i più costosi. Perché le sentinelle del cambiamento si trovano anche nelle denominazioni bordolesi minori, e perfino nei vini "base".
"In ogni vendemmia - si legge nel suo servizio su Decanter - ci sono eroi sconosciuti. Alcuni anni fa, era Fronsac, rinomata un secolo prima, poi virtualmente ignorata. Non più. Adesso ci sono i 'semplici' Bordeaux della denominazione 'base', i Bordeaux Superieur, i Premiéres Côtes de Bordeaux, i Côtes de Blaye e de Bourg. Qui le uve erano perfettamente mature e la passione e la dedizione dei produttori si sono dimostrate forti come altrove e così sono stati prodotti splendidi vini. Vini del genere sono i nuovi Bordeaux".
Vini del genere, aggiungo, usciranno presto sul mercato. E non avranno certamente prezzi inaccessibili. Sarà così possibile farsi un'opinione. Senza svenarsi. Per cercar di capire se sarà vera gloria. O nuova moda.

24 maggio 2010

Pinot Nero 2007: oro a Castelfeder, e concordo, ma provate anche quest'altro

Angelo Peretti
Di recente si sono svolte a Montagna, Alto Adige, le premiazioni del concorso del concorso nazionale del Pinot Nero. Nell'ambito dei Blauburgundertage, i Giorni del Pinot Nero. Non sono riuscito a partecipare alla cerimonia. Ma sono stato fra i degustatori che hanno tastato i vini.
L'annata in esame era quella del 2007. Si assaggiava "a tavoli". Nel senso che ciascun vino era sottoposto a tre degustatori seduti allo stesso tavolo: ciascuno dava un giudizio in autonomia, poi si doveva discuterne a tre, assumere una decisione condivisa e comunicare la valutazione all'organizzazione. Strano metodo. Che tuttavia ha permesso, a mio avviso, di centrare, almeno in parte, l'obiettivo di chi l'ha ideato: premiare i Pinot Neri che somigliano di più a dei Pinot Neri, e non a certe marmellate tanniche che nulla hanno a che vedere con l'eleganza del vitigno borgognone e del vino che se ne dovrebbe trarre.
Dico com'è andata dal lato ufficiale: primo premio al Pinot Nero Alto Adige Burgum Novum di Castelfeder, azienda di Kurtinig, nella Bassa Atesina. Secondo posto per il classicissimo, intramnontabile Mazzon di Gottardi, ad Egna. Terzi, pari merito, il Ludwig di Elena Walch, celebre vignaiola di Termeno, il vino di Maso Cantanghel, da Civezzano, in Trentino, e il Vigna di Saosent della Cantina Valle di Cembra, pure tridentina. All'Alto Adige, dunque, un oro, un argento e un bronzo, al Trentino due bronzi, se vogliamo metterla in termini di medagliere in stile olimpico.
Detto questo, qual è il mio personale parere?
Il mio personale parere è che concordo, nella sostanza, con l'esito finale del concorso. E lo posso dire ora che ho ricevuto i nomi dei vini che ho provato: sin qui, avevo solo la numerazione.
Il Pinot Nero vincitore, quello di Castelfeder, m'è capitato sia nelle batterie eliminatorie che, ovviamente, nella finale. Nelle eliminatorie è stato il vino cui ho attribuito il punteggio più alto. Nelle finale, per me era da considerare il secondo in assoluto, giusto a un'incollatura da quello che a mio avviso era il più intrigante, e che però non è invece salito sul podio (che vino fosse, adesso non lo dico: proseguite fino in fondo, per favore, se volete saperlo). Dunque, concordo che il Castelfeder fosse da premiare, alla grande. Nelle mie note ho scritto: "Colore scarico da Pinot Nero. Al naso frutto e spezie, bocca in parallelo. Spezie, accenni di rabarbaro. Buonissimo. Fresco. Succoso". Gran bel vino. Da comprare a occhi chiusi. Gli ho dato 93 centesimi, per quel che conta un punteggio centesimale.
Il vino di Gottardi l'ho bevuto solo in finale. Per me, il quarto in ordine di punteggio. I miei appunti: "Naso officinale. Rosmarino. Poi fruttino. Spezie. Bocca sulla spezia. Pieno. Elegante. Mediterraneo. Bel tannino". Il solito fuoriclasse, insomma: il Mazzon non tradisce mai. Per me, è da 90 centesimi, ed è un punteggione, per i miei standard.
Il Pinot Nero di Elena Walch mi ha convinto a dare 92 centesimi in finale (non l'ho avuto in batteria), piazzandosi al terzo posto nella mia personalissima graduatoria. Me lo sono appuntato così: "Naso speziato, piacevolmente. Bocca di rabarbaro, spezia, china, fragolina, lampone. Ricco. Fresco. Succoso". Da strabere.
Ora, i due trentini: Maso Cantanghel e Val di Cembra.
Il primo, Maso Cantanghel, l'ho avuto nel bicchiere ben due volte nella finale (la formula prevede assaggi "random", per cui lo stesso vino può esserti servito più volte, ma tu non lo sai). Ebbene, tutt'e due le volte m'è piaciuto, ma senza esaltarmi, e infatti in entrambi i casi gli ho assegnato esattamente lo stesso punteggio: 78. Magari l'ho un po' penalizzato perché m'è parso un po' vegetale all'olfatto, ed è una nota che in genere non apprezzo, mentre per altri può essere un aspetto positivo, in quanto capace - mi si è spiegato - di portar con sé una certa rusticità. Pareri diversi.
Il Vigna Saosent della Cantina della Val di Cembra ho assegnato 86 centesimi, che è una valutazione piuttosto alta. L'ho definito nelle mie note "rustico", pur'esso per una certa erbaceità, ma l'ho trovato di costrutto più interessante dell'altro. Sempre parere soggettivo.
Ora, manca l'altro vino, quello che per me è stato il più interessante, ma che non è andato a medaglia.
La mia nomination personale è dunque questa: Alto Adige Pinot Nero Matan 2007 Ansitz Pfitscher. Piccola azienda di Montagna, conduzione familiare, leggo. Vino buonissimo. L'ho bevuto (già, bevuto, alla faccia del degustare) solo nella finale. Gli ho assegnato 94 centesimi. Mi sono scritto: "Naso assolutamente varietale. Bocca minerale, tannica il giusto, fruttatissima. Ha muscolo, ma anche succoso frutto dolce". Vedo che nella classifica finale è al settimo posto, in buona compagnia, con Carlotto e Unterortl (Castel Juval). Be', se ricapito da quelle parti me lo compro.

