6 aprile 2012

Champagne Bérèche et Fils, la purezza del terroir

[Mario Plazio]
Non mi capita spesso di entusiasmarsi per una nuova cantina. Il povero degustatore, obbligato ad assaggiare di tutto e di più, è a volte quasi anestetizzato dall’eccesso di proposte. Non voglio tirarmela, non sono il tipo. Però negli anni subentra in certi momenti un’aria di routine. Per fortuna ci capitano spesso anche delle belle sorprese. È il caso degli Champagne di Bérèche, assaggiati alla cieca e sempre usciti tra i migliori.
L’azienda si trova sulla Montagne de Reims, ma possiede vigneti in varie zone. L’approccio è naturale, orientato verso il biodinamico, ma senza alcuna certificazione. Un grande lavoro in vigna tende a rispettare le caratteristiche intrinseche di ogni tipologia e vigneto, alla ricerca di una ideale tensione gustativa e della mineralità. Non si usano diserbanti, i trattamenti sono rari e a base di zolfo e rame, le rese molto basse per la regione. In cantina si usa molto il legno, la malolattica non viene quasi mai svolta, e i dosaggi sono minimi per preservare l’origine del vino. Missione raggiunta: i vini sono puri, vivi, lunghi e dedicati alla tavola. Questi i miei giudizi sulla gamma.
Brut Réserve. Crosta di pane e nocciola. Complesso e floreale, salino e dotato di notevole acidità. Potrà evolvere.
2 faccini e mezzo :-) :-)
Extra Brut Réserve. Naso più austero e minerale, gessoso. Poi frutta rossa. L’acidità spinge e si fonde con la consueta nota salita e iodata.
3 faccini :-) :-) :-)
Brut Rosé. Decisamente frutta rossa al naso, lamponi e poi mineralità spinta. Sembra più un bianco che un rosé per la struttura verticale.
2+ faccini :-) :)
Millésime 2004. Complesso e speziato, elegante. Funghi e frutta secca, bella dimensione al palato, dove la freschezza è apportata da aromi di gesso, fiori e mare. Cambia continuamente e sembra poter evolvere a lungo.
3 faccini :-) :-) :-)
Vallée de la Marne Rive Gauche. Vecchia vigna di Pinot Meunier. Bilanciato, maturo e fine al tempo stesso, ancora giovane, viene prodotto con l’antica tecnica del “bouchon liège”, quindi sui lieviti con tappo in sughero. Ed è interessante vedere la diversità dei risultati. Grande palato, fresco e con bollicine satinate e impalpabili.
3 faccini :-) :-) :-)
Reflet d’Antan. Prodotto con metodo solera iniziato nel 1985. Mi piace citare cosa scive il produttore nella scheda: “Seulement 2/3 de chaque fût sont mis en bouteille. Le tiers restant contribuant à informer la vendange suivante”. Cioè: 2/3 passano in bottiglia, mentre l’altro terzo contribuisce a informare la vendemmia seguente. Bellissimo. Il liquido ha una complessità enorme, la sensazione di rovere deriva dal tappo in sughero e se ne va dopo qualche anno di bottiglia. L’ossidazione è evidente, si respirano le spezie, lo zenzero, la frutta secca e aromi autunnali. La magia sta nel fatto che il tutto è perfettamente equilibrato, non ci sono eccessi e l’acidità detta i ritmi di un palato magnifico.
3 faccini e oltre :-) :-) :-)
2007 Arbanne - Petit Meslier. Vino non in vendita realizzato a partire da vitigni storici oggi non più uso nella regione. Sembra un Trebbiano di Valentini. Vorticoso, ferroso, e aromi da fattoria. Sensazione tattile alla beva, dove è potente, forse non elegantissimo ma lunghissimo. Estremo.
3- faccini :-) :-) :-)

4 aprile 2012

Uvapassa, o dell'imperfezione perfettissima

[Angelo Peretti]
Qualche settimana fa Davide Paolini mi ha fatto (nuovamente) l'onore di ospitarmi nella sua trasmissione Il Gastronauta, su Radio24. Si discorreva di vini imperfetti, e di come l'imperfezione, talvolta, possa generare piccoli, irripetibili gioielli.
Tra le imperfezioni che si possono rinvenire nel vino vi è anche l'acidità volatile, che è certamente fastidiosa quasi sempre. Quasi. Salvo che si abbia nel bicchiere un vino dolce. Soprattutto un Recioto (rosso) della Valpolicella, che in fatto di volatile non scherza, e che pure di quest'imperfezione fa tesoro.
M'è tornato in mente il discorrere dei vini tecnicamente imperfetti, ma piacevolmente perfettissimi all'assaggio per chi vada in cerca della personalità, tastando l'Uvapassa del 2004, il Recioto valpolicellese (rarissimo) che fa Cecilia Trucchi nella sua Villabellini, a Castelrotto, che è una specie di isola-collina che emerge dalla piana.
Il colore è scarico, come ha da essere il Recioto (e l'Amarone, figlio del Recioto) quando sia rispettoso della tradizione e figlio della corvina veronese, uva che ha scarso colore.
Avvicino il naso al bicchiere, ed ecco che è come tuffarmi in un invitante mix di frutta secca, con le noci di montagna, e le mandorle amare, e le nocciole. E poi i fiori macerati, quelli nel pout-pourri con le scorze d'arancia essiccate e le spezie. E il tutto trova nell'acidità volatile incredibile slancio, e guai se non ci fosse.
E poi la bocca. Eccola, carnosa e insieme succosa. E il frutto appassito, l'uva passa. E ancora agrumi secchi. E fichi in confettura. Ed erbe officinali seccate al sole. E una lunghezza vellutata e sinuosa.
Bel vino, bellissimo, austeramente dolce, dolcemente aristocratico. Peccato non averne più, peccato non poterne bere una bottiglia fra dieci o fra vent'anni, quando sarà diventato uno strepitoso Amarone ammandorlato, come quelli che si facevano - un po' per caso - quand'ancora l'Amarone non era una moda.
Recioto della Valpolicella Classico Uvapassa 2004 Villabellini
Tre lieti faccini :-) :-) :-)

