26 gennaio 2008

Ecco il 2004: l'Amarone nell’annata classica

Angelo Peretti
A Bordeaux la vendemmia del 2004 l’han definita «classica». Che vuol dire che è stata di quelle, una volta tanto, normali. Meno balenga del 2002 piovosissimo e del seguente 2003 della calura. E la definizione va bene anche per la Valpolicella, per la quale quella fu - per dirla con le parole del vicepresidente del consorzio valpolicellese, l’agronomo Paolo Fiorini - «un’annata senza particolarità climatiche e agronomiche». Normale, appunto. Ed è vero che poi, nei giorni dell’appassimento, da settembre in poi, ci furono umidità e pioggia e maltempo insomma, e dunque condizioni in apparenza poco adatte, ma a metterci rimedio intervennero - e qui cito invece l’enologo Daniele Accordini - la «meticolosità dei viticoltori» e pure certe «consolidate tecniche di assistenza integrata nei fruttai». E insomma: i valpolicellesi l’appassimento lo sanno far proprio bene, e si sono attrezzati per farlo, e dunque ormai non temono più le bizzarrie del clima autunno-invernale.
Tutte ‘ste informazioni le ho raccolte all’Anteprima Amarone 2004, al palazzo della Gran Guardia di Verona. Dove il presidente del consorzio degli amaronisti, Emilio Pedron, ha ribadito che le cose van bene. Anzi, benone. Ché in Valpolicella il reddito medio per ettaro arriva fino a 20 mila euro, e siam dunque al top reddituale sull’italico suolo. E c’è equa distribuzione di ricchezza tra vignaioli, produttori ed imbottigliatori. E insomma, stan bene tutti, ché l’Amarone tira. E l’uve messe ad appassire negli ultimi anni permetteranno di salire ben oltre gli 8 milioni di bottiglie che si vendono adesso. E si passerà ai 12, ai 15 milioni forse: boom. Caso più unico che raro, a quei prezzi. Roba da farci sopra una ricerca all’università.
Ora, com’è dunque ‘st’annata del 2004? Difficile generalizzare. Epperò generalizzo. E comincio con un’osservazione: è vino meno dolce, finalmente. Nel senso che c’è molto meno Amarone reciotato. Che non c’è la zuccherosità fastidiosa dell’ultime altre edizioni. E ho trovato invece maggior freschezza, che aiuta a bere (se bere è la parola giusta per un rosso come questo, da centellinare). E s’avverte l’alcol con minore insistenza, e anche questo agevola il bicchiere. E c’è poi qualche vena floreale che s’aggiunge alla tipica ciliegia surmatura. E insomma: per chi ama ‘sto vino, il 2004 può riservar belle sorprese.
Ora, dico pure che gli Amaroni in degustazione erano ben settanta, e i più sono tuttora in vasca, e dunque non ancora in bottiglia, oppure in vetro ci son finiti da un mesetto soltanto. E dunque è proprio anteprimissima, da prender con beneficio d’inventario.
I settanta li ho tastati tutti, nella saletta che han preparato per i giornalisti. Alla cieca, li ho provati. E così non sono stato influenzato dalla notorietà del marchio, e questa è buona cosa. E qui sotto vi dico adesso - se v’interessa - com’è andata. Ma no, mica tutti e settanta, ché sennò ci vuole un sito intiero. I dieci che ho reputato per ora più interessanti. A volte scommettendo sull’evoluzione futura.
Ma una cosa ho da aggiungere: che subito dietro questa decina, ce n’è altri venti almeno a una incollatura. E dunque è, ripeto, annata classica e mediamente d’alta valutazione. Ammesso - ovvio - vi piaccia l’Amarone.
Amarone della Valpolicella 2004 Zeni
All’olfatto sfoggia parecchio frutto: ciliegiona rossa in primis. E in bocca è proprio in corrispondenza. E il frutto qui è proprio da masticare. Bello, maturo, croccante, carnoso, denso, ma non marmellatoso. E ha quest’Amarone tannino ben definito. E freschezza in equilibrio. Il rovere, certo, è ancora evidente, ma la lunghezza fruttata c'è tutta, e dunque dovrebbe integrarsi.
Sarà sul mercato a giugno.
