31 agosto 2009

Côtes du Jura Chardonnay Savagnin 2000 Domaine Labet

Mario Plazio
Julien Labet e i fratelli hanno assicurato la continuità del Domaine Labet, apportando nuove idee e molta voglia di sperimentare. Da sempre il vigneto è stato curato in maniera poco interventista. Con l’arrivo di Julien ci si sta spingendo verso il biodinamico e il massimo rispetto delle uve vendemmiate. Questa maggiore naturalità si riflette nei vini che, pur essendo talvolta magnifici, hanno ulteriori margini di miglioramento.
Da segnalare in particolare gli Chardonnay non “ossidativi” dai singoli vigneti, che riescono ad offuscare ben più blasonati (e costosi) bianchi di Borgogna.
Al naso emergono i sentori di mallo di noce del Savagnin, che sfumano nelle spezie, nei capperi e nella liquirizia, mentre lo chardonnay apporta note burrose, agrumate e di pesca.
Il terroir conferisce la nota minerale possente, mentre l’ossidazione sembra fungere da scudo protettivo.
Il vino è propedeutico per coloro che non sono molto abituati ai vini dello Jura e si spaventano di fronte all’ossidazione. Pur senza arrivare agli estremi del Vin Jaune, i caratteri ci sono tutti, ma in forma minore.
In bocca il carattere non mente: l’acidità è tagliente e il vino è secco, sapido, piccante e lunghissimo. Nel bicchiere è cangiante e di enorme fascino.
Perfetto con una bella toma di montagna stagionata o con una cucina marinara sapida basata sul pesce azzurro.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)

30 agosto 2009

La gazosa col vino rosso

Angelo Peretti
Nei giorni del gran caldo agostano mi son trovato un paio di volte a ripensare alle bevande estive "proibite" che mi faceva assaggiare papà, quand'ero un ragazzetto appena. M'ha assalito la memoria dell'amaro luppolato della birra Wührer e del dolceamaro della gazosa - la Bertolini - tagliata con un po' di vino rosso.
Brutta cosa quando incombono i ricordi, la nostalgia: vuol dire che s'invecchia.
Quattrini di sprecare in bibite non ce n'erano. S'andava allora con papà la sera, prima di cena, in spiaggia, a raccogliere i "vuoti", le bottiglie di vetro abbandonate da chi aveva passato la giornata sulla riva. Poi portavi i vetri in bottega, e te li pagavano: mi pare che i più cari fossero quelli grossi della Coca Cola. Ci si faceva compensare, anziché in denaro, con qualche bottiglia, di quelle che non ci saremmo potuti permettere: la Wührer, appunto, e più spesso la Bertolini. Qualche volta ci scappava un gelato "ricoperto", con lo stecco.
Poi è finita l'epoca delle cauzioni e sono arrivate le lattine, la plastica e il brik.

29 agosto 2009

Sherry Dry Amontillado Tio Diego Valdespino

Mario Plazio
Ebbene, confesso. Ho una passione per i vini ottenuti da processi ossidativi. Sono liquidi imperturbabili, che pare traggano da quello che la tecnica più ortodossa considera un difetto nuove energie. Ecco allora che sembrano eterni, capaci di suggerire emozioni che solo a loro appartengono.
Il Tio Diego passa attraverso 8 anni di permanenza sulla “flor”, la caratteristica pellicola che sviluppa una ossidazione controllata. Poi invecchia altri 8 anni prima di essere imbottigliato.
Il naso è severo, concede poco alle facili emozioni. Si alternano frutta secca, cioccolato bianco, ciliegie sotto spirito e una forte nota di iodio. Col tempo scorrono anche aromi di capperi e pomodori secchi.
Il palato è tenuto in pugno da una acidità indomita che non cede di un millimetro. Questo attenua la evidente componente alcolica che invece scorre con eleganza nel finale dominato dal cioccolato, dalla noce moscata, dalla mandorla secca e dal mallo di noce.
Un vino impegnativo, quasi intellettuale, ma che saprà ricompensare coloro che vorranno accostarvisi con spirito di totale apertura.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)

28 agosto 2009

Orcia Frasi 2005 Marco Capitoni

Mauro Pasquali
Innanzitutto il nome: nasce da un'idea di Marco Capitoni che volle, creando questo vino, fermare una sensazione, uno stato d'animo che ha contraddistinto l'annata imbottigliata. Quindi una frase per ogni millesimo. Leggo sulla bottiglia 2005: Una lepre a correre sfidai, la raggiunsi… mai! Sfide. La sfida di produrre un vino in questa terra, incastonata tra Montalcino e Montepulciano, quindi fra vini ben più famosi, anche se, spesso, non altrettanto emozionali e buoni. Una sfida a “misurarsi con i grandi vini della tradizione toscana”.
La prima annata prodotta risente della mano ancora non perfetta, ma sappiamo che il sangiovese è uva scorbutica.
Le vigne, vecchie di trent'anni, danno sangiovese e piccole percentuali di colorino e canaiolo.
Il vino matura per due anni in botte grande da 33 ettolitri (grande scelta in una terra recentemente convertita alla barrique) e poi ancora un anno in bottiglia.
Il naso profuma di frutto maturo, di ciliegia, di frutti di bosco, cui fa da accompagnamento una bella freschezza. In bocca mi avvolge subito con il suo grande equilibrio ed armonia per lasciarmi, alla fine, una bella sensazione di pulizia.
Il 2007, assaggiato in botte, fa ben sperare per un vino, quando uscirà, fra due anni, da incorniciare.
Nel frattempo, ma non prima della prossima primavera, vedrà la luce l'annata 2006: un bel passo avanti verso un grande vino della tradizione toscana.
Due beati faccini :-) :-)

27 agosto 2009

Ma chi le mangia le penne surgelate?

Angelo Peretti
Mi è capitato per le mani il catalogo di una ditta di prodotti surgelati. Di quelli che consegnano a domicilio, col furgone. Vedo che ci sono parecchi piatti pronti. E capisco che ci sia chi acquista le lasagne alla bolognese, i cannelloni alla carne, la zuppa di pesce, perfino la torta di ricotta e spinaci: tutta roba che farsi in casa non è sempre agevole, e invece qui, zac!, una scaldata e il gioco è fatto.
Ma, dico io, chi è che se le compra le penne al pomodoro surgelate? Le penne al pomodoro! Un primo che ho sempre considerato alla portata anche del più culinariamente analfabeta dei cucinieri casalinghi. Acqua, sale, penne, pomodoro (anche in vasetto), olio, e se proprio si vuol esagerare financo un grattugiata di formaggio: che ci vuole? Eppure in catalogo ci sono anche loro: le penne al pomodoro.
Se c'è chi sente il bisogno di comprarsi le penne al pomodoro surgelate, allora siamo messi peggio di quanto pensassi. E del resto, se le mettono in vendita, vuol dire che c'è richiesta: mica le avrebbero in lista, sennò.
Ci sarebbe da farci uno studio, da scriverci un trattato psico-gastronomico sulla fenomenologia delle penne surgelate. Chi le prende? Perché? Secondo quali schemi mentali le sceglie? In che occasioni le consuma? Ci trova anche piacere?
Mi domando: non è che a forza di mangiare, in pausa pranzo, nei bar, le paste riscaldate, alla fine ci si abitua a quei sapori? Al punto da trovarli famigliari, quotidiani, in un certo senso rassicuranti. E dunque desiderando di riprodurli a casa. Come la cucina della mamma. La mamma moderna, quella del precotto, della merendina confezionata, del formaggino in scatoletta di plastica.
Sì, qualcuno farebbe bene a farci uno studio. E se studio già ci fosse, sarei grato a chi me ne facesse leggere copia.