3 aprile 2012

Bianchi friulani da macerazione

[Mario Plazio]
Una cenetta in casa con alcuni amici è stata l’occasione per assaggiare alcuni vini del Friuli che avevo in cantina e che mi sono stati affidati dall’Osteria Devetak (se siete dalle parti di Gorizia andateci, cibo e vini sono eccellenti e non occorre rompere il salvadanaio), che qui ringrazio. Si tratta di produttori bio o naturali che dir si voglia, e che in gran parte adottano macerazioni prolungate sulle bucce per i vini bianchi, come fossero dei rossi. Per l’affinamento diverse sono le strade, dal legno, all’acciaio fino alle anfore di Vodopivec e Paraschos.
Evangelos Paraschos, Venezia Giulia Kaj 2005. Balsamico, unguento, ferro, pesca e cachi. Al palato svela una decisa tannicità, ma mantiene dinamismo e non esercita troppa pressione. È delicato e non insiste troppo nella concentrazione, ne risulta una beva abbastanza semplice per la categoria. 90/100
Il Carpino, Vis Uvae 2006. È un pinot grigio e si vede. Profilo decisamente scontroso, fa ben poco per farsi piacere. Sulfureo. Meglio in bocca, con però una presenza invadente dell’alcol. Imponente e massiccio, manca di finezza ed è destinato ai veri aficionados della tipologia. 80/100
Damijan Podversic, Bianco Kaplja 2005. Molto interessante. Frutto pulito con sfumature balsamiche (pomata), di fieno e minerali. La maturità del frutto conquista il palato, è un vino sferico e morbido che conserva una eccellente bevibilità. 90/100
Zidarich, Carso Vitovska 2006. Accentuata sensazione minerale al naso. Armonico ed elegante, ravvivato da una spinta acida ideale, ottima versione di vino macerato sulle bucce, senza alcuna deviazione aromatica. Il miglior vino della serata. 93/100
Vodopivec, Vitovska Solo MM4 (2004). Bottiglia molto giovane, sorprendente. Spezie, zolfo, pesca e sottobosco sono le sensazioni olfattive. Al palato tannino e materia vanno di pari passo, il tutto senza eccessi e con una buona eleganza. 92/100

2 aprile 2012

Oh, i Borgogna del 2009!

[Angelo Peretti]
Mi sento un po' come un traditore della patria, ma che volete farci, la tentazione era irresistibile. Sì, perché il Vinitaly sarà anche la fiera del vino italiano, ma io sono qui a dirvi di una memorabile degustazione di rossi che invece italici non sono, bensì francesi, o meglio, borgognoni. Sono stati infatti tra i pochi fortunati invitati a una sessione d'assaggio nel soppalco dello stand di Cuzziol, azienda distributrice di vini (e altre cose) d'eccellenza. E l'assaggio (io però in realtà me li sono bevuti: altro che sputare!) era di splendidi rossi di Borgogna del 2006.
A guidare il tasting per dieci, diconsi dieci ospiti, era Jean François Mouchonnat, uno che la Borgogna la conosce come le proprie tasche.E ci ha raccontato che quella del 2009 è stata un'annata "facilissima", calda e molto secca, e dunque con uve mature e sanissime. Talché i tannini sono anch'essi maturi e dolci, il che rende i vini, anche i più complessi, adattissimi anche all'immediata beva, oltre che ad un affinamento d'altri quattro o cinque anni (e qualcosa in più, per quelli maggiormente complessi). "Il 2009 è un'annata da bere" ha ribadito monsieur Mouchonnat. In più, il millesimo è stato tutt'altro che avaro in fatto di quantità d'uve, una delle vendemmie più ricche, quantitativamente, che si siano viste, e non è un male. Insomma: qualità e quantità, cosa volere di più?
Orbene, nel bicchiere ci siamo trovato sei rossi di Borgogna del 2009, tutti ovviamente distribuiti da Cuzziol, e adesso dico le mie impressioni.
Chassagne-Montrachet 1er Cru Budriotte 2009 Ramonet
Bellissimo colore. Tannino levigato. Frutto croccante, avvincente. Speziatissimo. Rosa appassita. Elegante.
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)
Nuits-St. Georges 1er Cru Les Procés 2009 Duband
Lo stile di Duband non fa per me, e ne ho avuto conferma: questione di gusti. Tradizionale, rustico, affumicato.
Un faccino e quasi due :-)
Vosne-Romanée 1er Cru Les Chaumes 2009 Arnoux-Lachaux
Rubino, bello. Teso, affilato. Muscoloso ma non palestrato. Rose, viole. Frutto dolce. Cioccolato al latte. Fascinoso.
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)
Morey Saint-Denis 1er Cru 2009 Dujac
Urca, che vino! Vino maschio. Tensione tannica. Fiori macerati, fruttino. Fumé. Austero e vitale. Elegantissimo.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)
Chambolle-Musigny 1er Cru 2009 Confuron
Colore più carico. Ricchezza fruttata. Amarena stramatura che contrasta con un tannino quasi rude. Arancia bionda.
Due lieti faccini :-) :-)
Gevrey-Chambertin 1er Cru 2009 Dugat
Naso speziato. Poi, fiori appassiti, terra rossa. Grande complessità. Frutto e tannino in bell'equilibrio. Lunghissimo.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)

31 marzo 2012

Il miglior Vinitaly di sempre?