Amarone della Valpolicella Classico Villa Rizzardi 2004 Guerrieri Rizzardi
Al naso il frutto deve ancora esprimersi in toto. Ma c'è. E tanto. Ciliegiona. Mora. In bocca è un po' dolcetto, adesso (ma non zuccheroso, questo no), ma c'è bella trama tannica, morbida e distesa, di quelle che affascinano. E l'alcol è in rilievo, ma c'è anche freschezza, e dunque equilibrio. E il tannino non è ancora fuso, ma dovrebbe integrarsi in una materia di tutto rispetto. Gioca sulla fruttuosità e sulla morbidezza. E ha lunghezza di tutto rispetto. Dovrebbe diventar gran cosa, coll’affinamento.
Sarà sul mercato ad ottobre.
Amarone della Valpolicella 2004 Roccolo Grassi
Frutto rosso, ciliegia. E in bocca materia molta. E che materia! E tannino ancora da farsi, un po' aggressivo, ma è comprensibile, con tutto quel frutto lì sotto che si sforza d'emergere e che probabilmente - anzi, ho certezza - emergerà alla lunga. E potrebb'essere dunque, all'evoluzione, Amarone di quelli da concorso e da applauso, soprattutto per chi ama la concentrazione. Ed avrà comunque eleganza.
Sarà sul mercato attorno a dicembre.
Amarone della Valpolicella Classico Vigneti di Ravazzol 2004 Cà La Bionda
Frutto ce n'è, all'olfatto. Magari un po' celato, compresso, ma ce n'è. E in bocca meglio emerge, ed è mora soprattutto, e ciliegia maturissima. E c'è spinta alcolica e trama tannica, ma anche freschezza che tiene in equilibrio l'assieme. Ed è giovin giovinetto, ma si farà, ritengo, e bene, ché ha lunghezza e di già buona definizione, che dovrebbe ancor meglio esporsi coll'affinamento. E materia ce n'è. Parecchia. Bel vino.
Sarà sul mercato da febbraio.
Amarone della Valpolicella Classico Croce del Gal 2004 Corte Antica di Benedetti
Bel frutto al naso: ciliegia e mora pulite, nette. E vena pepata. E stessa impressione offre, immediata, al palato. Ed emergono poi, in bocca, ricordi di cacao, di boero, di caffè perfino. E c'è tannino in gran spolvero. E muscolo. E tecnica. E lunghezza. Oggi è giovinetto, e occorrerà attenderlo. E l'alcol tende magari a prendere un po' il sopravvento, ancora. Ma è Amarone new style, che piacerà a chi ama le concentrazioni. E troveranno dunque bel pane per i loro denti. Chi vuol la beva, cambi invece registro.
Sarà sul mercato da febbraio-marzo.
Amarone della Valpolicella Classico 2004 Valentina Cubi
Ha bella ciliegia e frutto rosso invitante al naso. Elegante. E in bocca eccolo uguale, col suo frutto ben delineato, nitido. Magari l'alcol è un pochetto in rilievo, ma la croccantezza fruttata è piacevole, elegante. E il tannino è modulato con mano felice. E la lunghezza c'è.
Sarà sul mercato a dicembre.
Amarone della Valpolicella Classico 2004 Tedeschi
Buona ciliegia al naso. E in bocca è ut supra: ciliegia. E rotola il frutto per bene nel palato, ed è carnoso e croccante. Il tannino è ancora un po' ruvido, ma si dovrebbe fondere, integrare, ritengo e son pressoché certo. E infatti il frutto torna ad emergere preparando un finale lungo, sulla ciliegia, magari un pelino dolce, e sul cenno appena d'uvetta sotto spirito. E v'è nuance anche balsamica, appena appena, che ingentilisce l'assieme. Anticamente piacevole.
Sarà sul mercato da aprile.
Amarone della Valpolicella Valpantena 2004 Tezza
Naso dal frutto acerbo. Bocca calda d'alcol e dal buon frutto, che già si mastica e che potrebbe gradualmente meglio esprimersi ancora. La mora soprattutto. E c'è traccia di cioccolato e un po' di boero. E discreta lunghezza fruttata e cioccolatosa. E tannino ben modulato.
Sarà sul mercato solo nel 2009.