23 maggio 2010

Angiolino Maule e il Pico dei crû

Mario Plazio
Metti una serata per una degustazione informale ma approfondita di una annata di Pico, vino prodotto in quel di Gambellara dal vignaiolo naturalista Angiolino Maule. Metti una discussione tra amici sul reale significato dei vari terroir e sull’impatto che una viticoltura poco interventista hanno su di un vino. Ne risulta un assaggio assai (la ripetizione è voluta) stimolante e didattico, di quelli che fanno riflettere.
Comincio con il dire che collaboro con Angiolino all’organizzazione di Villa Favorita, kermesse dedicata ai vini naturali (nella accezione più ampia possibile) che si svolge annualmente a Montebello. Questo per non far sorgere retropensieri su di un eventuale conflitto di interessi.
A me piace indagare, cercare di capire e se possibile (ri)trovare il gusto di un vino originale. Che questo avvenga attraverso un vino bio o naturale che dir si voglia, o attraverso un vino più convenzionale, non ha importanza. O meglio, ne ha, ma non prescindo da alcuni parametri che ciascun vino deve possedere per potermi comunicare a livello emozionale. Ed è indubbio che negli ultimi anni molti di questi vini “emozionali” provengono da vignaioli orientati verso un maggior rispetto del suolo e dello stomaco del consumatore. Chiuso il capitolo, pronto a discuterne più a fondo in sedi più consone. Da alcuni anni Maule ha deciso di imbottigliare il suo vino emblematico, il Pico (lo ricordo, garganega in purezza da terreni vulcanici collinari di Gambellara) in quattro diverse versioni: tre singoli vigneti e un blend paritario di quello che resta, circa il 50% della produzione. Sottolineo infine che il Pico non vede solfiti in nessun momento della sua vita. Per chi volesse maggiori informazioni rimando al sito del produttore. Ho anche inserito i punteggi in centesimi per completezza dell’informazione.
Il Pico dei crû.
Faldeo – il minerale
Leggero perlage. Il più chiuso e ridotto, ha richiesto più tempo degli altri. L’iniziale pesantezza si ribalta con i minuti tanto da divenire il più fine. Pietra focaia, smalto, resina, pera, gelsomino e humus compongono un naso molto variegato. Al palato denota una certa alcolicità che lo rende il più morbido dei tre. Predomina la mineralità, associata ad una bella sapidità. La persistenza è media. Finale da tè macerato e menta.
89
Monte di Mezzo – il balsamico Più intenso di colore. Da subito sembra più disponibile del precedente. Emerge una forte balsamicità associata a profumi di goccia di pino mugo, pesca, fieno e uva passa. In bocca domina una acidità che aiuta nella spinta. Riflettendo è una acidità dovuta ad una materia prima meno fine e compiuta, e per questo emerge con maggior decisione. Il più aperto e prevedibile dei tre, anche se stiamo parlando di un vino comunque fuori dagli schemi. Segnalo un piccolo cenno di ossidazione nel finale, cosa non emersa con Faldeo e Taibane. Niente di preoccupante comunque.
87
Taibane – il fruttato Quello con la tinta più intensa. Sensazione di grande armonia tra le percezione di un frutto maturo e al tempo stesso una favolosa finezza. Il più maturo e fruttato, sfuma nella frutta tropicale (ananas), nella prugna fresca e finisce in un ricordo di sasso bagnato e di balsamico. Al palato propone in certo senso una sintesi tra i due precedenti. Più morbido del Monte di Mezzo e più fresco ed acido del Faldeo, si insinua accogliente, sornione e saggio per non finire più.
92
Conoscendo il Pico da oltre 10 anni e le evoluzioni stilistiche che lo hanno accompagnato in tutto questo tempo, devo riconoscere che finalmente il vino sta trovando un suo equilibrio. Finiti gli anni del legno e delle macerazioni estreme, il Pico si rivela come un vino fine ed equilibrato.
Rivela con grande precisione il suo terroir e guadagna in piacevolezza di beva.
Messo a confronto con un altro noto e pluripremiato vino ottenuto da uve garganega ha messo in luce una prestazione imbarazzante per quello prodotto con metodi “convenzionali”. Soprattutto a livello di qualità di beva, di spontaneità, di assenza di gabbie precostituite.
Perdonate il confronto blasfemo: mi ricorda quella pubblicità di un tè deteinato che, si raccontava, fa bene qui, fa bene qui. Io so solo che il Pico è oggi buonissimo e non fa assolutamente male.

5-6 giugno 2010: Italia in Rosa a Moniga del Garda e Lazise

È un’edizione da record di Italia in Rosa quella che si svolgerà sabato 5 e domenica 6 giugno su un lago di Garda che si veste del colore rosa per questa rassegna del Chiaretto, dei vini rosati e delle bollicine rosé nazionali: giunta al terzo anno, la manifestazione propone in degustazione più di 300 vini provenienti da tutt’Italia, proposti da ben 240 aziende. Anche la sede espositiva raddoppia: accanto all’ormai consolidata location del parco di Villa Bertanzi, a Moniga del Garda, sulla sponda bresciana del lago, apre al pubblico la cinquecentesca Dogana Veneta di Lazise, sulla riva veronese. I due poli espositivi saranno collegati da un servizio di navigazione, che permetterà dunque agli appassionati di accedere ad entrambe le aree d’assaggio. E per accompagnare i vini saranno disponibili i prodotti tipici del territorio (formaggi, salumi, olio, pesce) ed alcuni piatti della tradizione gardesana, cui si aggiungerà, a Moniga, il gelato al Chiaretto.
Italia in Rosa, organizzata dai comuni di Moniga del Garda e Lazise e dai Consorzi di tutela del Garda Classico e del Bardolino, accomunati dalla tradizione condivisa del Chiaretto (la sua formula venne ideata nell’Ottocento dal senatore Pompeo Molmenti proprio nelle cantine di Villa Bertanzi, a Moniga), si conferma dunque la maggior manifestazione nazionale dedicata ai vini rosati.
A far la parte del leone nel catalogo degli espositori è il Veneto, rappresentato da ben 69 produttori (il Bardolino Chiaretto, che “gioca in casa”, è il vino più presente), ma subito a ridosso c’è la Lombardia, con 59 aziende (ancora Chiaretto, stavolta del Garda Classico, e poi Franciacorta Rosé e Cruasè dell’Oltrepò Pavese). Seguono, sostanzialmente allineati in termini di rappresentanza, l’Abruzzo (16 produttori, con il Cerasuolo protagonista assoluto), la Sicilia e la Toscana (13 aziende per ciascuna delle due regioni: nel primo caso prevalgono vini a base di Nero d’Avola, Nerello Mascalese e Syrah, mentre i toscani propongono soprattutto rosati tratti dal Sangiovese), mentre viaggiano attorno a quota 10 il Trentino Alto Adige (Lagrein e Schiava, in particolare), la Puglia (con alcuni fra i suoi più celebri rosati), l’Emilia Romagna (soprattutto con il Lambusco in versione rosata), la Campania (con il Lacryma Christi e l’Aglianico del Taburno in rosé) e il Piemonte (con il Nebbiolo vinificato in rosa). Chiudono le Marche, la Sardegna, il Friuli Venezia Giulia, la Calabria, la Basilicata, il Lazio, il Molise e l’Umbria. Di fatto, tutta l’Italia del vino “in rosa” sfila a Moniga del Garda e Lazise, offrendo una straordinaria panoramica del settore. Cui si aggiunge un accenno di Francia: i “cugini” transalpini avranno una decina di aziende presenti, provenienti dalle Languedoc Roussillon.
Quanto ai vitigni utilizzati negli uvaggi dei vini in degustazione, accanto alle uve gardesane, come la Corvina Veronese, la Rondinella, il Groppello e il Marzemino, prevalgono varietà quali il Sangiovese, il Montepulciano, il Negroamaro, mentre il Pinot Nero è presente soprattutto fra gli spumanti. Buona rappresentatività anche per Lagrein, Lambrusco, Nebbiolo e Merlot. Fra le curiosità, la presenza di vitigni quali il Wildbacher, lo Zweilgelt, l’Aleatico e la Lacrima.
Il biglietto d’ingresso unico è proposto a soli 5 euro. A coordinare il servizio dei vini sono gli staff dell’Associazione Italiana Sommelier della Lombardia e del Veneto: il sabato si assaggia dalle 17 alle 23 e la domenica dalle 11 alle 23 (cancelli chiusi dalle 21.30).