26 agosto 2009

Südtirol Brixner Eisacktaler Kerner Praepositus 2000 Abbazia di Novacella

Mario Plazio
Un naso che non ti aspetti, tutto idrocarburi da far pensare a un Riesling tedesco. Di questo probabilmente non ha la finezza e la complessità che conosciamo, ma, accidenti, ne condivide una certa magia che sembra scaturire solo dai vini nordici.
Accanto agli idrocarburi ci sono anche molti agrumi, pompelmo giallo e limone in particolare. L’impressione è che si tratti ancora di un vino giovane e dalle potenzialità notevoli.
Il palato è invaso da una acidità vibrante che sostiene tutte le sensazioni e le accompagna a lungo. C’è comunque una buona materia, mai grossolana, che si distendersi elegante e freschissima.
Dopo qualche giorno il vino rimane integro e sfuma su sentori di limone confit e melissa, fino ad acquisire un sospetto di mineralità.
Due faccini :-) :-)

25 agosto 2009

Durello e Blanquette: due maniere di intendere la modernità

Angelo Peretti
La mia "bottiglia stappata" di ieri su InternetGourmet era una Blanquette de Limoux: bollicina francese della Languedoc.
Riprendo l'argomento perché lo trovo un interessante punto di riferimento in una certa discussione che s'è avuta su questo web magazine nelle scorse settimane: quella sul Durello, bollicina autoctona veronese. E le similitudini fra il caso della Blanquette e quello del Durello mi sembrano parecchie.
Nodo del contendere è stato questo: ma il Durello ha ancora un'identità? Oppure, nel cercare d'assecondare il cosiddetto "mercato" (termine vago: quale mercato? credo non ce ne sia uno solo, ma l'argomento è complesso), se n'è persa di vista l'essenza?
Ecco, credo che sì, un po' la via sia stata smarrita. E capisco che i produttori abbiano anche cercato di andare incontro alla moda corrente, e dunque il Durello abbiano provato ad ammorbidirlo, magari facendo cuvée con lo chardonnay, o anche con un po' di residuo zuccherino in più. Ma il rischio era ed è quello di fare una copia neppure tanto riuscita del Prosecco. E la portaerei prosecchista, coi suoi milioni e milioni di bottiglie, è inutile giocare ad imitarla: ti annienta, ti annichilisce, ti schiaccia.
Tanto varrebbe, allora, provare ad affermare una precisa identità. Tornando a dare riconoscibilità al Durello. Avendo il coraggio di far marcia indietro, rivalorizzandone il carattere scorbuticamente montanaro, e quella sua tagliente acidità che oggi, guarda caso, sta riscoprendosi come un valore.
Con la Blanquette de Limoux è accaduto proprio questo: quel che sembrava un difetto - la sua nervosa, scontrosa freschezza verde e citrina - oggi è una carta vincente. Al punto che questa negletta bolla francese s'è cominciato perfino a importarla in Italia, e a vederla addirittura servita come aperitivo nei ristoranti stellati, al posto delle (care, in tutti i sensi) bollicine di Champagne. Ha premiato la coerenza, l'identificabilità, la personalità. E il saper interpretare la modernità non già come ossequio al "mercato", bensì come territorialità offerta a prezzo convenientissimo.
Lo si potrebbe fare, ritengo, anche col Durello. L'uva c'è, il territorio pure, il sapere locale idem, storia fin che si vuole, e quanto al prezzo, quello è centratissimo già adesso.

24 agosto 2009

Blanquette de Limoux Brut Diaphane 2004 Les Vignerons du Sieur d'Arques

Angelo Peretti
La retro dice: "Le plus vieux brut du monde", il più vecchio brut del mondo. Orgoglio del sud della Francia, contro i nordici cugini champagnisti.
Tra le bolle in bottiglia, la Blanquette de Limoux non è tra le più note. Ed è un peccato, ché ha le sue carte da giocare, soprattutto se cercate uno spumante capace di sgrassare alla grande il palato: col pesce fritto, col cotechino, coi salumi. Io l'ho bevuta con pane e salame: benone.
Anche per l'aperitivo, se volete farci un buon Kir col cassis.
Viene da Languedoc, terra che sta mettendo fuori la testa da qualche tempo. La fanno fondamentalmente con l'uva di mauzac, illustre sconosciuta in vigna italica.
Questa che ho bevuto è la Blanquette della Cave du Vignerons du Seur d'Aques, una cantina sociale.
In bocca è tagliente come una lama di coltello, citrina perfino. Di buona lunghezza.
Buon vino, che non costa follie (lo trovate importato sugli 8 euro).
Due lieti faccini :-) :-)

23 agosto 2009

Locanda di Casalmustia – Castelmuzio (Siena)

Mauro Pasquali
La Val d'Orcia è un luogo tutto da vivere, lontano dal turismo di massa del Chianti e frequentato, poco e bene, da turisti, per lo più stranieri e pochi italiani, che nemmeno lontanamente si sognano di trasformarla in Orciashire. Un luogo del vivere bene, sia che ti interessi la cultura, l'architettura, le terme o, più prosaicamente, l'enogastronomia. Ma poiché anche chi va per chiese, palazzi o terme deve, alla fine, pur mangiare, ecco un posto bello, dove si sta bene e, soprattutto si riescono a trovare quei piatti che fanno tanto Toscana. Ma quella vera.
Al centro di un paesino arroccato su di una collina di tufo, a fianco della chiesa, troverete questo locale, trattoria e locanda al tempo stesso. Se vi arrivate una sera d'estate, come è capitato a me, e vi sedete ad uno dei pochi tavoli all'aperto, avrete come vicini gli anziani del paese che seduti in fila, lungo il muro delle loro case, si godono il fresco. Altri li abbiamo avuti vicini di tavolo, impegnati in una partita a carte interminabile e chiassosa.
Per iniziare non fatevi mancare una bella scelta di salumi toscani, tra cui un memorabile lardo di cinta senese non spacciato per quello di Colonnata, e i classici crostini. Ma poi potete continuare con i pici all'anatra, le pappardelle al cinghiale o la ribollita. Buona la scelta delle carni e se siete stanchi della solita bistecca di chianina, provate la straordinaria faraona al tartufo. Tartufo vero, ovviamente.
Alla fine, quando ne avrete voglia in quanto nessuno vi solleciterà ad andarvene, scoprirete che ne è valsa proprio la pena fermarsi qui. Anche per i prezzi.
Locanda di Casalmustia - Piazza della Pieve 3 - Castelmuzio (Siena) - tel. 0577 665166