Amarone della Valpolicella Classico Terre di Cariano 2004 Cecilia Beretta
Naso un po' chiuso, ora. Bocca che ha invece frutto di buona fattura, croccante. La ciliegia è stramatura, l'amarena è ben definita. C'è vena balsamica. La dolcezza è contenuta. Il tannino disteso. La freschezza invitante. Beva di rispetto. Buona lunghezza. Bella mano.
Sarà sul mercato a marzo-aprile.
Amarone della Valpolicella Classico 2004 Carlo Boscaini
Ha frutto un po' chiusetto ancora al naso. Epperò in bocca ecco che di già emerge, abbastanza nettamente, la ciliegia, parecchia. Eppoi mora di rovo, bella. E un pochetta, direi, di prugna. E ha buona tensione e tannino ben esposto, che però non aggredisce. E alcol, certamente, ma anche discreta freschezza. E dunque tutto quel che serve per avere equilibrio. Per adesso deve ancora interamente comporsi, e soprattutto lasciare che il frutto si faccia per davvero, e in toto, largo. Ma è ben fatto davvero.
Sarà sul mercato a giugno.

20 gennaio 2008

Quelli che il follatore orizzontale...

Angelo Peretti
Ci ho provato, giuro che ci ho provato. Ma non resisto: la devo proprio scrivere. La storia del follatore orizzontale, intendo. E capisco che non capiate, e dunque: rewind, si riparte da capo qui sotto.
Dunque, la faccenda è questa: fra le bottiglie che mi sono capitate fra le mani negli ultimi mesi, ne ho trovata una con un’etichetta (o se volete, la controetichetta, quella più piccola, che in genere però elenca tutte le indicazioni di legge, compreso il «contiene solfiti - contains sulphites» ch’è diventato obbligatorio da qualche tempo) che vale la pena di riportare. Perché, secondo me, è un esempio di come non si deve fare un’etichetta.
Ma prima devo mettere le mani avanti, fare un’ulteriore premessa: non voglio prendermi gioco di quell’etichetta, di quel vino, di quel produttore. Anche perché il vino non è affatto male e il produttore è serio. Per cui non cito né vino, né produttore, e neppure la zona d'origine, la regione, il vitigno: nessun indizio vi lascio. Dico solo ch'è un vino italiano. Stop. Ché voglio semplicemente usare questo caso come una metafora di quel che succede oggi nella comunicazione enoica. Mica altro.
Orbene, veniamo all’etichetta: c’è scritto che quel tal vino vien fatto con quella tal uva «selezionata in cassette, vinificata con follatore orizzontale, affinata in barrique e botte da hl 30». Col follatore orizzontale, capito?
Ma, dico io: vogliamo proprio spaventarli ‘sti consumatori? Uno comincia a pensar male quando legge di quella cosa lì, il follatore orizzontare. Che sarà mai? Qualcosa di simile al sarchiapone del celeberrimo, surreale, divertentissimo sketch di Walter Chiari?
Povero bevitore: rischia di non risolverlo mai il quesito. Anche perché se vai su internet e cerchi su Google, del follatore orizzontale mica ci trovi traccia. E se è un attrezzo (e lo è, lo è), c’è proprio bisogno di dirlo che s’usa questo marchingegno? Conta davvero qualcosa, in quanto a informazione?
E perché poi dire «barrique e botte da hl 30»? Che c’entra quell’«hl 30»? Non si poteva scrivere più semplicemente «botte grande»?
Che poi, invece, l’informazione più importante mica ce la trovi. Ed è questa: da dove viene quella benedetta uva? Da che comune, vigneto, campo? Niente: su questo si tace. Come se l’origine dell’uve fosse meno importante dei machinari di cantina. Meglio il follatore orizzontale, orgoglio della scienza e della tecnica applicata al vino, evidentemente. Ma di cui, credo, a chi vuol bere quel vino non gliene importa un bel fico secco. Suvvia!
Ripeto: lungi da me voler infierire. Quest’etichetta qui mi son permesso d’usarla come pretesto, ché ha avuto la disavventura d’essere stata l’ultima in ordine di tempo a capitarmi sott’occhio. D’esempi d’etichettature strampalate potrei farne tanti altri, figurarsi!
C’è, in Italia, il mal d’etichetta. E sulle bottiglie ci si vede appiccicato di tutto e di più. Sono andato a rileggermi un utile manuale di Fabio Piccoli, «La comunicazione del food & beverage». Scrive: «Sul versante delle etichette il nostro settore vitivinicolo sembra afflitto dalla grave malattia dell’improvvisazione». Come non controfirmare?