22 maggio 2010

Bordeaux 2009: non capisco

Angelo Peretti
Mumble, mumble: dicono così i personaggi dei fumetti quando sono pensierosi. Ecco, è il mio stato d'animo ora che ho letto alcune recensione delle degustazioni en primeur dell'annata 2009 a Bordeaux e dintorni. Oh, no: non capisco. Non capisco, intendo, se ci debba preparare ad aprire il portafoglio per prenotare vini indimenticabili, oppure se sia meglio andarci cauti.
Cerco di spiegarmi con qualche citazione.
Comincio con Decanter, la rivistona inglese. La copertina del numero di giugno, appena arrivato in edicola, parla chiaro: "Bordeaux 2009. La migliore annata della mia vita". L'affermazione è di Steven Spurrier, che firma il servizio interno. Che ha un titolo ancora più perentorio: "Bordeaux 2009: il migliore di sempre". Accidenti!
Il pezzo di Spurrier comincia così: "Molti degli châteaux di Bordeaux - e succede che io sia d'accordo con loro - sono dell'opinione che il 2009 sia stata la migliore annata che la regione abbia mai avuto". Mica male, come esordio.
Più avanti c'è il raffronto col 2005, che già fece gridare al miracolo la critica anglo-americana: "La comparazione col 2005 è stata inevitabile, con l'opinione generale che mentre il 2005 era un'annata più strutturata, il 2009 aveva più frutto, essendo inoltre il maggior livello di alcol bilanciato da una notevole freschezza fornita dall'acidità naturale e la potenzialità d'invecchiamento garantita dai più alti livelli di tannini mai registrati prima a Bordeaux".
Ancora le parole di Spurrier: "Di fatto, solo in casi molto rari l'alcol e i tannini si affermavano nel bicchiere - le annotazioni più frequenti che compaiono nei miei appunti sono fragranza, purezza, profondità e armonia".
Insomma, un quadro generale di quelli che ti fan venire la voglia di prenotare i vini prima che escano sul mercato.
Poi però ho letto anche qualcosa di italiano. Di qualche collega italico che è stato alle degustazioni bordolesi, intendo, e la convinzione della super annata mi si è un po' offuscata.
Ernesto Gentili, sul blog co-prodotto con Fabio Rizzari (i due son quelli della guida de L'Espresso, per chi non li conoscesse), scrive così: "Il millesimo 2009 si preannunciava tra i più riusciti del nuovo secolo, in grado di rivaleggiare con il superbo 2005, e non ha in effetti deluso le aspettative. Anche se si può sinteticamente affermare che, nel confronto, presenta minore omogeneità complessiva e, per contro, un maggior numero di eccellenze assolute. Se infatti nel 2005 tutti i vini si sono collocati su un piano più alto dello standard consueto, così non è avvenuto nel 2009. Alcuni château sono risultati più convincenti addirittura nei millesimi 2008 e 2006, ma in nessuna delle annate recenti il gruppo dei vini migliori aveva raggiunto una così elevata espressività in questa fase".
Insomma, per Gentili bisogna distinguere tra i vip delle varie appellation e gli altri produttori. Mica è tutt'oro, dunque. Infatti, ecco cosa aggiunge: "Al di là di tali esercitazioni statistiche, il 2009 si propone come un millesimo dotato di tutti i presupposti necessari per realizzare vini di assoluto spessore, ma dove la differenza reale tra i migliori e il resto del gruppo non è solo da ascrivere al diverso potenziale dei singoli terroir ma anche alla capacità, talvolta quasi artistica, del vinificatore di miscelare adeguatamente i vari ingredienti a sua disposizione".
Mmh, e allora con la storia del terroir come la mettiamo, se è la capacità del vigneron - o meglio, del cantiniere - a prevalere?
Terza lettura: Alessandro Masnaghetti e la sua Enogea. Dice il Masna: "Se dopo tanti anni di onorata e alcolica manovalanza penso ormai di aver capito che cosa si intende per annata piccola, qualche problema continuo ad averlo con la grande annata, o peggio ancora con l'annata del secolo o eccezionale che dir si voglia (come alcuni definiscono per esempio il 2009 a Bordeaux)". E la prudenza dell'incipit fa pensare che Masnaghetti sia mica tanto d'accordo sull'annata memorabile.
Gli è che più avanti fa il raffronto fra le valutazioni date (da lui) ai vini del 2005 e a quelli del 2009, e viene fuori che "seppure di poco", c'è "una leggera supremazia del 2005 sul 2009". "Resta perciò da capire come mai, secondo alcuni, il rapporto di forze sia invece esattamente il contrario", riflette il capo di Enogea, e fa due ipotesi. La prima è che "potrebbe essere la presenza di alcuni vini talmente buoni da risultare hors categorie". Fuoriclasse, insomma. La seconda "potrebbe invece essere l'eterna confusione che c'è fra il tanto e il buono e tra l'annata 'grande' e l'annata 'grossa'. Se il 2009 - aggiunge - sarà un'annata 'grande', solo il tempo potrà dirlo, che sia spesso un'annata 'grossa', almeno per i miei parametri, credo che sia un dato incontestabile".
Urca, allora bisogna andarci davvero cauti.
Ma ne riparleremo, credo, perché Spurrier ha scritto dell'altro.

21 maggio 2010

Menetou Salon 2007 Domaine Fournier Pere et Fils

Angelo Peretti
Il vino l’ho acquistato perché ha avuto il coup de coeur e insieme anche le tre stelle dalla guida Hachette 2009, doppio simbolo che indica eccezionalità. E se consideriamo che quest’eccezionalità la trovi in vendita on line a 12,40 euro (incluse le spese di spedizione, se compri un congruo numero di bottiglie, anche miste), vale la pena provare, non vi pare?
Menetou Salon è appellation “minore” della Loira (ma più volte ci ho trovato appaganti cose) a base di sauvignon blanc. E chi non avesse mai avuto occasione di tastare un buon sauvignon blanc, be’, s’affretti a provare, ché scoprirà orizzonti aromatici ben lontani da quelli degl’italici e perennemente verdi sauvignon.
Qui – in Loira, intendo - dominano il frutto maturo e succoso, il limone, la vena minerale.
La bottiglia conferma i caratteri del terroir d’origine. In pieno.
Colore cristallino, giallino con riflessi verdi.
Naso elegante, raffinato, che unisce fiori bianchi, vene agrumate, cenni balsamici.
In bocca il frutto croccante è intersecato da affascinanti, perfettamente delineate presenze di mentuccia e di eucalipto.
E c’è tensione. E un finale asciutto, segno di carattere.
Avvertenza: il vino va atteso qualche po' nel bicchiere, dandogli tempo d'aprirsi appieno.
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)

20 maggio 2010

Greco Taburno 2008 Ocone

Mario Plazio
Vino dal profilo semplice, ma tutt’altro che banale.
Ha, in piccolo, tutto quello che serve per caratterizzare un vino estivo da bere senza complicazioni.
Presenta profumi di fieno, pesca bianca, arancia e basilico.
Al palato scorre senza problemi ed addirittura finisce sapido sapido con una equilibrata dose di acidità.
In più costa molto poco…
Un faccino :-)

19 maggio 2010

Dieci anni di ricerca sulla capsula a vite: ancora dubbi?

Angelo Peretti
Che dire: è incredibile anche per me che sono un fan dichiarato della capsula a vite. Mi riferisco agli esiti della ricerca condotta per dieci-anni-dieci dall'Australian Wine Research Institute (AWRI) su un lotto d'un bel po' di bottiglie - migliaia, leggo - di un Sémillon del 1999, chiuso con quattordici differenti tipi di tappi, naturali e sintetici, incluso, in un caso, il tappo a vite di nuova generazione. Ne ho letto sul numero di maggio di Wine Spectator. E sono rimasto impressionato dalla foto che correda il servizio. Tant'è che l'ho cercata on line, trovandola sul blog di Wine Exchange, dov'è stato pubblicato un post sulla questione, che vi invito a leggere.
La riproduco qui, la foto ritrovata sul blog. Le quattordici bottiglie, senza etichetta, sono allineate una in fila all'altra, riprese in varie fasi di maturità: rispettivamente, la prima riga a 28 mesi dopo l'imbottigliamento, la seconda a 63 mesi, la terza a 125 mesi. Il colore la dice lunga sulla progressione dell'ossidazione. In ogni caso, la bottiglia chiusa con la capsula a vite - quella a sinistra - è quella che mantiene una tonalità chiara, brillante. Fantastico, lasciatemelo dire.
Leggo che le bottiglie sono state provate una volta all'anno. Man mano che il vino si affinava, gli esiti della degustazione pendevano sempre più considerevolmente a favore delle bottiglie chiuse con la capsula a vite. Alla fine, dopo dieci anni, "il vino in tappo a vite - ha dichiarato Peter Godden, il ricercatore che ha guidato il team australiano - era un classico Sémillon invecchiato ed era splendido da bere".
Se cercate su internet, vedrete che della ricerca si parla parecchio. Ne ha scritto per esempio Jamie Goodie sul suo wine blog (e quel suo pezzo l'ho in parte già ripreso qui in gennaio). Un altro interessante intervento lo trovate sul blog delle aziende del gruppo Old Bridge Cellars. Ne ha scritto Harvey Steiman sul suo blog ospitato all'interno del sito di Wine Spectator (ma bisogna essere registrati per leggerlo). Non vado oltre: ai lettori il piacere della ricerca.
Pensare che c'è ancora gente che ritiene che il maggior problema legato alla tappatura sia quello, appunto, dell'odore di tappo, dell'inquinamento da tca. Nient'affatto: il peggio è l'ossidazione, e certi tappi fanno fatica a preservarne il vino. La capsula a vite sembra proprio che ce la faccia meglio di qualunque altra tappatura. Personalmente, non ho grandi dubbi in proposito. Vero che non detengo alcun laboratorio di ricerca, ma è ormai sei anni che compro regolarmente e provo Sauvignon neozelandesi chiusi con lo Stelvin, e il vino - garantisco - supera gli anni con una nonchalance strepitosa, restando fresco, giovanile, dinamico.
Ecco perché sono un fan della capsula a vite: perché è anni che mi convince.