[Angelo Peretti]
Forse esagero, perché mica le ho viste tutte le quarantasei edizioni del Vinitaly, e certamente ce n'è stata qualcheduna di "eroica" in passato. Ma la fiera veronese del vino la frequento da una ventina d'anni, e questo per me è stato il miglior Vinitaly di sempre, se si considera che il "sempre" è riferito all'ultimo ventennio. Sissignori: stavolta è stata una fiera davvero. Una fiera dove si fanno affari, che è quel che conta. Il cambio di date, che anch'io avevo - per quel che conta, per quanto poco io conti - sollecitato, ha funzionato eccome. Gli operatori si son fatti vedere già dalla domenica, i ristoratori sono tornati in numeri abbondanti, tutte e quattro le giornate hanno visto ottimi afflussi, altro che gli anni scorsi, quando si lavorava il giovedì pomeriggio e il venerdì e poi era ressa da sagra strapaesana. Bene, ci voleva. Dunque, un grazie ai vertici di Veronafiere, che il "rischio" del cambiamento se lo sono accollato, e in particolare - permettetemelo - a Elena Amadini, la brand manager di Vinitaly, che allo spostamento di calendario ci ha fortemente creduto (di lei si parla poco e poco gradisce che se ne parli, ma nome e cognome io li voglio proprio fare, congratulandomi).
Certo, di cose da sistemare ce ne sono ancora, ma la scelta fondamentale è fatta, e dunque avanti.
Di cose da cambiare, e in fretta, ce ne sono almeno tre.
La prima è il disastro della telefonia e della connessione. Non deve più accadere quel che è successo, e cioè il black out pressoché totale per buona parte della fiera. Oggi quei marchingegni tecnologici che permettono di far tante cose nel palmo di una mano ce li hanno quasi tutti, e bisogna che li possano adoperare, sennò si perdono occasioni importanti.
Poi occorre una svolta nel servizio d'ordine: non è possibile che a fine giornata girino per i padiglioni piccole orde di ragazzotti ubriachi che urlano e sbevazzano a canna e crollano a terra fradici. Bisogna metterci rimedio: il loro schifosissimo comportamento mette a repentaglio gli investimenti di aziende, consorzi, istituzioni, offrendo ai visitatori - soprattutto stranieri - la peggior immagine del vino italiano.
Il terzo miglioramento dovrebbe riguardare la viabilità: troppi ingorghi per arrivare, ancora di più per uscire. Ma temo che su questo aspetto ci sia davvero poco da fare, considerato che la fiera è "dentro" la città, e dunque sarà necessario far ricorso alla pazienza anche in futuro.
Sarei dunque lieto che si risolvessero il primo e il secondo problema. Il primo penso sia facilmente risolvibile. Sul secondo mi affido a chi è ben più esperto di me in fatto di servizio d'ordine.
Intanto, archivio soddisfatto una gran bella - e sfiancante, meglio così - edizione del Vinitaly.

30 marzo 2012

Se i nemici dell'olio sono i produttori di olio

[Angelo Peretti]
Avevo deciso di dedicare un paio d'ore dell'ultimo giorno del Vinitaly al Sol, il salone dell'olio che si svolge in contemporanea con la grande kermesse del vino. Volevo provare qualche extravergine italiano, andando un po' a zonzo fra uno stand e l'altro. In effetti, ho cominciato il tour. Solo che ho smesso praticamente subito. Perché ho capito.
Faccio un passo indietro.
Tra i produttori di olio serpeggia da un bel po' un certo pessimismo. L'extravergine di qualità si fa fatica a farlo e ancora di più a venderlo. I prezzi spesse volte non sono nemmeno tali da compensare i costi di produzione. La gente usa oliacci di quart'ordine e si rifiuta di comprare un bell'extravergine, destinando magari dei bei soldi, invece, a una bottiglia di vino. Roba da sconforto, per gli oliandoli.
Mi sono spesso domandato perché questo accada. Al Sol ho capito: perché i nemici dell'olio e di chi fa olio molto spesso - troppo spesso - sono gli stessi produttori di olio.
Che cos'è successo? Semplicemente che il primo olio che ho provato ad assaggiare era quasi rancido, il secondo pure (e mi è preso un attacco di tosse), il terzo ci mancava poco. Ma non è che io sia stato sfortunato nello scegliere i produttori. Quelli erano validi. Il problema è che le bottiglie erano aperte dal giorno prima e l'extravergine - si sa - deperisce in fretta. Soprattutto se di olio nella bottiglia ne è rimasto poco, e dunque di ossigeno ce n'è tanto, e il poco olio che c'è irrancidisce. Col caldo degli stand, poi, è ancora peggio.
Mi domando - e domando ai produttori - se sia così drammatico aprire una bottiglie nuova la mattina, quando si riavvia la manifestazione, in modo da far assaggiare l'olio quand'è perfettamente integro.
Mi domando - e domando ai produttori - se sia un costo così esorbitante aprire una bottiglia nuova al giorno, dopo che ti sei speso una bella cifra per prendere lo stand in fiera
Mi domando - e domando ai produttori - se sia così impossibile avere delle bottiglie piccoline, adatte a far provare l'olio nelle condizioni migliori.
Mi domando - e domando ai produttori - se sia questa la maniera di far cultura dell'extravergine di qualità.
Ce n'è di strada da fare. In salita.