22 agosto 2009

Garganeghe vicentine in 100 battute

Angelo Peretti
Stavolta la rubrichetta dei cinque vini in cento battute al massimo per etichetta la dedico alla garganega vicentina, area di Gambellara e terra dei Colli Berici, L'altra garganega insomma, rispetto a quella veronese di Soave e del Garda. Ma è garganega di sicuro interesse, quella berica, ché i produttori finalmente sembrano crederci per davvero, e si trovano sperimentazioni estreme come quelle biodinamiche di Angiolino Maule con la sua Sassaia e financo belle bottiglie in cantina sociale, come il Togo.
Avanti così.
Garganega Sassaia 2008 La Biancara
Giallo ramato. Fruttatissimo, con leggera spezia. Bocca fresca, snella, affilata, polposa di frutti.
Tre faccini :-) :-) :-)
Gambellara Classico La Bocara 2008 Cavazza
Naso riottoso, ma fruttato. Bocca fresca e polposa di frutto, citrino a tratti. Bianco elegante.
Due faccini e quasi tre :-) :-)
Sisàra 2008 Le Pignole
Garganega 70% e chardonnay. Mela verde, fiori, leggera spezia. Vino molto fresco, a tratti agrumato.
Due faccini e quasi tre :-) :-)
Gambellara Classico Togo 2007 Cantina di Gambellara
Naso fruttatino, delicato, nitido. Bocca fragrante, bella vena acida. Tracce a tratti officinali.
Due faccini e quasi tre :-) :-)
Colli Berici Garganega Le Mura 2007 Rezzadore
Naso tra il minerale e il floreale, accenni verdi. Non cerca la concentrazione, quanto la finezza.
Due faccini :-) :-)

21 agosto 2009

Saint Estephe Grand Cru Classé 1993 Château Montrose

Mario Plazio
A rischio di essere banale, confesso che ogni volta che bevo un Bordeaux, e uno vecchio in special modo, provo un'emozione che raramente mi capita di provare con altri vini. E ancora più raramente con vini Italiani, salvo le dovute eccezioni (nebbioli su tutti).
Anche se negli ultimi anni Bordeaux è stato devastato da due nefasti fenomeni (la parkerizzazione e il tecnicismo), sono ancora numerosi i vini che riescono a conservare il fascino, l’austerità e l’eleganza che solo i più grandi sono in grado di offrire.
Montrose è storicamente uno dei vini più austeri e lunghi a farsi, mai troppo modernista o desideroso di ostentare.
Il 1993, complice l’annata, è fluido e sorbevole.
Accanto al peperone troviamo note eteree e speziate, cuoio, tabacco e goudron.
Grande beva, per nulla impegnativa, tannini un po’ rugosi, ma veri e non gonfiati dai legni di maturazione. Non è lunghissimo, ma si permette di essere leggiadro.
E si beve che è un piacere. Sarà per questo che la bottiglia è già finita…
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)

20 agosto 2009

Questa sì che è dieta!

Angelo Peretti
Attenzione: questo testo è vietato ai minori di diciott'anni, oppure ai bacchettoni, o anche a chi ha già letto il numero di agosto di Starbene, ché le informazioni son tratte da lì.
Orbene, l'uscita agostana del mensile mondadoriano spiega che più sesso fai, più bruci calorie.
Con 20 minuti di preliminari, ne eliminano 87 lei e 107 lui. In 10 minuti di sesso, con lei di sotto, le calorie bruciate sono 250 per tutt'e due i partner. Altri 10 minuti, ma lei di sopra, fanno 300 calorie in meno lei e 130 lui.
Ma il massimo è farlo in piedi: si spendono ben 600 calorie a testa.
La notizia, l'ultima soprattutto, mi conforta: l'avevo già detto io che in piedi, addossati a un antico muro di cinta d'un brolo veronese o d'un clos borgognone...

19 agosto 2009

Brunello di Montalcino Madonna delle Grazie 2005 Il Marroneto

Mauro Pasquali
Alessandro Mori, un anno dopo gli altri produttori di Brunello, imbottiglia il suo. Assaggio il 2005 conscio del fatto che da poco ha subito lo shock dell'imbottigliamento, anche se Alessandro mi dice che usa la tecnica dei nostri padri per ridurre il mal del vetro: il vino viene travasato dalle grandi botti di rovere in contenitori di acciaio per un mese, per abituare il vino all’ambiente senza ossigeno della bottiglia.
Un grande vino che si apre al naso con quei sentori polverosi così tipici nel Brunello. Poi, ancora, il frutto croccante con belle sfumature di ciliegia e lampone. In bocca i tannini setosi e la bella acidità ne fanno pronosticare una grandissima evoluzione. E una altrettanto grande longevità.
Un vino che riconcilia con il Brunello. Un Brunello che nasce senza manipolazioni, non solo quelle legate alle uve non previste dal disciplinare ma, anche, quelle in cantina: no alle presse, non ai fermentini, no ai lieviti selezionati, no al controllo della temperatura. E, finalmente, no alle barrique. Un Brunello tradizionale, fatto come dovrebbe essere fatto da tutti, senza ricorrere a scorciatoie o manipolazioni.
Tre beati faccini :-) :-) :-)

18 agosto 2009

Aiuto! Qui a nord il cibo non sa più di nulla

Angelo Peretti
Due articoli, letti pressoché in contemporanea, m'hanno colpito. Perché hanno espresso esattamente lo stesso pensiero che ho avuto ieri a tavola. E cioè che la frutta, la verdura, la carne, il pesce, non sanno più di niente, comprati a nord.
Stesso ragionamento traspare da due interventi, ho detto, l'uno d'un gastronomo del nord, l'altro del sud: Edoardo Raspelli e Luciano Pignataro.
Dice Raspelli su La Stampa: "Quante volte, andando al ristorante negli ultimi anni, davanti ad un piatto bello e, magari, anche, tutto sommato buono, ci siamo detti 'Qui manca qualcosa'?! Quel 'quid', quel 'qualcosa', era il sapore della materia prima. Piatti belli ma esangui; piatti 'buoni' ma neutri, con poca personalità".
Dice Pignataro sul suo web magazine: "Voglio essere chiaro con gli amici del nord: così come voi percepite il nostro casino appena uscite dalla stazione, tal quale noi sentiamo animalescamente che la vostra insalata, la vostra frutta, il vostro pane e il vostro pesce, spesso anche i dolci, non sanno di nulla".
Proprio così: non sanno di nulla tanti, troppi cibi al nord. Comprati in bottega o all'iper, mangiati al ristorante. Il giro dei fornitori, del resto, è sempre quello: pochi e sempre gli stessi nella distribuzione, pochi e sempre gli stessi nella ristorazione. Ed è cibo magari igienicamente ineccepibile, ma organoletticamente vuoto.
La carne ha una vaga somiglianza a quel che ricordo del suo sapore. Il pesce, d'allevamento quasi tutto, ha solo una fugace memoria d'acqua. Il pane non ti rammenta affatto il cereale e il lievito, ma piuttosto ha consistenza di polistirolo.
Ma quel che più mi stupisce è che la frutta e la verdura non sanno di niente anche se le compri ai banchetti dei produttori, per strada. E marcisce in fretta, senza maturare. Anche roba che ha fatto sì e no qualche centinaio di metri dal campo alla bancarella, mica solo quel che è stato in cella frigo. Le pesche sono gastronomicamente efebiche, i pomodori idem, l'insalata tutt'al più è vagamente amara. Che sta succedendo? Troppe ibridazioni? Terre troppo forzate dagli interventi chimici? Il sole che non scalda più neanche se la calura è insopportabile? Qualcuno ha una risposta?