28-30 maggio 2010: Terre d'Acqua a Rovigo

Il 28, 29 e 30 maggio, a Rovigo Fiere, Slow Food Italia e la Regione del Veneto propongono Terre d'Acqua, un appuntamento interamente dedicato alla salvaguardia degli ecosistemi di delta, stagni e lagune. Tema centrale sarà la risorsa acqua e la complessa e affascinante biodiversità dei delta fluviali, raccontata attraverso la cultura, la tradizione e i sapori di questi ambienti grazie a esposizioni, incontri tecnici, momenti didattici e degustazioni gastronomiche.
La tre giorni si aprirà il 28 maggio alle ore 17 con un importante convegno sulle problematiche delle zone salmastre: “Riflessioni e visioni sull’elemento cardine della vita sul pianeta. Quanta, quale, e di chi sarà l’acqua del futuro.”
Il programma proseguirà il 29 maggio, dalle 10 alle 22 ed il 30 maggio, dalle 10 alle 20 offrendo un’immersione nel mondo delle Terre d'Acqua con numerosi appuntamenti. Fra questi, venerdì 28 maggio alle ore 20 presso l’istituto alberghiero Cipriani di Adria è in programma la cena di gala dal titolo "Polesine da gustare" (buffet degli antipasti polesani con pesce, molluschi e verdure, riso Carnaroli del Delta ai frutti di mare, lasagnette alle verdure di Lusia, filettini di cefalo dell’Adriatico al forno con asparagi, dolci della tradizione).
Informazioni per il pubblico: Segreteria Organizzativa 320 8285894.
Email: terredacqua@slowfoodveneto.it

18 maggio 2010

Fiano di Avellino 2005 Colli di Lapio

Mario Plazio
Un grande vino del sud dalla compattezza nordica.
Ha bisogno di qualche giorno di apertura per rivelarsi completamente.
Inizio ostico, crudo di nocciola e fieno tagliato.
Al palato è più espressivo, caldo ed evoluto e al tempo stesso compassato. La lunghezza diventa mineralità e sembra non avere termine.
Dopo un paio di giorni fa percepire il miele di zagara, la mineralità sembra definirsi sempre più chiaramente. E poi erbe, basilico e agrumi, il tutto con grande senso estetico, ma senza alcun compiacimento.
Non ha ancora raggiunto l’apice.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)

16 maggio 2010

Slow Food: da lunedì si cambia

Angelo Peretti
Olistico non è aggettivo che si usi nella vita quotidiana. E non è neppure così facile, di primo acchito, comprenderne il significato, ammettiamolo. Ma occorrerà farci l'abitudine, penso. Perché al settimo Congresso nazionale di Slow Food, Carlo Petrini, che del movimento della chiocciolina è stato fondatore - e ne è tuttora attivissima guida sul fronte internazionale -, l'ha usato e ribadito e sottolineato. Olistica è la visione che Slow Food ha del mondo. E visto e considerato che Slow Food ha una certa visibilità nelle cose della gastronomia - o meglio, dell'eco-gastronomia contemporanea -, ritengo che occorra cominciare a farci l'abitudine.
Ho qui a portata di mano i due volumi di un'edizione magari un po' vecchiotta del vocabolario Devoto-Oli. Leggo che l'olismo - da cui l'aggettivo olistico - è la "teoria biologica che sottolinea l'importanza dell'organismo in quanto totalità". Viene dal greco hólos, che significa "tutto intero". Ecco, se non ho capito male, ascoltando Carlin che parlava ad Abano Terme al popolo della chiocciola lenta - ero fra i seicento e passa in sala -, questa è la visione che Slow Food vuole avere della vita e del mondo: uno sguardo all'intero, rifiutando la teoria meccanicistica che vorrebbe spiegare tutto a partire da un singolo ingranaggio della natura o della "macchina" umana. Soprattutto, la fine di una visione all'agroalimentare fondata sulla separazione tra il mondo della produzione e il mondo del consumo.
Non è cosa da poco: sintetizzare le idee è il primo passo per poter tentare di cambiare le regole del gioco. Le rivoluzioni partono quasi sempre da intuizioni che sembrano assolutamente semplici. Ne ha citata una lo stesso Petrini, di queste intuizioni: l'"ora et labora" di san Benedetto. Quella rivoluzionaria formula benedettina cambiò radicalmente l'Europa, mettendo in stretta interconnessione il divino con il quotidiano. Prima leva dello straordinario contributo offerto dal monachesimo allo sviluppo dell'agricoltura europea. Che difficilmente avrebbe potuto vivere il suo glorioso sviluppo - di cui tuttora beneficiamo - senza quella concettualizzazione.
Sia chiaro, stiamo parlando d'altro. Ma è significativo che il "da lunedì si cambia" più volte ripetuto ai delegati dal presidente nazionale di Slow Food, Roberto Burdese, poggi su un concetto che dovrebbe - uso il condizionale, come sempre tento di fare per i progetti che debbano ancora concretizzarsi - far da guida all'azione.
Prima il pensiero, poi l'azione, certo. E quel "da lunedì si cambia" presuppone - l'indicazione è venuta ancora da Burdese, e l'ha confermata Petrini - la trasformazione del movimento di gastronomi in un nuovo "soggetto politico". Distribuito capillarmente sul territorio, sul quale operano le cosiddette condotte, ossia, appunto, "le espressioni locali dell’associazione". Ha affermato Burdese: "Ogni nostra condotta deve imporsi all’interno del proprio territorio come un forte soggetto politico, visibile, attivo, in grado di fare rete con gli altri soggetti presenti sul territorio. Un soggetto che attraverso il proprio impegno afferma e difende quelli che abbiamo individuato come i nostri pilastri ideologici: il diritto al piacere; il sostegno a pratiche di scala locale; la biodiversità; la sovranità alimentare per tutti; la lotta agli sprechi; la difesa del paesaggio, del suolo e del territorio; la valorizzazione della memoria locale; l’educazione". Progetto ambizioso.
Carlo Petrini è andato più in profondità: "Da questo congresso - ha scandito - Slow Food esce come nuovo soggetto politico che incide nella realtà concreta del Paese. La nostra caratteristica, la visione politica, non rientra nei canoni tradizionali e negli schemi della politica tradizionale: destra e sinistra sono categorie superate per esprimere un giudizio su di noi. La novità sta nella visione olistica del mondo: le vecchie categorie di pensiero basate sul meccanicismo, sul riduzionismo, sono ormai drammaticamente superate dagli attuali avvenimenti dovuti alla crisi. Questa interpretazione scientifica ha danneggiato il mondo agricolo e il nostro cibo; e i fondamenti del cibo sono gli stessi della vita. Il modello basato sul consumismo sempre crescente ha dimostrato il suo fallimento".