29 marzo 2012

I Colli Euganei secondo Il Filò delle Vigne

[Mario Plazio]
Ho detto altre volte che il territorio dei Colli Euganei è poco conosciuto. Se poi andiamo fuori dal Veneto, praticamente non se lo fila nessuno. Ed è un vero peccato. I vini da taglio bordolese non sono certo originali, devono affrontare una concorrenza globale che non lascia scampo. Molti sono però i caratteri specifici del territorio che potrebbero suscitare interesse anche tra i più scettici. Sia tra i vini rossi, che tra i bianchi. Il Filò delle Vigne è una azienda che ho avuto modo di visitare e i cui prodotti mi sono parsi tra i più identitari in assolto. Sono 17 gli ettari di vigna, su terreno calcareo molto sassoso, anche per l’esposizione a pieno sud. Ecco una carellata sui vini. 
Calto delle Fate 2008
Bianco fermentato in legno, in gran parte vecchio. Profumato, sapido, alcolico e potente. Invecchia bene.
1 faccino e mezzo :-)
Colli Euganei Cabernet Riserva Vigna Cecilia di Baone 2006
Molto bordolese per l’aspetto austero (non si usa legno). Fresco, elegante, pepato e nota marina, tipica della zona. Molto centrato.
2 faccini e mezzo :-) :-)
Io di Baone 2006
Vino da varietà recuperate. Concentrato, frutti neri, vinoso e rustico, con tannini da smussare. Prima annata prodotta.
2 faccini :-) :-)
Colli Euganei Cabernet Borgo delle Casette Riserva 2006
Frutta secca, pepe e spezie, con nota erbacea e ancora sfumature marine. Un po’ più in evidenza il legno, il vino deve affinarsi, ma si sistemerà.
2 faccini e mezzo :-) :-)
Colli Euganei Borgo delle Casette Riserva 2007
Più intenso del precedente. Aromi di china, cassis e lampone e un supplemento di complessità. Maturità che sfuma nel cacao e dolcezza del frutto. Mantiene eleganza nonostante l’evidente maturità, ma è una caratteristica del luogo. Tannini dolcissimi.
3 - faccini :-) :-) :-)
Colli Euganei Borgo delle Casette Riserva 2002
Perde qualcosa in concentrazione e maturità del tannino. Evidente la ricerca della eleganza, floreale e marino, poi rosmarino e liquirizia. La vigna ha un buon potere drenante e anche nelle cattive annate arriva ad un buon equilibrio.
2 faccini e mezzo :-) :-)
Colli Euganei Cabernet Vigna Cecilia di Baone Riserva 1999
Grande naso, ancora giovane, dominano le spezie con pepe, chiodo di garofano e caffè. Poi carne e liquirizia. Sapido, lungo e vivo, sviluppa molta mineralità.
2 faccini e mezzo :-) :-) 
Calto delle Fate 2001
Inizio complicato con gomma bruciata, il legno usato era tutto nuovo. Interessante in bocca dove ha ancora molto da dire. Finale dolce di pasticceria, ma anche vivace.
2 faccini :-) :-)
Luna del Parco 2007
Vendemmia tardiva da uve botritizzate di moscato. Non viene usato legno. Stravagante, grandi aromi, anice e lavanda oltre ai tipici sentori di moscato. Leggero e scorrevole, chiude su ricordi di scorza di arancio e botrite. Finissimo.
3 faccini :-) :-) :-)

26 marzo 2012

I ghiaccioli agli esquimesi e i bicchieri agli osti

[Angelo Peretti] 
Ecco, so bene che bisogna inventarsele tutte per cercare di attrarre attenzione su un vino, un'azienda, una denominazione, un consorzio. Bisogna perfino fare le capriole, tant'è la concorrenza. Però a volte ci sono delle iniziative che francamente non capisco, e il limite è mio: intendo che se non le capisco è certamente colpa mia e solo mia.
Cito un caso tra i tanti. In uno dei millanta comunicati che ho ricevuto in questi giorni sul tema Vinitaly ho letto che il consorzio tal dei tali "per la promozione della denominazione, quest’anno ha come target l’ho.re.ca." Bene, e fin qui ho capito. Poi dice ancora: "Recentemente è stata avviata un’iniziativa che coinvolgerà i gestori di ristoranti, winebar e enoteche, e la manifestazione veronese rappresenta un momento importante di questo percorso". Urca, mi sono detto, notizia da approfondire, perché è sempre interessate capire come si faccia a "colpire" un segmento così articolato e "difficile" come quello degli hotel, della ristorazione e del catering, e il fatto che il lancio venga realizzato a casa mia, a Verona, mi permetterà, appunto, di approfondire.
Ho proseguito la lettura, ed ecco la soluzione: gli osti che già vendono il vino della tal denominazione, se passano allo stand del Vinitaly ritirano un coupon grazie al quale riceveranno in omaggio sei bicchieri. Gli si regalano sei bicchieri. Agli osti. A gente che di mestiere usa i bicchieri per vendere il vino e che di bicchieri ne ha a centinaia. Sei. E se il tavolo è da otto?
Ecco, io non capisco. Non credo che sarei capace di regalare i ghiaccioli agli esquimesi. Ma a chi ci prova auguro comunque tanta, tanta fortuna.