17 agosto 2009

Solo i ricchi potranno ammalarsi

Angelo Peretti
Ho letto su WineNews che "il piano anti-cancro 2009-2013 della Francia passa inesorabilmente da una considerazione degli effetti dell’alcol". Lo si ricaverebbe da un rapporto scientifico sottoposto al presidente Sarkozy. La ricerca evidenzierebbe che l’alcol è “il secondo fattore di rischio di cancro in Francia" e che "la lotta contro l’alcol è quindi un obbiettivo primario rispetto alla prevenzione del cancro”.
Più avanti si scrive che "l’obbiettivo primario del piano resta la riduzione del consumo di alcol" e che "per consolidare questa priorità il documento propone di aumentare i prezzi delle bevande alcoliche attraverso la fiscalità".
Adesso capisco: aumentando le tasse sul vino crescerà il prezzo delle bottiglie, e dunque solo i ricchi saranno liberi di ammalarsi di tumore.

16 agosto 2009

Difendiamo la Fiera enologica di Taurasi

Angelo Peretti
Per quanto possa servire, riprendo anche su InternetGourmet l'appello lanciato dal collega ed amico Luciano Pignataro e dall'associazione culturale Divino Scrivere in difesa della Fiera enologica di Taurasi, manifestazione enoica campana di cui è stata decisa la soppressione.
Non entro nel dettaglio di una vicenda locale che conosco solo - ma non è poco - attraverso le cronache di Luciano, ma proprio per la stima e la considerazione che ho in questo giornalista innamorato della sua terra mi permetto di unirmi alla richiesta di rivedere la decisione assunta: non ho mai partecipato alla Fiera di Taurasi, ma gli anni passati il suo tam tam mediatico è giunto anche a me, nel mio nord lacustre, e credo che per molti produttori abbia costituito una vetrina importante.
Ecco, pensiamo a loro, ai produttori: è a loro che va rivolto l'impegno. A Taurasi come in qualunque e ogni località dove si facciano vino e olio e formaggi e frutte e ortaggi e insomma quanto di buono la cultura materiale abbia saputo e sappia donarci.
Per questo sottoscrivo e rilancio: internet, la rete, il wine blogging anche a questo servono.
Ecco qui di seguito il testo dell'appello. Se i lettori di InternetGourmet vogliono firmare on line, il link è indicato alla fine del testo.
La Fiera Enologica di Taurasi è stata soppressa dopo undici anni senza alcuna valida giustificazione che non siano meccanismi interni di paese nei quali non vogliamo entrare. Il Taurasi è uno dei più importanti vini rossi italiani, è un patrimonio di tutti i paesi della Docg, degli appassionati e dei consumatori. Aver abolito una festa di popolo è un grave oltraggio alla sensibilità e al coraggio di quanti in questi anni si sono impegnati nella riqualificazione del territorio, impegno tanto più duro perché portato avanti al Sud tra mille difficoltà burocratiche. Chiediamo alla Regione Campania di riconsiderare la gestione del piano di investimenti alla luce della soppressione di una delle manifestazioni enologiche più importanti del Sud e di promuovere un Ente Fiera che gestisca in prima battuta l'evento a partire dal prossimo anno. Invitiamo le associazioni, Slow Food Campania, l'Ais Campania, Go Wine, le organizzazioni di categoria Confagricoltura, Coldiretti e Cia, a prendere posizione contro questo gravissimo episodio che riporta indietro le lancette alla crisi del metanolo. Viva Taurasi, Viva il Taurasi! Le firme raccolte saranno consegnate in occasione della manifestazione "Grandi Vini da Piccole Vigne", venerdì 28 agosto, Castelvenere (BN). Luciano Pignataro e Associazione culturale Divino Scrivere
Per sottoscrivere la petizione, cliccate qui.

15 agosto 2009

Cotechino a ferragosto

Angelo Peretti
Era tradizione, in certi tratti della terra padana, ai tempi dei grandi lavori agrari, di mangiar cotechino a ferragosto. Magari sarebbe bello rinverdirlo, questo rito gastronomico.
Insieme ci metterei un bel Lambrusco tenuto in fresco. Oppure uno dei miei Bardolino Chiaretto in versione spumante. Oppure, perché no, quel Durello di cui s'è parlato parecchio su questo web magazine. Oppure quel che volete voi, purché vi piaccia, che è poi il segreto per star bene.
E buon ferragosto.

14 agosto 2009

Gli è che non è

Angelo Peretti
Vedo ogni tanto qualcheduno che si scandalizza perché si potrà chiamar vino anche un vino a cui è stato tolta una parte di alcol.
Vedo che c'è chi si preoccupa perché si vorrebbe chiamar vino il succo fermentato di frutti che non siano uva.
Pensate che abbiamo perfino chiamato Brunello certo Brunello fatto con uve diverse da quelle del Brunello.

13 agosto 2009

Bordolesi dei Colli Euganei in 100 battute

Angelo Peretti
Seconda esperienza con le miscellanee di cinque vini descritti al massimo in 100 battute ciascuno: stavolta si va sui Colli Euganei, nel Padovano, coi rosso bordolesi, che qui sono un must enologico. A volte magari si cerca un po' troppo la concentrazione in stile parkeriano a discapito della beva: del resto, sin qui ha premiato fare il vinone. Mi pare comunque che stia crescendo l'attenzione all'equilibrio. Che si cerchi la finezza, che è poi il segreto del gran vino, assieme all'espressione del terroir.
Colli Euganei Rossi Rusta 2007 Fattoria Monte Fasolo
Finezza olfattiva, frutta e accenno pepato. Bocca nervosa. Ancora frutto e spezia e vena erbacea.
Due faccini e quasi tre :-) :-)
Colli Euganei Rosso Scarlatto 2006 Vigna Roda
Frutto rosso e vena boisée al naso. Bocca fruttatissima (e persistente sul frutto) e sapida assieme.
Due faccini :-) :-)
Colli Euganei Merlot 2007 Cà Lustra
Naso varietale, piacevolmente fruttato. Sapido, sul frutto. L’acidità tiene in equilibrio l’alcol.
Due faccini :-) :-)
Colli Euganei Merlot 2008 Montegrande
Naso lineare e fruttatino e palato in corrispondenza. Morbido, pepato, beverino, leggermente verde.
Due faccini :-) :-)
Colli Euganei Cabernet 2008 La Montecchia
Profumi erbacei. In bocca è sul frutto, mora di rovo. Spezia dolce. Buon tannino. Si beve bene.
Due faccini :-) :-)