14 maggio 2010

Ruberpan Rosso Veronese 2004 Pieropan

Mario Plazio
Prima uscita sul mercato per il vino rosso di uno dei più grandi bianchisti di Soave (e d’Italia). Dalla nuovissima tenuta della Val d’Illasi proviene questo rosso che per il momento è un igt, ma che nel volgere di qualche vendemmia sarà probabilmente un Valpolicella. Che accompagna l’attesa della nascita prossima e ventura di un Amarone.
Il colore è di quelli che mi piacciono, non troppo cupo, segno che non si è voluto calcare la mano sulla concentrazione.
Sulle prime il naso è piuttosto confuso e ancora in balia di sentori legnosi. In verità mi pare un legno per nulla esagerato, ma c’è. Accanto alla ciliegia matura si notano infatti la vaniglia e la cannella.
Convince di più al palato per via di una gradevole nota vegetale e di frutta non troppo matura (lampone), poi anche china e rabarbaro. Il finale è morbido ma non troppo, l’insieme risulta davvero gradevole e di beva soddisfacente.
Dimostra da un lato che qualche altro mesetto di affinamento non può che fargli del bene. Dall’altro che non tutto è ancora perfettamente nitido e che forse rimane ancora qualcosa di incompiuto. Ma va detto che sarebbe troppo chiedere di più ad un vino appena concepito, e che può e deve dimostrare di poter essere un riferimento per l’intera denominazione.
Accanto ad altri rossi di recente immissione (guarda caso molti provenienti da produttori di soli bianchi fino a ieri), ci fa intuire che esiste lo spazio per produrre vini di grande finezza e territorialità senza inseguire le solite ricette a cui ormai siamo abituati (ovvero frutttone, legnone, ripasso e via discorrendo).
Un faccino e quasi due :-)

13 maggio 2010

Vinini: ne parla Giuseppe Casagrande su L'Adige

Angelo Peretti
Oh, caspita! Il contagio del vinino si diffonde, dopo la pubblicazione del Manifesto per la piacevolezza dei vini da bere su quest'InternetGourmet e il convegno realizzato a Vinitaly assieme a Santa Margherita, celebre brand del panorama enoico italiano.
Ora a parlar di vinino è il collega ed amico Giuseppe Casagrande su Pantagruel, la sua rubrica sul quotidiano L'Adige di Trento.
L'occasione è un pezzo dedicato ad un nuovo vino "firmato" da Mario Pojer, eclettico e bravissimo vigneron tridentino (è lui nella foto, presa dal sito di Pojer e Sandri).
Riporto qui di seguito la parte iniziale dell'articolo di Casagrande.
"Una recente indagine presentata a Vinitaly dal giornalista gardesano Angelo Peretti ha dimostrato il rinnovato interesse degli amanti di Bacco per i vini di bassa gradazione alcolica e dal prezzo abbordabile. Vini accessibili ad una vasta platea di consumatori e che si prestano ad un facile abbinamento con il cibo. Vini quotidiani che Peretti ha soprannominato «vinini » in contrapposizione ai «vinoni» di alto lignaggio e dalla gradazione alcolica elevata.
In questa ottica si inserisce il progetto di Mario Pojer: creare un vino piacevole, di facile approccio, ma non banale. Così è nata l’idea di «Filii»: rilanciare il Riesling ed i suoi figlioli (Müller Thurgau, Kerner, Incrocio Manzoni) seguendo le orme dei vignaioli della Mosella che hanno sempre puntato su vini di facile beva sfruttando al meglio le caratteristiche (elevata acidità delle uve e basso contenuto alcolico) del loro vitigno principe: il Riesling. Una sfida, quella di Mario Pojer, che nasce anche per venire incontro a quanti amano bere un buon bicchiere di vino senza rischiare il ritiro della patente. «Noi proponiamo un vino di 9 gradi imbottigliato nelle classiche renane da mezzo litro - precisa Mario Pojer - una quantità giusta per accompagnare il pasto di due persone senza incorrere nelle pesanti sanzioni legate ai controlli sul tasso alcolemico».
Un uvaggio bianco sicuramente destinato a far parlare di sè. Nasce da un mix di uve Riesling e dei suoi «figli»: il Müller Thurgau (madre Riesling, padre Madeleine Royale), il Kerner (madre Schiava grossa Trollinger, padre Riesling) e l’Incrocio Manzoni (Riesling per Pinot bianco)".

12 maggio 2010

Macon Classé Cuvée Tradition 1996 Domaine de la Bongran Jean Thévenet

Mario Plazio
Vino difficilmente classificabile questo chardonnay del sud della Borgogna.
Una cantina fuori dagli schemi, vini con residui zuccherini che non lasciano indifferenti.
Jean Thévenet porta le sue uve a maturazioni estreme e lascia che il vino segua una evoluzione il più naturale possibile.
Questo 1996 vive tra rischiosi equilibri ma procura emozioni che raramente di questi tempi capita di provare.
Odora di tartufo come poche volte mi è capitato di sentire, e poi di frutta tropicale, ananas e mango.
Dopo un giorno di bottiglia la leggera nota ossidativa rimane tra i ranghi, esce una originale vena ferrosa e balsamica. E però non crediate che sia un vinone ammiccante. È invece rigoroso nella sua struttura, equilibrato da una acidità vibrante sostenuta da una vivace mineralità. Questo contribuisce a snellire la beva, dove la nota zuccherina conferisce morbidezza senza mai divenire dolcezza compiaciuta.
Vino da esteti, ma anche di palpitante emozione.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)

11 maggio 2010

Champagne Rosé de Saignée 1er Cru Brut Larmandier Bernier

Angelo Peretti
Non credo che rosé sia la parola giusta. Certo, è giusta sotto il profilo regolamentare. Ma questo è un rosso con le bollicine. Se proprio volete, cerasuolo. Ma ci vuole un bello sforzo d'autopersuasione per farlo rientrare negli schemi mentali dell'ortodossia rosatista. Ti spiazza.
Del resto, in etichetta parla chiaro: dice che è un rosé de saignée. Che viene insomma direttamente dal pinot nero macerato, da cui vien fatto salasso. Viene da vino rosso, insomma. Ed ha le bolle, appunto.
Non è facilissimo trovarne di Champagne ottenuti con il salasso del pinot nero. Certamente perché la produzione è piuttosto piccola. Ed anche perché sono vini che si potrebbero definire estremi. Roba che o la va o la scappa. Senza mediazioni. Ma quando trovate uno Champagne ottenuto con questo metodo, cercate di non farvelo scappare. Soprattutto se siete, insieme, amanti appunto dello Champagne e del pinot noir.
Del colore ho detto.
Naso e bocca sono in sintonia: il classico, tipico, intrigante fruttino del miglior pinot nero. Con una bella vena minerale sul fondo.
Insomma: un vero e proprio pinot nero con le bollicine, non solamente uno Champagne da uve di pinot nero.
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)

10 maggio 2010

Slow Food a una svolta?