Se l’etichetta è - riprendo ancora una parte del testo di Fabio - «il principale biglietto da visita di un vino e, in larga misura, anche dell’azienda», allora la faccenda è seria. Molto.

12 gennaio 2008

Et voilà, trentasette anni che sembrano tre: i Bordeaux del '70

Angelo Peretti
C’è in giro un libro che non ho ancora letto, ma che prima o poi finirò per leggere. È di Andrea Scanzi. S’intitola «Elogio dell’invecchiamento». Ecco: è il titolo che m’intriga. Perché a me piace bere vini che invecchiano bene. Scoprire bottiglie che han superato gli anni e t’affascinano. Come certe donne che hanno sì messo qualche ruga, qualche piega sul viso, ma è quell’asperità che rende ancora più personale e se possibile seducente il volto.
Credo che il percorso di chi avvicina il vino con passione sia pressoché segnato. Si comincia impazzendo per i bianchi aromatici o per i rossi corposi. Poi c’è comunque la fase in cui «il vino è rosso», e l’affermazione è di quelle che non ammettono deroghe e non si è dunque disponibili a prendere in considerazione null’altro che non sia figlio di vigna rossa e non abbia tannino e muscolo. Poi, ecco che ti s’insinua il dubbio, e magari ti capita di tastare un bianco che ti lascia a bocc’aperta per via di quella finezza, di quell’armonia, di quello slancio che prima non avevi incontrato mai. E allora cerchi questo: la finezza, nei bianchi e nei rossi e nei rosati e nelle bollicine. E poi ecco che scopri il vino che invecchia bene, bianco o rosso non importa. E allora sei segnato: Riesling tedeschi fra i bianchi, mentre per i rossi s’apre il conflitto fra Borgogna e Bordeaux. Com’era fra Coppi e Bartali, fra i Beatles e i Rolling Stones.
Io sto con Bordeaux.
Da tre-quattr’anni l’ultima degustazione che organizzo in corso d’anno, fra Natale e San Silvestro, è dedicato ai bordolesi attempati. E questa volta l’ho orientata ai Bordeaux del 1970. Che vuol dire vini che han sulle spalle i loro discreti annetti.
Ora, l’annata del ’70 è stata di quelle buone. Tom Stevenson, per esempio, nella «Grande Enciclopedia Illustrata Vini del Mondo» edita da Sotheby’s, attribuisce 90 centesimi ai rossi del Médoc e 87 centesimi a quelli di St.-Émilion e Pomerol. E non è mica male.
Qui sotto vediamo com’è andata con le bottiglie che abbiamo aperto (eravamo una dozzina). Ho chiesto, come sempre, ai presenti di dare un giudizio finale sulla piacevolezza complessiva del vino, in decimi, compresi i mezzi voti. Alla fine della descrizione d’ogni vino, oltre ai miei faccini, metto dunque anche l’indice medio di piacevolezza. Vedrete che non sempre i miei faccini e il voto totale coincidono.
L’ordine è quello di servizio dei vini. Nulla scrivo delle bottiglie che avevano problemi di tappo o d’ossidazione (sono state tre o quattro: peccato, ma è inevitabile).
Graves 1970 Château Malartic Lagravière
Colore elegantissimo: bordeaux brillante, appena appena con un accenno di aranciato. Brillante. Naso terroso. Toscano, cenere. Spezia pepata. Goudron. Bocca snella, scattante, incredibilmente fresca. Note terziarie fuse con una bella succosità di frutto. Vena di liquirizia. Vino austero, sobrio. Aristocratico.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)
Indice di piacevolezza medio 8,591
Margaux 1970 Château Rauzan Gassies
Colore rubino un po' diluito, scarico, con unghia aranciata. Naso con toni terziari. Bocca tra la freschezza, il tannico e addirittura il salino. Fruttino lunghissimo e snello. Alla distanza perde un po’ di slancio, ma comunque ha una lunghezza notevole.