12 agosto 2009

Il Soave e il tempo che passa

Mario Plazio
Da sempre sono convinto che la fretta sia nemica dei vini in genere, e dei grandi vini in particolare. Quante volte al ristorante troviamo solo vini dell’ultima annata, magari importanti, ma sempre difficili da giudicare e da bere a causa della loro giovinezza? È vero che gestire una carta dei vini con varie annate non è cosa da tutti, ma questo dovrebbe essere il valore aggiunto di ristoranti che vantano certe ambizioni e che il vino lo fanno anche pagare. Chi ha avuto la fortuna e la lungimiranza di acquistare e custodire negli anni un certo numero di bottiglie, può permettersi di organizzare a suo piacimento piccole o grandi degustazioni per verificare l’evoluzione di un certo numero di produttori.
Nel tempo ho avuto modo di mettere in cantina molte bottiglie di Soave e nelle settimane scorse ho deciso di aprirne alcune per vedere qual era il loro stato di salute.
Il territorio di Soave e la garganega costituiscono un connubio in grado di sfidare il tempo e di evolvere acquisendo complessità. La differenza la fanno poi la mano del vigneron e la qualità del vigneto.
Il Soave si è rivelato (ma non è certo una sorpresa) un vino dalle grandi potenzialità espressive e in grado di tradurre con precisione le sfumature dei vari terroir. Questa caratteristica appartiene solo ai grandi vitigni e alle grandi aree viticole e quindi va opportunamente sottolineata. Dall’altra parte emerge però la necessità di interpretare con maggiore libertà la partitura. E mi spiego. Anche qui, forse meno però che in altre zone, esiste il pericolo della omologazione, del tecnicismo, della ricerca del frutto immediato e della dolcezza di beva. I vini più massicci sono poi quelli che decadono più facilmente e che sembrano unidimensionali. Dalla perfetta comprensione del giusto equilibrio fra le varie componenti possono nascere grandi vini, a patto che non ci si faccia prendere la mano dalle sirene del mercato.
Questi i commenti e i voti dei vini degustati (i punteggi sono in centesimi giusto per dare una maggiore sfumatura):
Prà, Soave Classico Monte Grande 2004
Agrumato e maturo, naso di notevole pulizia. Minerale e accenno di rosa. Bocca in linea, si sente leggermente il legno, bella acidità e lunghezza. 87
Gini, Soave Classico La Froscà 1997
Evoluto e cotto. Problema di tenuta del tappo. Un’altra bottiglia bevuta qualche mese fa era eccellente. NC
Inama, Soave Classico Vigneto Du Lot 2001
Naso variegato, legno appena avvertibile. Carnoso e floreale, sfuma in ricordi marini e di capperi. In bocca è sapido e lungo, quasi tannico. Una sorpresa. 90
Gini, Soave Classico Contrada Salvarenza Vecchie Vigne 1999
Ancora chiuso, si apre solo progressivamente e tiene nel tempo. Pera, pepe e molta mineralità. Al palato è compatto, fine, agrumato, nonostante la notevole materia rimane elegante. 91
Coffele, Soave Classico Ca’ Visco 2003
Naso fresco e fine di pera e agrumi. Un po’ pesante per la sensazione di alcol sopra le righe. In bocca non è male ma chiude cortino e senza dare grandi sensazioni. L’annata non permetteva di più. 83
Gini, Soave Classico La Froscà 2004
Espressione molto minerale della garganega, pera e gomma. Si comporta in modo irregolare, si apre e si chiude a ripetizione. La sensazione è che servano ancora alcuni anni di maturazione, ma sembra avere una grande energia. Da seguire. 90
Inama, Soave Classico Vigneto du Lot 1999
Evoluto, aromi di gomma, gesso e zolfo. Bocca sorprendente per pulizia e precisione, tra i vini più minerali e sapidi, succoso e persistente, finale balsamico e di erbe officinali. Altra sopresa. 92
Suavia, Soave Classico Monte Carbonare 2004
Maturo e potente al naso, quasi “dimostrativo”. Il territorio è marcato da sentori di minerale che tendono al marino (ostrica) e anice. Grande potenza in bocca, acidità leggermente slegata. Anche questo vino ha dato l’impressione di necessitare di tempo per ritrovarsi. 85
Prà, Soave Classico Staforte 2004
Vino ben fatto e fin troppo composto. Note verdi e gommose. Acidità al palato non del tutto fusa. Da risentire. 83
Fattoria Coroncino, Verdicchio Bacco 2003
Vino pirata. Tappo. NC
Inama, Soave Classico Vigneto du Lot 2002
Medicinale e balsamico, complesso finisce sui fiori secchi. Al palato è vivo e persistente, coerente con il naso e di ottima acidità. 90
La Biancara Angiolino Maule, Sassaia 2005
Altro vino pirata, ma sempre garganega. Naso macerato di fiori e carne, minerale, speziato. Vino non per tutti vinificato senza zolfo e di alta acidità volatile. La bocca ha però la migliore beva del lotto, non stanca e alla lunga si ripulisce. La maggioranza dei degustatori non ha espresso un voto. 88
Ca’ Rugate, Bucciato 2005
Igt a base garganega con macerazione sulle bucce. Peccato che il produttore (salvo ripensamenti) non intenda più fare questo vino. Naso minerale con sfumature di tabacco, sottobosco, rabarbaro e zenzero, complessità impressionante. In bocca è molto secco, diritto e fra i più eleganti. 90
La degustazione è stata effettuata totalmente alla cieca.
Mi permetto solo di sottolineare la prestazione di Inama con il Vigneto du Lot, vino che appena imbottigliato non mi ha mai pienamente convinto, e che invece alla prova del tempo ha rivelato grande tenuta ed eleganza. Su un piano totalmente diverso Il Bucciato di Ca’ Rugate e il Sassaia di Maule, due visioni fuori dagli schemi, ma assolutamente territoriali. Una nota infine sui vini del 2004 che si sono tutti rivelati inferiori alle previsioni, ma che potrebbero evolvere molto positivamente tra qualche anno di bottiglia. Li attendiamo al varco.

11 agosto 2009

Tutto esaurito

Angelo Peretti
Accidenti, dopo Forte dei Marmi, anche a Panarea han detto "tutto pieno" al magnate russo Roman Abramovich che voleva andare al ristorante, e la faccenda è finita su giornali e tv.
Qualcosa non mi quadra: non una volta che nemmeno il bollettino parrocchiale abbia scritto una riga quand'ho trovato tutto esaurito io. Domando ai miei lettori se a loro sia andata come a me, ché in caso contrario avrei davvero di che sentirmi abbastanza frustrato.