Angelo Peretti
Dal 14 al 16 maggio si svolgerà ad Abano Terme, nel Padovano, il congresso nazionale di Slow Food. Un appuntamento che potrebbe rivelarsi piuttosto importante. Perché potrebbe essere il congresso della svolta. Nella continuità col passato, certo. Anzi, con una forte riaffermazione delle radici del movimento della chiocciolina, e dunque con la rinnovata rivendicazione di quel "diritto al piacere" da cui presero le mosse i fondatori, quasi un quarto di secolo fa. Ma anche con l'obiettivo di aprire nuove prospettive per il movimento che ha la propria casa madre a Bra.
Una svolta nella continuità? Può essere.
Chi volesse farsi un'idea di cosa sta bollendo in pentola nel mondo di Slow Food può leggere il documento congressuale dell'associazione. Lo si può scaricare on line: s'intitola "Le conseguenze del piacere". Racconta molto della storia, delle idee, delle intenzioni di Slow Food.
Fra le intenzioni, c'è anche quella di una maggiore presenza "politica" del movimento.
A pagina 39, quando si delineano le prospettive dei prossimi quattro anni d'attività, si scrive: "Cosa ci attende dal 2010 al 2014? In primo luogo un forte impegno politico. I temi che trattiamo sono sempre più di attualità, riguardano sempre più da vicino la vita di tutti e la quotidianità, incidono sull’economia, sulla cultura, sulla socialità, sulla salute, oltre che naturalmente su ambiente, agricoltura e alimentazione. Non dobbiamo diventare un partito politico, tuttavia non possiamo sottrarci alla funzione politica che siamo in grado di esercitare. In piena libertà e autonomia, dobbiamo continuare a fare politica come è avvenuto in questi anni: intervenendo laddove abbiamo cose da dire e facendo valere il peso della nostra autorevolezza".
Sono affermazioni impegnative. Ma nel tempo della grande difficoltà dei partiti, sono personalmente d'accordo che l'associazionismo debba fare la propria parte. E dunque debba "pensare politicamente". Senza che questo voglia dire scendere in lizza con una lista, con delle candidature elettorali. Magari, invece, facendo lobby. Sì, sono d'accordo: è l'epoca della responsabilità del mondo associativo. Slow Food appartiene al mondo dell'associazionismo: è buona cosa che si assuma piena e diretta esponsabilità. Slow Food come altri movimenti, sia chiaro.
Purché la scelta di campo sia culturale e non ideologica, aggiungo, dal mio punto di vista. Ma anche su questo leggo parole interessanti nel documento congressuale: "Il migliore impegno politico per Slow Food, l’unico che ci garantisce la totale indipendenza da partiti e istituzioni, è quello che prende le mosse dalle nostre idee. E perché queste siano sempre adeguate a un intervento efficace, occorre continuare a coltivare un dibattito e una riflessione all’altezza di quanto abbiamo fatto sino a oggi. L’impegno culturale sarà dunque un tassello fondamentale del nostro lavoro nei prossimi quattro anni: anzi, visto che da esso discende l’iniziativa politica di Slow Food, sarà il nostro compito prioritario".
Buon lavoro.

9 maggio 2010

Spostare le date del Vinitaly: Franco Ziliani ne parla sul sito dell'Ais

Angelo Peretti
Il sito nazionale dell'Associazione italiana sommelier è certamente uno spazio dotato di notevole autorevolezza, per il mondo del vino. Ed è proprio lì che Franco Ziliani rilancia, nei suoi commenti, la proposta di spostare le date di svolgimento del Vinitaly. O meglio, più che le date, le giornate: invece che aprire il giovedì per chiudere il lunedì, perché non cominciare la domenica per concludere il mercoledì?
Della faccenda ho scritto qualche tempo fa su quest'InternetGourmet. Ho visto con piacere che analoga idea è stata avanzata dal Consorzio del Chianti Rufina. Mi fa estremamente piacere che la posizione venga fatta propria da un giornalista dotato di grande senso critico come Franco. Auspico anch'io, come lui, che anche l'Ais possa appropriarsene per riproporla ulteriormente.
Spero che poi altri si associno. Ovviamente mica per me, o per presunte primogeniture: per il comparto del vino e per quella che, checché se ne dica, è la più grande occasione di business e di comunicazione che il settore enologico abbia sin qui saputo creare in Italia. Cerchiamo di farlo migliorare e crescere, questo Vinitaly.

Breganze Cabernet 2007 Vigneto Due Santi

Mario Plazio
Si parla spesso e a sproposito di “bordolesi” italici, intendendo con questo dei tagli di cabernet e merlot che si presume ricordino i classici francesi. In realtà conosco ben pochi rossi che nella nostra penisola possano stare alla pari con i cugini d’oltralpe. La cifra stilistica di questi ultimi, al contrario di molto pensiero comune, non è fondata su concentrazione e muscoli.
Chi ha avuto la fortuna di bere qualche boccia di un Pauillac di oltre venti anni ha capito cosa intendo. Eleganza e beva sono ai massimi livelli planetari.
Se devo citare un vino che si indirizza verso questi sentieri impervi, è il Breganze Cabernet dei cugini Zonta in quel di Breganze.
Il loro 2007 mi pare un consistente passo verso le finezza e la compostezza delle sensazioni che tanto mi ricordano un buon vino della Rive Gauche.
Il naso è austero, tra spezie e mineralità.
Certo, la bocca non nasconde una materia concentrata, ma non spinge troppo il tasto della maturità. Il tutto resta in perfetto equilibrio, con la giusta dose di modernità applicata ad un grande classicismo.
Dopo un paio di giorni tira fuori una fortissima vena ferrosa che non mi ricordo di aver scorto negli anni passati, e i tannini si lisciano parzialmente.
Sono curioso di vedere come riuscirà ad evolvere nel tempo. Da parte mia sono pronto a scommettere.
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)

8 maggio 2010

Una firma per bloccare il ponte che distruggerà i vigneti della Mosella

Angelo Peretti
Ne avevo scritto all'inizio di luglio del 2009: un mostruoso ponte pare destinato a distruggere l'ecosistema di una delle più importanti aree vinicole del mondo, la Mosella. Dicevo: "In Germania, nella Mosella per la precisione, c'è il progetto di far passare una nuova autostrada, con tanto di gigantesco ponte, di traverso fra alcuni dei migliori cru del mio amatissimo Riesling. Giù asfalto fra i vigneti di Himmelreich e Würzgarten. E largo all'inquinamento e alla modificazione di quel magico microclima che fa sì che lì si producano alcuni dei più grandi bianchi del mondo. Ma, dico io, siamo impazziti?"
Ora, Dr. Loosen, una delle più importanti aziende del panorama vinicolo della zona - permettetemi, uno dei massimi produttori bianchisti del mondo, in assoluto -ha diffuso una circolare nella quale invita tutti coloro che abbiano a cuore le sorti dei grandi Riesling della Mosella a sottoscrivere una petizione rivolta al governo tedesco per fermare questa mostruosità.
La riporto qui di sotto, traducendola in italiano, sperando di portare un contributo ad una causa che ritengo assolutamente giusta. Nel testo ci sono anche le istruzioni per chi volesse sottoscrivere le petizione on line. Io l'ho già fatto.
Ricordatevi che c'è tempo per firmare fino al 15 maggio.
Ecco il testo.
"Per favore, aiutateci a dire al governo tedesco che non vogliamo che costruisca un inutile, orrendo ponte attraverso uno dei più bei posti della valle della Mosella. Il danno estetico, ambientale e culturale che sarà causato da questa mostruosità è inaccettabile. Per favore, unitevi a noi firmando la petizione on line rivolta al governo tedesco.
Naturalmente, poiché si tratta del governo, il processo per la petizione non è semplice. Dovete prima registrarvi sul sito delle "Deutscher Bundestag Petitions". Si tratta di una procedura un po' scomoda, ma ci siamo dotati di una traduzione in inglese delle istruzioni on line. Una volta che vi sarete registrati, potete connettervi ("einloggen") e firmare la petizione, operazione che comporta solo un click. L'intero processo vi costerà solo cinque o dieci minuti di tempo, che non è poi così lungo se considerate che il ponte durerà invece per sempre, se gli si permette di costruirlo!
Istruzioni per la petizione.
- Visitate il sito web di protesta contro il ponte www.stop-the-bridge.org.
- Cliccate su "Please sign the petition of the German Government" ("per favore firmate la petizione del governo tedesco").
- Cliccate sulla parola "registrieren" (in maiuscolo) nella casellina grigia sulla destra (appena sotto i box del login).
- Seguite le istruzioni in inglese sulla sinistra della pagina per inserire i vostri dati personali. Il vostro user name ("Benutzername") vi sarà assegnato dal sito e spedito via email sulla vostra casella di posta. Non è strettamente necessario utilizzare uno pesudonimo, ma potete aggiungerne uno se lo desiderate.
- Per connettervi, cliccate sul link nella mail che riceverete, inserendo il vostro user name (sarà del tipo "Nutzer123456").
- Inserite la vostra password e vedrete a video la lista delle petizioni.
- Scorrete le pagine finché troverete la petizione numero 10681. Ci sono dieci petizioni per pagina ("Einträge pro Seite").
- Cliccate sul nome "Bundesstraßen - Baustopp für den so genannten Hochmoselübergang".
- Cliccate sulle parole "Petition mitzeichen" nella terza colonna (con il simbolo di una piccola matita accanto).
Ci siete! Fatto. Riceverete un'altra email, in tedesco, a conferma del fatto che avete firmato la petizione. Riceverete anche la nostra infinita gratitudine per averci prestato il vostro tempo per fare la differenza".
Queste le istruzioni contenute nella circolare.
Per chi non masticasse neppure l'inglese, traduco qui di seguito in italiano il significato dei campi che troverete sul sito delle petizioni al governo tedesco quando proverete a registrarvi. Ricordate che i campi obbligatori sono contrassegnati con un asterisco.
Benutzername: è il vostro user name, che vi sarà assegnato automaticamente dalla procedura e spedito via email alla vostra casella.
Pseudonym: è il vostro pseudonimo; non è strettamente necessario inserirlo.
E-Mail*: inserite il vostro indirizzo email; se volete che il vostro indirizzo email non sia leggiile da terzi, cliccate sul box vicino.
E-Mail*: digitate nuovamente il vostro indirizzo email.
Passwort wählen*: inserite una vostra password, che dev'essere di almeno 8 lettere e non deve contenere parti del vostro nome o del vostro indirizzo email.
Passwort wiederholen*: ripetete la password scelta.
Persönliche Daten: dati personali.
Anrede*: scegliete Frau (donna) o Herr (uomo)
Name*: Cognome
Vorname*: Nome
Organisation: campo da compilare solo se volete indicare che sottoscrivete a nome di un'associazione o di un organismo.
Titel: campo da compilare solo se volete indicare il vostro ruolo nell'associazione di cui sopra.
Straße und Hausnr.*: indirizzo e numero civico
Postleitzahl*: codice di avviamento postale
Wohnort*: città
Land*: nazione
Bundesland: scegliete "Ausland" (estero)
Telefonnummer: numero di telefono; non è un campo obbligatorio.
Il campo successivo vi chiede il consenso ai sensi della legge sulla privacy: cliccate sul box.