Due lieti faccini :-) :-)
Indice di piacevolezza medio 8,045
Margaux 1970 Château Rauzan Ségla
Colore rubino abbastanza carico: decisamente difficile percepire l'età di questo vino guardando nel bicchiere. Naso giovane, verde, fruttato: diresti che ha sì qualche anno, ma mica più di cinque o sei. Bocca croccante di frutto, ciliegia, prugna, bacca di biancospino e poi spezia pepata e cannella e noce moscata. E c'è la tannicità del mallo di noce. E vene di sigaro. Cenni mentolati. E una pienezza e una lunghezza che impressionano parecchio.
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)
Indice di piacevolezza medio 9,136
Pauillac 1970 Château Pédesclaux
Colore impressionante, denso, scuro, solo con la sottile unghia aranciata che tradisce appena appena l'età avanzata. Naso terroso e fruttato insieme e perfino, alla distanza, balsamico. Bocca piena, ampia, densa. Bel tannino, giovanilissimo, affascinante. Note di canfora, eucalipto, di noce, cenni forse anche di nocino. Sotto c'è la mora di rovo. L'amarena. Lunghezza impressionante. Potente, nonostante gli anni.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)
Indice di piacevolezza medio 8,864
St.-Emilion 1970 Château Croque Michotte
Ecco, questo sarà anche un vino che sembra piccolio, ma è il mio vino, quello di cui vorrei avere una mezza dozzina di bocca in cantina. Ché ha gran beva. Con ordine, adesso. Colore cristallino, rubino scarico e appena un po' aranciato, elegantissimo. Naso terroso, liquirizia, spezia. Petalo di rosa appassita, cannella, cardamomo. Bocca fresca, liquirizia, canfora, terra rossa. Eppoi, splendido, il pompelmo rosa. Freschezza. Succosità.
Tre lietissimi faccini :-) :-) :-)
Indice di piacevolezza medio 8,455
St.-Emilion 1970 Château L'Arrosée
Colore rubino carico, brillante, intenso. Bellissimo. Naso elegante, austero, terroso e balsamico insieme, officinale. Bocca croccante di frutto, di ciliegia, di mora, di prugna rossa. Salino. Lunghissimo e bevibile. Buono, buono. Giovane, succoso, sapido.
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)
Indice di piacevolezza medio 8,773
St.-Esthèphe 1970 Château Cos Labory
Colore da acqua di ciliegia cotta. Naso salmastro, iodato, canforato. Bocca sullo stesso tono, con vene di anice e di liquirizia. Salino, perfino. E lunghissimo, con l'anisetta che esce alla distanza. Frutto decadente, pout-pourry, fiori secchi.
Due lieti faccini :-) :-)
Indice di piacevolezza medio 8,091
St.-Esthèphe 1970 Château Phélan Ségur
Colore rubino carico, eppure brillante, limpido. Naso terrosissimo. Ed ha vene di liquirizia e di asfalto sopra il frutto surmaturo. Direi la ciliegia cotta, ma anche memorie leggere di rhum, di maraschino, di brandy. Bocca succosa. fresca, salina, quasi iodata. Il fondo ricorda la liquirizia e lo zenzero candito e la buccia di agrumi, il distillato di albicocche. Lunghissimo.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)
Indice di piacevolezza medio 9,318
Graves 1970 Château Carbonnieux
Colore rubino carico, traversato da vene violacee. Brillante, senza la minima traccia aranciata. Naso terroso. Ricorda la torba. Sotto, il frutto denso, maturo, rosso. Vaghe memorie di sottobosco. Bocca sapida, densa, tannicissima, giovanilissima. Aspra? Perfino verde, addirittura nel tannino. Cenni mentolati, officinali, balsamici. Lunghezza considerevole. Bel frutto che rotola in bocca, ciliegia, melograno. Salino, iodato, sapido. Lunghezza e pienezza di frutto strepitosi. Davvero sarebbe difficile dire che sia un rosso più vecchio di due-tre anni. Incredibile.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)
Indice di piacevolezza medio 9,000

6 gennaio 2008

Top 2007 secondo me: venti bottiglie (e cinque bollicine) indimenticabili stappate nell’anno

Angelo Peretti
Eccomi qua con la superclassifica dei vini bevuti nel 2007: è un gioco, una sorta di piccolo rito. Magari un po’ scaramantico, per propiziare bottiglie ancora migliori nell’anno che è appena iniziato. Un’indicazione, anche, per chi magari fosse in cerca di qualche boccia un po’ curiosa, perché non credo siano convenzionalissimi i vini di questa mia top, anche se c’è tanta e tanta Francia (ma anche qui c’è varietà, vedrete) e un bel po’ di Germania e un po’ d’Italia, certo, anche quella, ci mancherebbe.