24 marzo 2012

Verona, istruzioni per enogastronomi fuori Vinitaly

[Angelo Peretti]
Ho visto qui è là sul web affiorare suggerimenti su cosa fare a Verona nel dopo Vinitaly. Insomma, dove andare a bere un bicchiere (eh, già: dopo aver assaggiato tutto il giorno, alla sera un paio di bei calici bevuti come si deve ci vogliono) o a mangiare un boccone. Be', da veronese qualche consiglio lo vorrei dare anch'io, o almeno provarci. Con un'avvertenza: i ristoranti e le osterie di Verona nei giorni (nelle sere) del Vinitaly hanno le densità abitativa delle spiagge della riviera adriatica a ferragosto, con tutto quel che ne consegue.
Vediamo cosa, in dieci mosse.
Un bicchiere di vino. Se si trova posto (anche in piedi), il mio punto di riferimento è l'osteria Monte Baldo, in via Rosa, a due passi da piazza delle Erbe. Ricordate che a Verona bere un bicchere di vino (un gòto, si dice qui) significa anche sbocconcellare qualcosa. Al Monte Baldo ci sono polpettine e bocconcini, perfetti per accompagnare il vino.
Le polpettine. Sono un must delle osterie di Verona. Di carne bovina (a volte equina). Obbligatorio accompagnarle al gòto (bicchiere, vedi sopra) di vino. Le migliori sono quelle dell'osteria Sottoriva, nell'omonimo vicolo, che da solo merita una visita. Aperitivo perfetto.
Il baccalà. Bisogna capirsi: a Verona si chiama baccalà lo stoccafisso: sappiatelo. Il baccalà (stoccafisso) veronese è fatto alla vicentina, ed è l'unica concessione alla vicentinità che i veronesi ammettano. Il migliore (degno di competere con i luoghi cult di Vicenza e provincia) lo trovate al ristorante Al Bersagliere, in via Dietro Pallone, a due passi da piazza Bra.
Il bollito misto. Eh, già: il bollito misto, il piatto d'eccellenza della "vecchia" tavola festiva veronese. Se volete cercarlo in un locale storico di Verona, in piazza San Zeno c'è il Calmiere. Vi consiglio tuttavia di farvi una ventina di minuti di macchina per andare Alla Pergola di Fagnano di Trevenzuolo, nella Bassa Veronese: bollito misto da sogno.
La pastisàda de cavàl. A Verona si mangia carne di cavallo. Il piatto della tradizione è la pastisàda: un umido di carne equina con vino e cipolla (parecchia). Piatto tosto: il giorno dopo non concilia le relazioni sociali (l'alito...). Se proprio volete osare: ristorante dell'albergo Borghetti, nella frazione di Parona, con una notevole scelta di rossi valpolicellesi a bicchiere.
il pesce (di mare). Dico: pesce di mare. Il mare non bagna Verona. Per chi non sapesse rinunciare al sapore del mare suggerisco a botta sicura la trattoria I Masenini, in piazzetta Pescheria. Il locale è di Elia Rizzo, il patron dello stellato Desco. I prezzi qui sono "umani" (è pur sempre mare) e la qualità è davvero notevole.
Il pesce (di lago). Sul Garda si pesca. Inutile cercare pesce di lago in città: bisogna andare sul Garda, e anche qui non è facile trovarlo. Suggerimento d'obbligo il ristorante Alla Fassa di Castelletto di Brenzone (un'ora abbondante da Verona), proprio in riva al lago: da non perdere il fritto misto lacustre. I tempi di servizio sono slow.
Il risotto. Nel Veronese si coltiva il riso. Il vialone nano veronese, che ha il marchio igp. Inutile cercare un risotto in città. Venti minuti e si arriva a Isola della Scala, patria del vialone. Nella piazza del paese c'è la Risotteria Melotti. I Melotti sono produttori di riso. Si mangia solo riso (sono di riso anche il pane, i grissini, la birra e il caffè; il vino è fatto con l'uva).
Le lasagnette. Altro piatto di rito della tradizione scaligera: le lasagnette. Si condiscono col pomodoro o col ragù o con tutti e due, serviti comunque a parte. Meglio andar fuori città anche in questo caso. Si va a Torbe, frazione d'alta collina di Negrar, cuore della Valpolicella Classica: trattoria Caprini, accanto alla chiesa.
I tortellini. I tortellini si mangiano a Valeggio sul Mincio, tre quarti d'ora da Verona. Sono piccoli, sottilissimi. Si servono con burro e salvia. A Valeggio ci sono tanti e tanti ristoranti che li fanno, e sono quasi sempre eccellenti. Il riferimento storico è il ristorante Alla Borsa.

23 marzo 2012

Al Vinitaly in elicottero?

Angelo Peretti
Se siete dei frequentatori abituali del Vinitaly vi sarete accorti che davanti alla fiera c'è un gran via vai di elicotteri. Arrivano nel parcheggio che sta dall'altra parte del vialone, e sollevano un gran polverone. Ebbene, sappiate che, se proprio volete togliervi lo sfizio, gli elicotteri si possono noleggiare. Lo si legge sul sito del Vinitaly: "Servizio elicotteri. C’è la possibilità di usufruire del trasporto in elicottero da e per aeroporti ed aziende. Per informazioni telefonare a 045 8600910. La piazzola di atterraggio è nel parcheggio P3 ex Mercato". Accidenti, che figata! Oddìo, temo costi una paccata di quattrini (paccata va di moda di questi tempi), ma volete mettere?
Credo sia interessante riportare anche qualche altra nota "viabilistica" a proposito del Vinitaly.
Per i più "umani" che si muovono in macchina, il sito del Vinitaly dice che si possono avere informazioni via blackbarry e palmare, "grazie al nuovo servizio realizzato da Vinitaly disponibile all’indirizzo http://mobile.vinitaly.it in collegamento con VeronaMobile del Comune di Verona (disponibile su http://213.171.97.105/, http://www.twitter.com/veronamobile, http://www.facebook.com/veronamobile, con un nuovo servizio sms per comunicazioni d’emergenza)".
Sappiate che ci sono sette parcheggi, ma non azzardatevi a posteggiare in zone col cartello del divieto: le multe fioccano come la neve a Natale, e mi riferisco a quei giorni di Natale in cui nevica di brutto. Ci sono anche le zone a disco orario: un'ora di sosta, ma se sgarrate arriva il carro attrezzi.
Soprattutto - ricordatelo! - ci sono dei comodissimi bus navetta gratuiti che collegano il quartiere fieristico alla città e ai parcheggi scambiatori.
Se vi muovete in treno, c'è una biglietteria di Trenitalia presso il Centroservizi Arena, tra i padiglioni 6 e 7.
Se invece avete prenotato il volo in aereo, il sito del Vinitaly dice che c'è un servizio web check-in in collaborazione con l’aeroporto di Verona Villafranca (solo per passeggeri con bagaglio a mano): è al Centroservizi delle Erbe, fra i padiglioni 4 e 5, e c'è anche un servizio navetta fiera.aeroporto.
Mi pare tutto.