7 maggio 2010

Champagne Brut Milher

Angelo Peretti
Il venditore, on line, dice che "lo Champagne di M. Milher Brut ci ha conquistato per la sua semplicità e il suo incomparabile rapporto qualità-prezzo". Il cliente, che sarei io, concorda.
Ho comprato la bottiglia su Vinatis, mio abituale piazza virtuale d'acquisto on line. Prezzo: 15,70 euro, in offerta, anche a singola bottiglia. Incredibile, per uno Champagne: non ci compri granché, a quel prezzo, in enoteca.
Il rapporto qualità-prezzo c'è tutto, dunque: il sito dice il vero.
Dice la verità anche per la semplicità: vero, verissimo, è uno Champagne semplice, da beva disimpegnata, ma è ben fatto, e vale l'acquisto.
Sa soprattutto di mela, croccante, e un po' d'albicocca e appena appena di croissant.
La bolla non è cremosissima, ma è ben calibrata.
Un buon vino da aperitivo, ma anche da cucina estiva di non particolare impegno.
Me lo sono goduto con del pane caldo e qualche fetta di mortadella al pistacchio.
Un lieto faccino :-)

6 maggio 2010

Marsala Superiore Oru ri Vigna Vero Vini

Angelo Peretti
Si chiama Oru ri Vigna. L'oro della vigna, credo. Un Marsala. Marsala Superiore, per l'esattezza. Azienda: Vero Vini, trapanese. Titolare: Angela Galia. Realtà nata solo da una manciata d'anni, nel 2005 (non so se qualche guida la citi: Gambero ed Ais no, le altre non ho guardato).
Ne avevo provato il Rosolio, il liquore di rose, seducente, ancorché forse un po' dolcino. Avevo messo da parte il Marsala, appunto. Ora l'ho stappato. E dico che è prodotto di notevole piacevolezza.
Non sono così esperto dei vini di Marsala per poter entrare nel merito del dibattito che s'è scatenato di recente fra la critica enologica in tema di tipicità. Mi limito a quel che ho trovato sul sito aziendale e nel mio bicchiere.
Sul sito apprendo che le uve son quelle classiche, ossia grillo, catarretto e inzolia, raccolte ad ottobre da vigne coltivate ad alberello.
Nel bicchiere il vino l'ho visto ambrato, certo, ma cristallino, lieve, con qualche riflesso d'oro antico.
All'olfatto è inconfondibilmente orientato a toni decisi d'uva appassita in primis, e poi di fico caramellato e, appena un po', di liquirizia e carruba, un che di caffè in polvere.
In bocca c'è continuità. Ma soprattutto un velluto fascinoso e una dolcezza ben calibrata, che mai prende il sopravvento.
Piacevole, ripeto. A fine pasto. O a notte, in una sera d'estate, per coccolarsi un po'.
Due lieti faccini :-) :-)

5 maggio 2010

Recioto di Gambellara 2007 Davide Spillare

Mario Plazio
Da un produttore alle prime esperienze, un Recioto con fermentazione spontanea di grande personalità. Così come per il bianco secco della stessa azienda, anche questo vino affronta il cammino della ossidazione più o meno controllata. In questo caso la componente evolutiva gioca un ruolo fondamentale nel dipanare una matassa complicata e di non facile lettura.
Il naso è pungente per le componenti volatili. Emerge chiara la confettura di albicocca insieme a note più fini che virano al minerale e addirittura verso il ferro. Poi ananas e frutta secca in un compendio che riesce a preservare una certa freschezza.
È un Recioto dalla spuma cremosa, parte tutto in morbidezza e finisce con l’alcol ben bilanciato dalla componente acida. Si sentono la mandorla e la resina accanto a sentori di linfa. La parte ossidativa non gioca al nascondino, ma anzi partecipa attivamente allo sviluppo dinamico del palato.
Finale dominato dall’albicocca secca.
Due faccini :-) :-)

4 maggio 2010

Territorialità, il valore vincente

Angelo Peretti
Tra le tante "cose" accadute all'ultimo Vinitaly, c'è stata anche, in sala stampa, la presentazione degli esiti d'una ricerca che la fiera veronese ha affidato a Bocconi Trovato & Partners sul "Valore del marchio nel mondo del vino".
Ho ripreso in mano le slide di sintesi presentate in conferenza stampa. In particolare, me ne ha colpito una. Quella che espone quali siano, secondo i ristoratori e gli operatori del settore intervistati, i criteri di scelta ai quali i loro clienti sono più attenti quando scelgono un vino.
Gli operatori che hanno risposto sono stati 215: né pochi, né tanti. I pezzi di carta che ho in mano informano che tra i 215 ci sono 150 "guide restaurant" (è scritto così), ossia locali di livello medio-alto ed alto che sono recensiti dalle principali guide di settore e rappresentano quella che vien definita la "fascia centrale" dell'offerta della ristorazione. Poi, 5 distributori e 60 enoteche e wine bar. Non si dice a quali aree geografiche appartengano, e non è un'informazione irrilevante, almeno a mio avviso.
Bene, che cosa emerge da quella slide?
Emerge che il primo tra i fattori di scelta è il prezzo: vale il 56,5%. Subito dopo, la territorialità, a quota 54,3%. Segue l'abbinamento col cibo: 47,8%.
Staccati, molto staccati, altri criteri di scelta: il livello di conoscenza del marchio è al 21,7%, la particolarità del vino al 19,6%. Vale, ma non enormemente, il consiglio del ristoratore: 17,4%. Anche la qualità non è una variabile di scelta assolutamente fondamentale: 15,2%, e credo che questo sia dovuto comunque ad una qualità media ormai molto diffusa, al punto che la si reputa tutt'al più come un pre-requisito. La disponibilità al bicchiere o in mezza bottiglia conta appena per l'8,7%. La bassa gradazione è a quota 4,3%.
Ora, assunto che evidentemente la domanda prevedeva risposte multiple (il totale delle percentuali è ben oltre 100), credo che la considerazione da trarre è che o quei ristoratori ed enotecari non capiscono molto dei loro clienti, oppure molti luoghi comuni sulle attuali dinamiche di scelta del vino sono assolutamente da smontare. Quella della bassa gradazione, per esempio. C'è chi si ostina a dire - senza portare prove statistiche - che nell'epoca della patente a punti i vini meno alcolici sarrebbero favoriti. Dalla ricerca, sembrerebbe vero solo in minima misura. Inutile tu faccia un vino low alcohol se quello non ti sa trasmettere i valori della territorialità e dell'abbinabilità. L'identità credo valga molto, molto di più. Al giusto rapporto di prezzo.