10 agosto 2009

Nuove tecniche di marketing: assaggia solo chi compra

Angelo Peretti
Questa la racconto. Ricevo una mail da un produttore che mi descrive il suo vino. L'oggetto dice: "Sono un vignaiolo cerco rappresentante a tempo pieno". Nel testo, nulla che accenni alla rappresentanza, bensì la descrizione del vino, l'unico che produce. Penso che l'oggetto sia un refuso: io non vendo vino, e dunque perché mai quel tale avrebbe dovuto scrivermi? Rispondo: "Interessante, ma dove lo si trova per assaggiarlo?"
Due giorni dopo ricevo una telefonata dal vignaiolo.
Lui: "Mi ha detto che è interessato a vendere il mio vino."
Io: "No, ho detto che la sua mail l'ho trovata interessante. Io non vendo vino."
Lui: "Ah, lei non vende vino."
Io: "No, ma mi piacerebbe assaggiarlo, il suo vino."
Lui: "Io lo faccio assaggiare solo a chi vuole venderlo."
Io. "E a chi vuole comprarlo?"
Lui: "Lo faccio assaggiare solo a chi lo compra."
Io: "Ma perché qualcuno lo compri, dovrà pur assaggiarlo"
Lui: "Faccio solo trentamila bottiglie, se lo faccio assaggiare a tutti resto senza e non guadagno niente."
Geniale.

9 agosto 2009

Il vino o la pensione

Angelo Peretti
Leggo su L'Espresso: "Le misure proibizionistiche contro l’alcol infuriano. Ma dalla scienza arrivano studi sorprendenti. Un bicchiere di vino al giorno protegge dall’infarto, previene l’ictus e riduce la mortalità del 18 per cento".
Ah, ah! Adesso capisco perché ci vogliono proibire di bere vino: un gotto di rosso ci fa campare troppo. E invece con la crisi del sistema pensionistico, è meglio che tiriamo le cuoia un po' prima.

8 agosto 2009

Moscato d'Asti 2008 Paolo Saracco

Angelo Peretti
Nutro passione sfrenata per il Moscato d'Autunno di Paolo Saracco, che reputo uno dei più eleganti, intriganti, affascinanti bianchi d'Italia in senso assoluto. Ma stavolta il vigneron astigiano m'ha stupito col suo Moscato d'Asti. Che in passato è sempre stato buono, certo, ma che coll'ultimo millesimo sfodera un'armonia di quelle che non ti dimentichi.
Al naso quei toni floreali quasi da sauvignon blanc della Loira che riconosci solitamente nel Moscato d'Autunno. E il fruttino che ritrovi in genere nei grandi brut, pensate un po'.
In bocca un gran bell'equilibrio fra vena aromatica, freschezza, dolcezza. E una cremosità da applauso.
Potete servirlo, certo, a fine pasto, ma alla Taverna Kus di San zeno di Montagna ce lo siamo bevuti su un petto di faraona croccante con le pesche nettarine.
Meglio ancora in magnum.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)

7 agosto 2009

Il Durello che mi piace

Mauro Pasquali
Non poteva che finire così: tirato per la giacca (anche se in questa calda estate ormai ho dimenticato la giacca nell'armadio da un pezzo), ma non più di tanto, ritorno a parlare di Durello. Anzi, del mio Durello, di quello che mi dà sensazioni, che mi emoziona quando ne apro una bottiglia e, soprattutto, quando la bevo.
Gli amici, scherzosamente, mi dicono che sono un po' maniaco: se c'è da aprire una bottiglia di bollicine italiane, al 90% è una bottiglia di Durello. Oddìo, in altre zone d'Italia vi sono sicuramente prodotti che ricevono punteggi superiori nelle varie guide, ma per me, quando si parla di bollicine italiane, la prima scelta cade sempre sul Durello. Chiamatela mania, chiamatelo sciovinismo (i francesi hanno molto da imparare da me...), chiamatelo amore per un territorio e per chi vive quel territorio, ma il fatto è questo: vini come il Durello delimitano (o, meglio, dovrebbero delimitare) il confine fra coloro che nel vino vogliono trovare e sentire il territorio e coloro che si accontentano di un anonimo prodotto, sicuramente ben costruito ma così desolatamente privo di personalità e incapace di emozionare.
Non parlerò dei Durelli che non mi piacciono. Vorrei scrivere che non esistono Durelli che non mi piacciono ma, purtroppo, ciò non è vero. Poi qualcuno dirà: ovvio, i Durelli di cui non ha scritto, non gli piacciono e sono quelli che vorrebbe mettere all'indice. Non è così. Per una volta smettiamo di dividere il mondo in bianco e nero, in giusto e non giusto. Per una volta permettetemi di scrivere di ciò che mi piace e basta. Punto.
Per una volta non darò faccine, giusto per non fare una classifica che servirebbe a poco. L'obiettivo oggi non è questo. Oggi vorrei togliermi lo sfizio di mettere una prima pietra nella costruzione di quell'incontro sollecitato da Paolo Menapace. Un incontro che vedrà (lo spero) tutti (sottolineo: tutti) i produttori di Durello e qualcuno, come il sottoscritto ed altri che amano il Durello e lo vogliono veder sempre più diffuso, magari a cominciare dai locali veneti che, a parte Prosecco e Franciacorta, sembra non conoscano altre bollicine. Ma, soprattutto, lo vogliono coerente, con personalità e caratteristiche proprie: di Prosecchi e Franciacorta è pieno il mondo!
Monti Lessini Durello Spumante Brut Metodo Classico – Casa Cecchin
Troppo facile cominciare con il Durello di Cecchin: un classico (non solo nel metodo). Quattro anni sui lieviti donano sentori di frutta secca tostata, un perlage fine e persistente, profumi freschi e delicati. Ma è soprattutto la mineralità: quelle note che nascono dai terreni vulcanici su cui le vigne sono coltivate, che affascinano e conquistano. Un vino che apro, volentieri, per tutto pasto.
Monti Lessini Durello Spumante Extra Dry Metodo Charmat – Cantina Sociale Valleogra
Un vino piacevole, senza quella voglia di stupire (non riuscendoci) che altri hanno. Una bella alternativa al Prosecco come aperitivo non impegnativo (se solo le nostre enoteche e i nostri ristoratori promuovessero il Durello). Anche il prezzo è piacevole.
Monti Lessini Durello Spumante Extra Dry Metodo Charmat – Cantina Colli Vicentini
Vale quanto detto per la Cantina della Valleogra: una piacevole alternativa ad altre più famose bollicine. Come aperitivo, naturalmente.
Monti Lessini Durello Superiore – Sandro De Bruno Ritrovo, a dispetto di una forse eccessiva morbidezza, il territorio, quella mineralità basaltica che mi fa subito pensare al Monte Calvarina. La freschezza e la sapidità fanno il resto, regalando una bella finezza al vino.
Monti Lessini Durello Superiore – Casa Cecchin
Un bel profumo delicato ma deciso, la mineralità che esce ad ogni sorso. Una bella beva fresca e sapida. Un bell'abbinamento con alici e sarde.
Oddìo, solo ora mi sono accorto che ho inserito, salvo Sandro De Bruno, solo produttori vicentini. Non me ne vogliano gli amici veronesi. La scelta non è geopolitica ma esclusivamente organolettica. Altri prodotti veronesi mi avevano entusiasmato tempo fa ma, ora, non li riconosco più.