Ho scelto dieci bianchi e dieci rossi. E cinque bolle.
Fra i bianchi, come nazione stravince, per me, la Germania, con quattro dei suoi favolosi riesling, e n’avrei potuti aggiungere almeno un altro paio. Poi la Francia, con altrettanti vini: due chenin blanc della Loira, un alsaziano e uno di quegli intriganti, difficili bianchi che fanno nel Jura. Indi l’Italia: un Soave e il Moscato d’Autunno di Paolo Saracco, e se proprio proprio fossi costretto a tenere un vino solo fra tutti quelli bevuti, rischierei di scegliere proprio questo.
Tra i rossi, strapotere francese: tre bordolesi e poi una scelta d’altre quattro denominazioni, e se proprio anche qui devo scegliere, quello che più m’ha stregato è un Faugères, vino del Midi, una sorpresa, del tutto inattesa, almeno per me. L’Italia ne ha tre: un Valpolicella, un Recioto pur’esso valpolicellese e un Barolo. Fino all’ultimo sono stato incerto su un altro vino: il Bardolino Classico Tacchetto 2006 dei Guerrieri Rizzardi, buonissimo, già nella mia top 10 del lago di Garda. Poi, confesso, ho finito per preferirgli un bordolese del ’70 bevuto proprio a fine anno.
Seguono cinque bollicine, e qui è solo Francia: quattro Champagne e, udite udite, un Crémant d’Alsace.
E i rosati? Oh, quelli stavolta mancano. Non perché non n’abbia bevuti di buoni, ma piuttosto perché non avevo voglia di fare un’altra sezione. E perché li ritengo ad oggi ormai introvabili sul mercato. In ogni caso, ne indico due, che penso siano tuttora buonissimi, e se per caso ne intercettaste una bottiglia, stappatela senz’indugio: per l’Italia il CorDeRosa delle Vigne di San Pietro (che era comunque anche questo nella mia top 10 del lago di Garda, la scorsa settimana), per la Francia l’elegantissimo Côtes de Provence Rosé di Château Peyrassol, 2006 entrambi.
Ora, ecco la selezione.
Ah, dimenticavo: l'ordine, all'interno delle sezioni, è alfabetico.

Bianchi
Abtsberg Riesling Spätlese 2004 Grünhaus von Schubert
Germania. Mosella. Che bianco fascinoso! Dolcino, certo, ma con quella freschezza così ben espressa che corregge e integra la morbidezza in un insieme di grand’armonia. E poi la lunghezza. E il frutto quasi grasso. E il fiore secco. E il cedro candito. E la vena minerale. Bevuto in agosto.
Alsace Gewurztraminer Grand Cru Furstentum Vieilles Vignes 2003 Albert Mann
Francia. Andai in azienda un po’ sul presto, subito dopo il mio jogging mattutino, e comprai questa bottiglia un po’ per caso: be’, è stato un affarone. Naso di fieno e violetta e rose. Al palato svetta l’eleganza. E ha spezia e frutto esotico. Freschezza, persistenza infinita. Bevuto in agosto.
Arbois Savagnin Cave de la Reine Jeanne 2003 Stèphane Tissot
Francia. Uno di quei bianchi strani e complessi e difficili che fanno nel Jura. Naso stratosferico, che evolve lentamente, lungamente. Corrispondenza al gusto. Da tenere nel bicchiere e goderne l’evoluzione. Nespola, noci, canfora, spezia. E lunghezza. E freschezza. Bevuto in maggio.
Coteaux du Layon Saint Lambert Cuvée Prestige 2000 Domaine Ogereau
Francia. Era nella mia personale classifica del 2005. Ribevuti a due anni di distanza, lo ritrovo in forma smagliante, uno dei migliori bianchi che abbia mai bevuto. Complesso, ricchissimo, equilibrato. Frutta stramatura, cannella, cumino, chiodo di garofano, dattero, eucalipto, e via e via e via.