3 maggio 2010

Ma il Glera Prosecco da 1,39 è stato perfino premiato a Vinitaly: ecco com'è

Angelo Peretti
L'ho comprato e l'ho provato. Mi riferisco al Glera Prosecco Veneto igt che era in offerta fino al primo maggio all'Eurospin alla stratosferica cifra di 1,39 euro, anziché al prezzo di listino, che pure non è di certo inavvicinabile, di 1,79 euro.
Come ho fatto per il Trento doc a prezzo stracciatissimi sugli scaffali della stessa catena prima di Natale, ho voluto attendere che l'offerta fosse finita per scrivere i miei appunti.
Ordunque, il vino è tappo raso. Vino frizzante, leggo in etichetta. Gradazione: 10,5.
Sulla retro leggo che è imbottigliato da un'azienda veronese, la 1207/VR/IT, che è il suo codice identificativo (l’imbottigliatore non è obbligato a indicarsi per esteso: basta il codice camerale), mentre è distribuito da Tenimenti di Veglia Srl, di Conegliano. Chi sia il 1207 eccetera, però, si fa in fretta a scoprirlo, e nel posto forse più inatteso: l’elenco dei vini premiati al concorso enologico dell’ultima edizione del Vinitaly. Sissignori, proprio il superconcorso della fiera scaligera. Tra i vincitori della Gran Menzione c’è nientemeno che il Veneto igt Prosecco frizzante "Glera - Tenimenti di Veglia" di Contri spumanti s.p.a. - Cazzano di Tramigna (Vr). Et voilà, arcano svelato.
Vado avanti con la lettura. Sempre sulla retro, sta scritto che "glera è il nome che il nuovo disciplinare di produzione dà al vitigno da cui si ottiene il vino frizzante che da sempre contraddistingue la Marca Trevigiana". Ora, non dico che l’informazione sia inesatta, ché davvero glera è il nuovo nome dell’uva sino a pochi mesi fa chiamata prosecco. Solo che parlare di “nuovo disciplinare” per il Veneto Prosecco a indicazione geografica non mi sembra esattissimo. Il disciplinare “nuovo”, che mi risulti - ma potrei sbagliare, mica sono onniscente -, sarebbe quello del Prosecco doc, ma il vino in questione non è, appunto, un Prosecco doc, bensì un Veneto igt. Mi risulterebbe poi - ma mi si corregga se sbaglio - che il cambio di nome al vitigno è stato fatto per consentire di dare alla doc una definizione non più varietale - prosecco in quanto vitigno - bensì geografica, allargandone infatti il territorio sino a comprendere il paesello friulano di Prosecco. Se prima il Prosecco di Conegliano Valdobbiadene doc era un vino varietale fatto con uve di prosecco, ora il nuovo Prosecco doc è un vino dalla denominazione geografica fatto con le uve di glera coltivate in un ampio territorio nel cui ambito è compreso anche il paese di Prosecco.
Che differenza c’è? La differenza è semplice: se Prosecco è un termine geografico, e come tale è tutelato dall’Unione europea, nessuno può più chiamare Prosecco un vino fatto con le uve di prosecco, pardon, glera.
Non capisco, ma forse mi sbaglio: del resto, se al concorso del Vinitaly l'hanno accettato, messo in degustazione e perfino premiato, perché dubitare?
Sin qui l’obiezione.
Ora, il vino.
Il colore è scarico, direi quasi quel bianco carta che andava per la maggiore negli anni Settanta.
Al naso, tracce di pera e di fiori. Semplice, ma direi che se la cava benino.
In bocca si conferma sulla stessa linea. Appare un po’ vuoto, d'accordo, tant’è che tende a scappare via presto, lasciandoti una certa dolcezza, confermandosi vino d’assoluta semplicità.
Chi volesse farci lo spritz non resterebbe deluso. A 1,39 euro non è da disprezzare. C’è in giro roba peggiore a prezzi ben più alti. Certo che di qui a pensare di segnalarlo con la Gran Menzione a un concorso internazionale...
In ogni caso, l’ho già detto nel mio precedente intervento sull'argomento: complimenti al buyer dell’Eurospin. È uno che in fatto di vini sa il fatto suo, e riesce dunque a mettere sugli scaffali bottiglie tutto sommato più che decorose, a quei prezzi.

2 maggio 2010

Ce ne vuole una cassa, di vino, per capirlo fino in fondo

Angelo Peretti
C'è una teoria che hanno gli appassionati americani di vino. Si chiama "you-need-a-case-to-know-a-wine", hai bisogno di una cassa per conoscere un vino. Significa che puoi davvero capire un vino quando lo assaggi periodicamente, più anni di fila, e per far questo devi averne comprato almeno una cassa da dodici bottiglie. I veri appassionati di vino fanno così.
Ecco, è questo che distingue gl'italiani dagli altri: da noi non è così diffusa la cultura della cassa di vino. Che sia da dodici o da sei, poco importa. Da noi molto spesso il sedicente appassionato compra una, due bottiglie e le beve subito. Contentandosi della sensazione del momento. Niente lunghi riposi in cantina. Men che meno scommettono sul tempo i ristoratori: il vino va comprato e poi venduto più in fretta che si può. E i produttori si sono adeguati, non incentivando affatto la vendita a cassa. Ed anzi impegnandosi sempre di più a far uscire sul mercato dei vini che siano comunque "pronti" da bere. Anche se si tratta di bottiglie che dovrebbero essere "importanti". Meglio degl'italiani credo non ce ne siano molti, in giro, di capaci a far uscire vini "pronti", ad ogni costo. Ma è davvero fra "grande" vino, questo?
Un vino veramente grande va atteso. Con pazienza. Va provato e riprovato. Per capirlo fino in fondo. Per capire lo stile, la filosofia, il terroir.
Obiezione, vostro onore: chi se lo può permettere? Risposta: l'appassionato vero. Magari consorziato con altri pari amanti del vino. Se si vuole, la soluzione si trova. Ammesso che il vino prescelto sia davvero in grado d'invecchiare. E i dubbi, sul fronte italiano, son molti.

1 maggio 2010

Piemonte Brachetto Passito Pian dei Sogni 2006 Forteto della Luja

Angelo Peretti
Mi piace, il brachetto. O meglio, mi piacerebbe quest'uva e il vino che se ne trae, se solo fosse un po' più facile trovarlo e trovarne di buono. E invece - ammettiamolo - è un po' derelitto, ché l'hanno disdegnato in tanti, quasi come non fosse degno d'attenzione dopo l'ubriacatura modaiolo d'una certa versione bollicinosa di venti e passa anni fa.
Ordunque, ho bevuto con vero piacere un bicchierino d'un fascinoso Brachetto passito.
O meglio, leggo sul sito del Forteto della Luja, che lo produce, che si fa vendemmia tardiva e poi breve appassimento e in seguito fermentazione - lenta - in piccole botti, epperò il legno - almeno m'è parso - non lo si avverte, tant'è vibrante e intensa la presenza fruttata.
Brachetto passito Pian dei Sogni, dunque. Del 2006.
Rubino-granata alla vista.
Ed ecco: è fragola stramatura e amarena e anche lampone il primo impatto quando ce l'hai nel bicchiere. E fiori. Fiori freschi, fiori essiccati.
Persistentemente. In perfetta corrispondenza e sintonia fra olfatto e gusto.
Vino ammaliante.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)