22 marzo 2012

I bianchi venuti dal freddo

Mario Plazio
La degustazione aveva lo scopo di comparare vini provenienti da territori freddi, o supposti tali. Queste le mie note di degustazione sintetiche.
Domaine Schueller: Alsace Riesling Le Verre est dans le Fruit 2003. Proviene dal grand cru Eichberg ed è stato declassato. Travolgente al naso con un vortice di sensazioni minerali, di mare, spezie e pasticceria. Fine il palato, balsamico e libero nella sua espressione. 93/100
Domaine Gitton: Sancerre Romains 1998. Tra il tropicale e il vegetale. Classe da vendere al palato dove appare una piccola ossidazione molto gradevole. Pietra focaia e note marine. 92/100  
Garlider: Valle Isarco Sylvaner 2005. Uva spina, floreale ed austero. Vero vino “freddo”. Poi liquirizia, erbe montane, foglia di pomodoro. Compassato e serio, al palato è di classe, con fiori (viola e glicine) e grande finezza. 91/100
Kellerei Terlaner : Weissburgunder Vorberg 2001. Tra i più fini. Floreale (mimosa) e minerale, delicato e per nulla aggressivo. Grande beva. 90/100
Domaine Julien Labet: Côtes du Jura La Reine 2004. Ancora chiuso, tra il vegetale e il selvatico. Poi scorza di arancia e anice, rivela la classe alla beva, anche se non dà l’impressione di poter evolvere per molti anni. 89/100
Dr Loosen-Wolf: Pfalz Riesling Forster Ugenheuer Spätlese troken 2001. Vino compiuto e maturo, roccia bagnata, rosa, frutto della passione compongono un bouquet intrigante. Lungo, manca solo di un pizzico di complessità al palato e denuncia una certa freddezza tecnica. 88/100
Clelia Romano, Colli di Lapio: Fiano di Avellino 2005. Naso velato dalla solforosa. Agrumato e sassoso, si esprime al meglio al palato, dove è tra i più fini in assoluto. 86/100
Domaine Grossot: Chablis 1er cru Mont de Milieu 2000. Susine, crema e frutta al naso. Lascia pensare che sia in leggera fase calante, ma resta molto buono. Caratteriale. 85/100
Domaine Dupasquier: Roussette de Savoie Marestel 2000. Grasso ed evoluto, si appesantisce nel finale.  82/100
Daniele Piccinin: Bianco dei Muni 2006. Stile ossidativo, si rivela in bocca dove è molto lungo e personale. 80/100
Walter Massa: Colli Tortonesi Timorasso Costa del Vento 2001. Torba, mare, sulfureo, miele. Al palato è stanco e ossidato. Il produttore ha poi confermato
che quella annata ha avuto un grosso problema di tappi. Le altre bottiglie provate erano tutte difettose.

21 marzo 2012

Il Vinitaly che vorrei

Angelo Peretti
E così torna Vinitaly. Da domenica 25 a mercoledì 28 marzo, e questa è la novità da mettere alla prova. Basta con la vecchia formula dal giovedì al lunedì. Stavolta c'è un giorno di meno e si comincia di domenica per finire il mercoledì, appunto. Incrocio le dita e spero vada tutto bene, anche perché qualche piccola corresponsabilità nell'aver indotto la riflessione in favore del cambiamento ce l'ho anch'io. Mi dispiacerebbe se non funzionasse, parecchio.
Dal lato dell'adesione delle aziende, mi pare che le cose siano andate come al solito: tutto completo. Con una novità addirittura, il salone di quei vini che in giro si usa chiamare "naturali", e la definizione non mi piace per niente: i biologici e i biodinamici, insomma.
I visitatori probabilmente caleranno, perché c'è un giorno in meno, e manca soprattutto il sabato, che dal pomeriggio vedeva l'afflusso delle masse al pari della domenica, ma non è un problema: alla fin fine, Vinitaly avrebbe sempre dovuto essere una fiera per gli operatori, e gli espositori sarebbero lì per fare affari, mica per allestire, a spese loro, un grande wine bar per gente che vuol solo bere.
Il bagno di folla potrebbe ripetersi quest'anno la domenica, ma, pagato il tributo, gli espositori avranno tre giorni pieni per concentrarsi sul business (prima ne avevano di fatto solo due: il giovedì pomeriggio, tutto il venerdì e poi il sabato mattina, perché la mattina del giovedì era "coperta" dalle varie inaugurazioni, il sabato pomeriggio e la domenica c'era l'assalto della massa, il lunedì si sbaraccava). Spero lo capiscano soprattutto i ristoratori, che non mi pare abbiano frequentato granché il Vinitaly negli ultimi anni. Spero anche che, oltre ai ristoratori, i tre giorni feriali portino tutte le varie categorie dei compratori professionali. La sfida è questa, e il mondo del vino ha bisogno di vincerla.
Poi vedremo: i conti si faranno a salone chiuso. Però già da ora, e dunque in tempi non sospetti, dico qual è il Vinitaly che vorrei, quello che sogno per il futuro. Ed è un Vinitaly che sappia ancora meglio mettere in luce le aree tematiche o geografiche del vino. Una fiera nella quale il visitatore sappia esattamente che cosa trova nei vari padiglioni. Una fiera in cui non si perda tempo alla ricerca di questo o quel tipo di vino, dove si possa girare a botta sicura. Certo, già oggi c'è una qualche divisione per regioni, ma non sempre è così, e anche dentro agli spazi regionali non c'è completa chiarezza. Eppoi ci sarebbero le aree che non sono per forza "regionali" in senso amministrativo, com'è per esempio il "mio" lago di Garda. Posso dire che mi piacerebbe un padiglione dei vini del Garda? Ancora: vediamo come va (e secondo me va) il salone dei vini bio-qualcosa, ma vedrei volentieri anche un padiglione dedicato, per esempio, alla Federazione italiana dei vignaioli indipendenti, magari insieme ai rappresentanti dei vigneron indépendant francesi. Insomma: un Vinitaly che faccia riflettere sui "mondi" del vino, e che già dalla suddivisione dei padiglioni e delle aree interne ai padiglioni sappia "raccontare" con precisione la multiforme realtà del vino italiano. Un racconto che potrebbe rappresentare un plusvalore. Ma forse è troppo presto per parlarne.

20 marzo 2012

Un naso "alla Valentini"

Mario Plazio
Naso “alla Valentini”. Inizialmente molto reticente, sulfureo e recalcitrante. Un vino di bocca, nel senso che è qui che rivela tutta la propria classe.
Ha un frutto morbido e seducente, figlio di una annata piuttosto calda che conferisce spessore e senso di sfericità. Senza però eccessi. Solo il tempo lo libera, escono la camomilla, l’anice, e una decisa nota balsamica.
Dopo qualche giorno tira fuori anche la sua anima mediterranea, fatta di capperi e salsedine. Ha un buon bilanciamento, anche se verso la parte più calda delle sensazioni. Manca forse quel quid, inesprimibile, di alcune annate più criptiche del trebbiano. Quella sensazione di mistero che lo rende un vino così affascinante. Però d’altro canto è da apprezzare la sua disponibilità, la sua apertura e la capacità di accogliere il cibo.
Lunghezza impressionante.
Trebbiano d’Abruzzo 2000 Valentini
Tre -- faccini :-) :-) :-)