Erdener Treppchen Riesling Kabinett 2004 Dr. Loosen
Germania. Mosella. Agrumi (cedro, pompelmo rosa), litchie, fiori bianchi, leggerissima speziatura, intrigante e avvincente. Finissima. E vena minerale appena appena sottesa. E in bocca frutto denso e beva snella e freschezza salina e lunghissima persistenza. Bevuto in agosto.
Lorenzhofer Riesling Auslese 1994 Karlsmühle
Germania. Rileggo dai miei appunti: dolcezza, spezia, vena balsamica, freschezza, nota citrina, ananas, buccia d’arancia, cachi maturi, vene resinose, coccola di cipresso, liquirizia. Beva incredibile e complessità straorrdinaria. Grande equilibrio. Un gioiello. Goduto a fine novembre.
Oberhäuser Leistenberg Riesling Kabinett 2004 Hermann Dönnhoff
Germania. Il Riesling germanico mi piace, e quest’è bel Riesling. Con quel naso che fonde fiori e resine e vene minerali. E la beva che è assoluta gratificazione. E l’equilibrio tra freschezza e morbidezza. Bevuto in gennaio, ribevuto in giugno. Il tempo passa e la memoria resta.
Piemonte Moscato d’Autunno 2006 Paolo Saracco
Italia. Ribadisco: è uno dei più grandi bianchi d’Italia. Sissignori, e se fate gli schizzinosi e non volete sporcarvi la bocca con un Moscato, peggio per voi. Cinque gradi di eleganza e armonia e finezza. Già il 2005 è stato nella mia top 2006. Bis. Bevuto ad agosto e poi ancora...
Savenniéres-Coulée-de-Serrant Clos de la Coulée de Serrant 1980 Nicolas Joly
Francia. Oh, le vecchie bottiglie della Coulée de Serrant son davvero buone. Non mostra traccia di cedimenti questo chenin dell’80. Freschissimo, giovanilissimo. Ha naso floreale. In bocca bella vegetalità. E frutto bianco croccante. Ed è lunghissimo. Bevuto in febbraio, rigoduto in estate.
Soave Classico Le Bine di Costìola 2006 Tamellini
Italia. M’era strapiaciuto il 2004. In luglio, ho adorato il 2005. Quando ai primi di settembre Gaetano Tamellini m’ha fatto provare in anteprima il 2006 (da soli due mesi in bottiglia), m’ha stregato. Uno dei bianchi italiani più intriganti che mi sia occorso di bere negli ultimi anni.

Rossi
Barolo Marenca 2001 Luigi Pira
Italia. E già, un buon Barolo è un buon Barolo. E insomma, se ha ragione Nico Orengo che il Barolo ha da esser connubio di viola e di liquirizia, quest’è Barolo vero. Ottenne i tre bicchieri Gambero&Slow e il giudizio è condivisibilissimo. Elegante e avvincente. Bevuto in marzo.
Bourgogne Hautes-Côtes-de-Beaune 2004 Francois et Denis Clair
Francia. Subito magari non ti fa impressione questo Pinot Nero borgognone. Ma poi ecco che il fruttino e la viola s’impossessano del palato e vi s’insediano e t’avvincono non per muscolo ma per grazia. Allora capisci perché la guida Hachette gli ha dato il coup de coeur. In gennaio e dicembre.
Chateauneuf-du-Pape 04 Domaine de la Janasse
Francia. Mi piacciono parecchio, i rossi di Chateauneuf, e questo qui, pur ancora giovinetto, avvince per la sua pienezza, per la personalità, epperò anche per quella beva che non ti fa sentir né l’alcol, né il tannino. Piacevole subito e certamente in grado di crescere ancora. In ottobre.
Cotes du Ventoux Cuvèe Nadal 2004 Domaine de Fondrèche
Francia. Rosso fatto con syrah e grenache in parti uguali più un pizzico di mourvèdre. Il syrah l’avverti di più al naso, con la pepatura nettissima, il grenache più in bocca, col frutto tondo e maturo. Sa di mora di rovo, ciliegia, amarena. Ha polpa, sostanza. Lunghezza. Bevuto d’agosto.
Faugères Le Songe de l’Abbe 04 Abbaye Silva Plana
Francia. Un rosso dalle Languedoc. Un Faugerès. Che ha carattere. Personalità. Quasi rusticità, ma piacevolissima. Naso fruttatissimo: amarena, amarena, amarena. E poi erbe officinali. In bocca, insieme, frutto masticabile e freschezza, struttura e snellezza. E poi il pepe. In agosto.