6 agosto 2009

Attenti al Müller

Angelo Peretti
In genere, i concorsi enologici non mi piacciono. Anche se non disdegno di comprare bottiglie premiate con l'oro a Mâcon (soprattutto, ho bevuto delle gran belle cose fra i vincitori di questa rassegna) o a Parigi (meno, ma soprattutto, in questo caso, i Bordeaux giovani, d'annata).
Ho smesso da un bel po' di partecipare, anche, come giurato di concorso. Per due motivi. Il primo: non condivido l'utilizzo della scheda di valutazione dell'Oiv, nata tant'anni fa, quand'ancora era importante distinguere fra vini tecnicamente corretti e robe difettose. Oggi invece schiaccia, comprime i giudizi. E se un vino ha personalità, rischia di penalizzarlo. E poi, secondo motivo, le giurie son troppo eterogenee, fatte d'enologi (tanti) e giornalisti (pochi), e dunque i parametri son troppo diversificati e alla fin fine emergono i vini d'aurea mediocritas, quelli che non scontentano nessuno, e se dunque hai una bottiglia densa di carattere, quella stai (quasi) certo che ne vien fuori con le ossa rotte. C'è, in realtà, anche un terzo motivo che mi fa rifuggire dai concorso, ed è che nessuno ti dice poi che vini hai effettivamente assaggiato, e dunque ti resta la sensazione d'aver buttato via qualche ora senza aver appreso un bel niente.
Fatta quest'atrocemente lunga premessa, confesso che ho accettato di far parte dei giudicanti del concorso internazionale dei Müller Thurgau che s'è tenuto in Val di Cembra. E il motivo del cedimento è duplice: in primis, il fatto che l'invito mi sia pervenuto da un enologo che stimo, Paolo Grigolli, nuovo responsabile della kermesse, e in secundis (spero sia corretto dir così), perché ero curioso di vedere lo "stato dell'arte" del Müller, dopo anni che non lo degnavo - ammetto - d'attenzione. Anche qui devo metterci una terza fattispecie, e cioè che la vallata è bella assai, e la luce radente del mattino rendeva, salendo, ancora più fascinosi i vigneti terrazzati: andateci, se non avete ancora avuto modo di passar da quelle parti.
Ora, che ci sia crescente interesse verso il Müller mi pare abbastanza chiaro. Non so se questo voglia significare che s'aprirà un nuovo "caso Pinot Grigio", e francamente non lo credo possibile. Ma di certo chi ha piantato vigne di müller non mi pare se ne stia pentendo, dal lato della redditività. Vedremo. Ma intanto in Trentino la varietà ha raggiunto una quota del sette-otto percento sul totale del vigneto provinciale. E non è poco.
Sta di fatto, che a Cembra ho potuto assaggiare Müller trentini e tedeschi (della Franconia, soprattutto). E mi son reso conto che certe aromaticità artificiose han fatto una gran retromarcia, ché i profumi si son fatti più netti, in certi casi più eleganti, perfino. E sono scomparsi certi finali amari che mi facevano dispiacere il Müller, senza però virare verso la semplicistica dolcezza di taluni bianchi. E l'acidità è spesso bene integrata. Niente male, direi, se quest'è davvero la cartina di tornasole dei Müller italo-tedeschi.
Di più non so dire. Non so spiegare, cioè, di chi fossero i vini che ho tastato, Non posso raccontarli, e me ne dispiace, ché ce n'erano un paio d'innegabile pregio. Due tedeschi e un trentino, in particolare. Che ho visto aver preso la medaglia d'oro e d'argento per quanto riguarda la coppia germanica e invece nessun premio l'italiano, e me ne dispiace, perché o mi son bagliato io - e ammettere d'essersi sbagliato non è bello - o i miei colleghi di degustazione ne han fatto scempio, non perdonandogli, probabilmente, certe giovanili spigolosità.
La sintesi? Che comunque son rimasto sorpreso dal livello medio dei Müller. E che probabilmente all tipologia bisognerà che si guardi con maggiore attenzione. Alla fin fine, anche a questo dovrebbero servire i concorsi. A quando il crollo dell'assurdo tabù di dire ai giurati quali vini hanno bevuto?

5 agosto 2009

Alto Adige Schiava Vernatsch Gschleier 2003 Cantina di Cornaiano Girlan

Mario Plazio
Da un vigneto vecchissimo una Schiava ancora ostica e reticente.
L’aspetto olfattivo è enigmatico: emerge la frutta fresca e poco altro.
Bocca dinamica e concentrata che mantiene una freschezza insospettata per un 2003.
La sorpresa avviene a una settimana dall’apertura: al naso sa di granita alla fragola, e si arricchisce di sfumature più autunnali di humus, sottobosco e lampone.
La beva è degna di un pinot noir di Borgogna, con appena un accenno di maturità spinta e tannicità a tradire l’annata di origine.
Nel finale esce il rabarbaro e una nota alcolica scalfisce appena un carattere altrimenti austero e compìto.
Può evolvere ancora a lungo.
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)

4 agosto 2009

Soave 2008 in 100 battute

Angelo Peretti
Comincio una nuova rubrica. L'ho chiamata "100 battute". La battuta è quella della tastiera del computer (una volta, della macchina da scrivere). Anche lo spazio fra una parola e l'altra conta come battuta.
A muovermi è l'editoriale del grande Hugh Johnson sull'ultimo numero di Decanter. Dice che troppa gente scrive di vino in modo prolisso: parole, parole. Ma per descrivere un vino basterebbero 140 battute. Lui, per la sua guida tascabile ai vini del mondo, ne usa appena 40.
Io faccio così: tento di raccontare una serie di vini dedicando a ciascuno non più di 100 battute. Almeno ci provo. Cominciando con cinque Soave del 2008 che mi son molto piaciuti: 100 battute massimo a testa.
Magari, se avete voglia, fatemi sapere, anche in privato, cosa ne pensate. Della rubrica, intendo.
Soave Classico 2008 Balestri Valda
Fruttato. Polposo e succoso. Vena citrina. Vibrante, nervoso. Il finale asciutto allunga il frutto.
Tre faccini :-) :-) :-)
Soave Classico Monte Fiorentine 2008 Cà Rugate
Il solito gioiello: floreale, ricco di frutto. Teso, personale, eppure snello. Sapido, lunghissimo.
Tre faccini :-) :-) :-)
Soave Fontego 2008 La Cappuccina
Naso fruttato. In bocca frutto di bella densità e fiori. La frutta gialla continua nel lungo finale.
Tre faccini :-) :-) :-)
Soave 2008 Tamellini
Frutta gialla croccante, cui s’interseca un fondo mandorlato. Lungo finale asciutto. Vene minerali.
Due faccini e quasi tre :-) :-)
Soave 2008 Corte Moschina
Naso tra fruttato e officinale. Bocca sapida, fresca, ricca di polpa. Asciutto e lungo nel finale.
Due faccini e quasi tre :-) :-)