19 marzo 2012

Dieci Sauvignon della Loira

Angelo Peretti
Chi mi conosce, sa che non sono un bevitore dei Sauvignon di casa nostra: troppo verdi, troppo segnati da quell'odore di piì di gatto che a me disturba e tanto. E se non sono così, allora sono troppo densi e alcolici. Insomma, di solito non fanno per me, salvo rarissime eccezioni.
Chi mi conosce sa che invece adoro bere i Sauvignon Blanc della Loira, con quella loro strepitosa freschezza e quel fiore e quel frutto succoso.
Orbene, sabato scorso con un manipolo di amici di Sauvignon della Loira ne ho aperti una decina, trovando qualche sorpresa (un inaspettato, economico Touraine, "firmato" da un grande nome della zona) e delle conferme (Pelle, per esempio, che ormai bevo con soddisfazione da cinque anni, oppure Chateau de Tracy, che ogni volta mi sorprende per come sappia sempre proporre vini di grande eleganza e insieme di fantastica beva).
Ecco qui sotto com'è andata, con un elenco "in ordine di apparizione" sulla mia tavola. Alla fine della descrizione, succinta, del vino, c'è il prezzo in euro che ho pagato acquistandolo on line.
Jardin de La France Le Petit Bourgeois 2010 Henri Bourgeois
L’avrei detto un (buon) altoatesino. Quella nota verde e terpenica non è ciò che cerco. (10,30 euro)
Un faccino :-)
Quincy 2010 Jean-Michel Sorbe
Teso, secco. Polpa e sostanza. Alla lunga concede accenni piacevoli di erbe. Elegante. (12,50)
Due lieti faccini :-) :-)
Menetou-Salon Morogues 2010 Henry Pelle
Il solito gioiellino. Salmastro, iodato, floreale, succoso di frutto bianco. Una certezza. (15,10)
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)
Sancerre Le Tournebride 2010 Vincent Gaudry
Pompelmo, litchie, ma anche tanta – troppa – morbidezza. Non fa per me. (17,50)
Un faccino :-)
Sancerre La Moussiere 2010 Alphonse Mellot
Un fuoriclasse. Floreale, elegantissimo. Salato, tesissimo. Da strabere. (19,60)
Tre lieti faccini :-) :-) :-)
Jardin de La France Mmm Sauvignon 2009 Fournier Pere et Fils
Era meglio appena uscito. O forse questa era una bottiglia sfortunata. (9,10)
Niente faccini
Sancerre Cuvee Silex 2008 Fournier Pere et Fils
Frutto giallo e pietra focaia e sale: gli serve ancora tanta bottiglia. Lunghissimo. (23,10)
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)
Touraine Sauvignon Les 2 Pentes 2009 Vincent Careme
Grande rapporto qualità-prezzo. Bacca di gelso bianco, pera. Tracce gessose. (8,00)
Due lieti faccini :-) :-)
Pouilly-Fumé 2008 Chateau de Tracy
La solita straordinaria grazia dei vini di Tracy. Fiori, frutti, sale, lunghezza infinita. (17,90)
Tre lieti faccini :-) :-) :-)
Pouilly-Fumé Blanc Fumé de Pouilly 2008 Didier Dagueneau
Giovane, tanto giovane. Frutto denso, ampio. Sale. Occorre attenderlo ancora. (43,50)
Due lieti faccini :-) :-)

15 marzo 2012

Un Friulano, per favore

Angelo Peretti
Non sono mai stato e temo che difficilmente sarò un grande estimatore del Tocai. Pardon, del Friulano, perché Tocai è vietato da qualche anno in ossequio alle istanze ungheresi fatte proprie dall'Unione europea. Non è nelle mie corde sostanzialmente per tre motivi. Li dico in ordine sparso. Perché mi piacciono i bianchi longevi e il Tocai non le è (salvo eccezioni, ma sono, appunto, eccezioni). Perché in Friuli i bianchi sono un po' troppo alcolici. Perché il Tocai ha (quasi) sempre quella nota amara che non appartiene alla mia maniera di "sentire" il vino.
Qualche sera ha ho potuto assaggiarne alcuni, di Tocai del Friuli. Confermo: non sono vini che fanno per me, anche se qualcheduno l'ho trovato piuttosto interessante, e di certo mi sento di consigliarlo a chi voglia avvicinare il vitigno e il vino.
Collio Friulano 2010 Gianluca Anzelin
Ruspante. Ha la mandorla in bell'evidenza, e poi la noce e anche gli agrumi e la cannella. Bello, diretto, quasi sfacciato. La vena amara ammandorlata c'è, sul fondo, ma è compensata da intriganti, fascinose note saline. Pian piano, nel bicchiere, ecco poi la pesca gialla, perfino sciroppata.
Tre leti faccini :-) :-) :-)
Colli Orientali del Friuli Friulano Vigneto Storico 2010 Adriano Gigante
Ecco, la mandorla compare da subito all'olfatto. In bocca freschezza, ed è soprattutto questo il carattere che convince ed avvince, dando beva. Ancora tipicissima mandorla, ovviamente. E tanta frutta, gialla e bianca, e fiori essiccati e cenni perfino di zafferano, eleganti.
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)
Colli Orientali del Friuli Friulano 2010 La Viarte
Scarico nel colore. Al naso è elegantemente floreale: fiorio bianchi, freschi ed essiccati. Fine. Sottile. La bocca invece, come per contrasto, è più ruvida, tesa, nervosa, a tratti lievemente salina. Un vino essenziale, quasi stilizzato, disegnato con la matita sulla carta.
Due lieti faccini :-) :-)