Haut-Médoc 1996 Château Sociando-Mallet
Francia. Naso elegante, speziato & fruttato insieme. Fascinose note balsamiche. Frutta ed eucalipto. Avvincente trama tannica. Vino bevibile e tosto : t’inganna, ché pare facile ed è invece complessissimo. Cresce alla distanza, si fa sempre più fine. Ed è ancora giovanissimo. In maggio.
Pauillac Premier Crû 1993 Château Mouton Rothschild
Francia. Quando si dice la finezza: almeno per come la penso io, non c’è corpo, struttura, tannino, alcol, fruttone, palestra che tenga. Ed è la finezza a fare di questo rosso un vino da commozione. Avvince per armonia ed eleganza, si distende pigramente sul frutto. Con gioia, in aprile.
Recioto della Valpolicella Classico Vigneti di Moron Domini Veneti 2000 Cantina di Negrar
Italia. Dolce. Lo ricordo finalista per i tre bicchieri, questo Recioto valpolicellese, senza però ottenerli nella guida del 2003. A distanza, s’è fatto ancora più elegante, quasi austero. Avvince la dolcezza, ma intriga vieppiù la speziatura, complessa. S’aggiunge fiore essiccato. A gennaio.
St.-Emilion 70 Château Croque Michotte
Francia. Hugh Johnson ne scrive così, di questo château: «Tenuta di 14 ettari al limite di Pomerol. Vini buoni e costanti, non abbastanza Grand per essere Classé». Che faccia rossi buoni ne ho avuto la riprova stappando, a fine dicembre, questa bottiglia del ’70: tenue, finissimo, bevibilissimo. Fruttino e spezia.
Valpolicella Classico Superiore 1999 Giuseppe Quintarelli
Italia. Il Bepi è il Bepi, e i vini che fa hanno il suo imprinting, il suo stile unico. E se te n’innamori può essere un guaio... Ma l’amore non conosce ostacoli, si dice: dunque, lasciamoci ammaliare da questo frutto nobilmente vellutato, avvolgente, potente, caldo & bevibile insieme. A maggio.

Bollicine
Champagne Aÿ Grand Cru Fût de Chène Brut 1995 Henri Giraud
Francia. Ah, le bollicine, le buone bollicine! Tanto frutto, piccolo, di bosco & sottobosco, fascinoso, perenne nel naso e nella bocca. Croissant tiepido, pane sfornato. Carbonica perfettamente integrata. Elegantissimo, aristocratico Champagne bevuto con strapiacere in febbraio.
Champagne Brut Réserve Michel Furdyna
Francia. Furdyna è un Vigneron indépendant. Fa questo brut che è una chicca. Piacevolissimo. Con tutto quel fruttino succoso. E quel fiore bianco. In due, finisci la bottiglia e non te ne sei quasi accorto: birichino assai e assai. Bevuto più volte (strabevuto, anche in piccola e magnum) nell’anno.
Champagne Brut Rèserve Grand Cru André Beaufort
Francia. Come una brioche all’albicocca, morbida, fragrante di burro e di frutto. Così m’è parso questo Champagne. Uve allevate con metodo biologico. Cremoso e magari un po’ dolcino, old fashioned. Ma ne bevi un bicchiere e un altro e un altro. Seducente setosità. Graditissimo in maggio.
Champagne Extra-Brut Blanc de Blancs Grand Cru Fallet-Prévostat
Francia. Ha naso fascinosamente fruttato di frutti antichi e dimenticati. E crosta di pane che viene dal forno a legna. E un vago cenno di anisetta. La bocca attacca con tagliente freschezza salina, che si tramuta però in crema, densa e avvolgente. Ed ecco ancora il frutto. E la florealità. In settembre.
Crémant d'Alsace Brut Prestige Paul Buecher
Francia. Mica vi scandalizzerete se in mezzo a quattro Champa ci metto un Crémant alsaziano, vero? Perché questo qui m’è proprio piaciuto, con quelle sue vene balsamiche, un pelino minerali, e quella freschezza, e quelle bolle setose, e perfino quella sua morbidezza, che però non invade. A dicembre.