3 agosto 2009

Gambellara Classico Paiele 2008 Giovanni Menti

Angelo Peretti
Che ci vorrei trovare in un Gambellara, cugino prossimo del Soave? Prossimo per contiguità territoriale, intendo, e per suolo vulcanino, e per vitigno, che è garganega. Vorrei trovarci personalità e complessità e frutto e mineralità assieme e buona freschezza. Pretendo troppo? Nossignori. Pretendo il giusto.
Questo qui di Giovanni Menti è un gran buon Gambellara.
Al naso appare magari ancora un po' ostico a concedersi. Poi però si apre verso vene floreali e frutti bianchi croccanti. Ancora più avanti vira nella direzione delle memorie minerali. Ci siamo.
Bocca polposetta, eppure anche di molto snella. Vino a tratti rustico, direi. Ed ha acidità molto nervosa, rinfrescante, appagante. Sul finale ha un accenno d'amaro mandorlato.
Vino che ha carattere e personalità e che dovrebbe tendere, con un po' di affinamento ulteriore, verso la nota ancora più minerale.
Da seguire.
Due lieti faccini :-) :-)

2 agosto 2009

Se una volta non c'era, adesso il Durello c'è

Aldo Lorenzoni
Ho letto solo recentemente il pezzo di Mauro Pasquali sul Durello e mi ha fatto piacere, perché credo di avere qualche piccola responsabilità, piccola o grande che sia, con i produttori, sulla storia di questo vino.
La mia lettura della fiaba è però sostanzialmente diversa anche se, non lo nascondo, ho cercato, anche grazie alla complicità del nostro caro Angelo in tempi non recenti, di accreditare il Durello come presidio Slow Food e quindi come un vino in stato d’assedio, che non aveva altre possibilità che farsi aiutare da forze “esterne”.
La lungimiranza di Piero Sardo e di altri amici ci ha invece spinto a presidiare situazioni forse più difficili come il niotiko, un formaggio di capra che proviene dall’isola di Ios vicino a Santorini (consiglio una visita in ottobre – poca gente e tanta suggestione). Di tutto questo però abbiamo già chiacchierato a lungo con i nostri produttori.
Forse è meglio dire oggi che il Durello non c’era, ma adesso c’è, magari con alcune diverse interpretazioni, con diversi approcci, diverse sensibilità, ma è indubbio che oggi si parla di un vino che esiste. È prodotto, rivendicato e da qualche mese anche certificato dal Consorzio. I numeri, in verità, non sono eccessivi: se è vero che abbiamo difeso 600 ettari di durello, distribuiti tra Verona e Vicenza (dati Avepa), possiamo anche confermare che da una produzione vicina allo zero siamo passati in dieci anni a circa 500mila bottiglie. È solo per questo che oggi ne possiamo parlare da diverse angolature.
Allora direi “bravi” soprattutto alle prime 7 aziende che si sono riunite in un consorzio nel 1998: Fongaro, Marcato, Cecchin, Cantina dei Colli Vicentini, Cantina di Monteforte, Cantina di Gambellara, Cantina di Montecchia.
Poi sono arrivati altri produttori, sia soci che non soci, ed ognuno sta raccontando con i propri vini una storia che mi piace pensare diversa. Mi piace il Durello metodo classico di Marcato per la sua integrità, quello di Fongaro per la sua eleganza, quello di Cecchin per la sua continuità; ma altrettando mi piacciono le versioni charmat di Colli Vicentini, irrinunciabili in queste calure estive, quello di Gambellara più morbido e quello di Soave più complesso, dipendentemente dal momento e da ciò che li accompagna. Tutto questo una volta non c’era, adesso c’è ma non è finita. Sono molto coinvolto dalle nuove sensibilità che il Durello un qualche modo scatena: pensiamo al fermo di Sandro De Bruno, all’austerità di Monteforte ed al carattere dei due Durelli di Corte Moschina, oltre all’originalità di Val Leogra.
Devo poi ricordare altre aziende che oggi fanno grande il Durello e che comunque devono ringraziare gli altri, quelli che al Durello ci hanno creduto da sempre, tanto da “sacrificarsi” in una convivenza consortile.
Ottimi Dama del Rovere e Tonello, da sottolineare un notevole rotorno al passato da parte degli amici Maltraversi, oltre a Daniele Piccinin.
Ma questo non è tutto,: ci stanno arrivando segnali di risveglio, ad oggi solo come igt, da parte di tante altre qualificate aziende veronesi e vicentine.
Oh, che bello: siamo più di dieci, siamo forse venti, quando qualche anno fa mettere insieme cinque bottiglie di Durello regolarmente etichettate era difficile, se non impossibile.
Per questo mi piace pensare che al di là delle diverse interpretazioni e dei diversi stili, oggi il Durello almeno c’è. Ognuno può acquistare e degustare quello che più gli assomiglia.
Non abbiamo sinceramente oggi ancora le dimensioni per stigmatizzare interpretazioni e stili diversi. Però mi piace anche ringraziare chi con testimonianze e provocazioni sottolinea da sempre che il Durello finalmente è una realtà vera come tante altre e questo per i produttori è un risultato importante.
A chi suggerisce un confronto tra i produttori va un caloroso invito a partecipare alle manifestazioni che il Consorzio attiva. Se avete perso recentemente la kermesse di Brenton con dieci aziende socie e non socie, accreditatevi per il prossimo appuntamento nella Valle del Chiampo per la decima edizione del Durello & Friends, una bella occasione per chiacchierare tutti insieme con i produttori, perché se una volta non c’era, adesso il Durello c’è.

1 agosto 2009

Champagne Grand Cru Ambonnay Brut Bernard Brémont

Angelo Peretti
Ecco, sì, sono fortunato. Vado a cena in un ristorante e il gestore - pagato il conto - che fa? Mi regala una bottiglia di Champagne ricevuta direttamente dalle mani d'un produttore ch'era stato da lui nei giorni del Vinitaly. "Provalo e dimmi cosa ne pensi", mi fa. Provato. E cosa ne penso lo dico qui.
Ordunque, da subito, appena aperto, questo Champagne d'Ambonnay si mostra d'assoluta, immediata riconoscibilità. Impossibile sbagliarsi già dai primi aromi che si diffondo nel versare il vino nel bicchiere: crosta di pane, fruttino, croissant. Insomma: Champagne, tipicamente, assolutamente.
In bocca è soprattutto il croissant - alla marmellata di pesca o d'albicocca, e burroso - a far la parte del leone. E la cremosità è avvolgente.
Ha carattere, anche, ed è il pinot noir a farsi notare: ci sta, nella cuvée, all'ottanta per cento.
Ripeto: tipicamente champagnista. Da aperitivo, da cena.
Chissà se qualcuno lo importa.
Due lieti faccini :-) :-)