14 marzo 2012

L'eleganza suprema del Vouvray démi-sec

Mario Plazio
Una tipologia sottostimata e poco conosciuta dalle nostre parti quella dei vini démi-sec, con un leggero residuo zuccherino. A torto considerati né carne né pesce, sanno invece reggere con eleganza abbinamenti di grande armonia. Purchè si tratti di un grande vino, così come è il caso di questo 2005 di Philippe Foreau, dalla perfetta definizione
Lo chenin si esalta nel terroir tufaceo di Vouvray e nella versione démi-sec. Dominante è la nota minerale e vulcanica, assorbita in un insieme compatto e stilizzato, così come è nello stile di questa splendida realtà. Sullo sfondo timide note di frutta esotica, ananas e frutto della passione, poi pepe bianco e mela cotogna. Il tutto molto ordinato e composto, flemmatico come un lord inglese. In bocca sfodera tutta la sua classe. È dinamico, sottile e venato da una magnifica nota amarognola.
Ancora giovanissimo, dirà la sua tra almeno dieci anni.
Una grandissima bottiglia, che non trova uguali tra i vini del nostro Paese.
Eleganza suprema.
Vouvray Domaine de Clos Naudin démi-sec 2005 Philippe Foreau
Tre faccini :-) :-) :-)

13 marzo 2012

C'è l'Ulìva sul Garda Trentino

Angelo Peretti
È da tre anni che a Riva del Garda si fanno miracoli oleari. A Riva, sul Garda Trentino, c'è l'Agraria, una cooperativa cui fanno capo centinaia di piccoli - quasi sempre piccolissimi - viticoltori e olivicoltori della zona. Gente che ha magari l'albergo o il bar o comunque un altro lavoro e che coltiva vigna e olivi pressoché solo per tradizione familiare e orgoglio e passione. Gli olivi son praticamente solo della varietà autoctona della casaliva, che è dominante sul Garda, e in particolare nell'Alto Garda. E le olive conferite all'Agraria e al suo frantoio hanno sempre dato oli delicatissimi e in questo tipicissimi di una sorta di stereotipo gardesano, che ricercava la dolcezza e la levità della pasta. Finché, tre anni fa, ecco il miracolo. Sissignori: miracolo. Il movimento oleario del Garda Trentino s'era messo a tirar fuori capolavori, e l'Agraria s'è adeguata, e ha dimostrato che si possono produrre gioiellini anche lavorando con le olive conferite da centinaia di micro-coltivatori. Mica facile, proprio per niente.
Adorati gli extravergini del 2010, a marchio Frantoio di Riva, ero impaziente di tastare quelli della ben più complicata - complicatissima, direi, così a nord, tanto a nord - raccolta del 2011. Ora li ho provati. Qui sotto le mie impressioni: dico che l'annata s'avverte con le sue difficoltà, ma ugualmente il dop Garda Trentino è d'alto profilo. Bravi.
Olio extravergine di oliva Ulìva Garda Trentino 2011 Frantoio di Riva
Verde-giallo nella veste, porge all'olfatto netti i sentori delle erbe di campo di di prato, insieme, e poi l'oliva a giusta maturazione, e la mandorla. La pasta è setosa. Il primo impatto è dolce, ma subito dopo ecco che emerge l'amaro del carciofo, del tarassaco, a tratti quasi del cardo. Segno d'attentissima scelta dei tempi di raccolta. E c'è una vena piccante che rinfresca e l'amaro si riaccompagna poi lungamente alla nocciola, a tratti, nel finale, anche del pinolo. Bella prova.
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)
Olio extravergine di oliva 46° Monovarietale di Casaliva 2011 Frantoio di Riva
Colore verde brillante, non eccessivamente marcato. Naso d'erbe campestri e di oliva e, tipicamente, di mandorla. In bocca si coglie un bell'equilibrio fra dolcezza e vena amaricante. E la pasta, di struttura abbastanza delicata, trova supporto e slancio un una ben modulata presenza piccante, che allunga e ravviva l'assaggio verso un finale asciutto, improntato al mix di frutta secca, con la nocciola e la mandorla e la noce.
Un faccino e quasi due :-)
Olio extravergine di oliva 46° Parallelo Biologico 2011 Frantoio di Riva
Colore gialloverde. Erbe di prato e mela croccante e mandorla freschissima all'olfatto, epperò gli stessi toni non si ripetono altrettanto netti al palato. In bocca d'immediato l'olio appare infatti vellutato e quasi neutro. Senonché subito dopo ecco che s'apre verso il piccante, abbastanza marcato, e verso una vena d'amaro che ravviva l'assaggio. La pasta è di impianto leggero.
Un faccino :-)

12 marzo 2012

Colacino, rossi di Calabria

Angelo Peretti
La doc Savuto non è tra le più note d’Italia. Si fa in Calabria, tra Cosenza e Catanzaro. Ha il bianco, il rosato, il rosso, anche superiore. Di rosso ne ho potute assaggiare due bottiglie, entrambe di Colacino, azienda di Marzi, nel Cosentino.
Ecco, questo vino ho fatto fatica a capirlo. Parlo del Savuto “base” (ma non è un “base”, essendo un cru aziendale, e dunque scrivo “base” per distinguerlo dal Savuto Superiore). Giusto per dire: pensavo avesse fatto legno e invece vedo che nella scheda aziendale si dice che fa solo acciaio. E in più è scritto che non fa la malolattica. Niente legno, niente malolattica: e allora quella morbidezza? Oh, santo cielo: prendo atto che non ci ho capito un’acca. E ammetto che mi toccherà pensarla a fondo la “nuova” Calabria del vino, di cui quest’azienda è piena espressione, ancorché abbia radici profonde, tant’è che anche Mario Soldati ne parlava raccontando delle sue peregrinazioni alla ricerca del vino italiano.
Ecco, tornando al Savuto e alla sua - per me - difficoltà di lettura, allora penso che magari è questione di cuvée, e mi tocca dare ragione ai sostenitori dei tagli di vasca tra vini che vengono da vitigni diversi, perché, dicono, una varietà offre equilibrio all’altra e il mix diventa piacevole. Qui dentro di uve ce n’è parecchie e il sito internet dell’azienda mi dice che sono: arvino (che se non sbaglio sarebbe il gaglioppo), greco nero, magliocco canino, nerello cappuccio, malvasia bianca, pecorello, e cioè, se non capisco male, sia bianche che rosse, e dunque l’equilibrio morbidoso potrebbe venire da lì. Poi, c’è mano enologica.
Savuto Vigna Colle Barabba 2010 Colacino
Colore rosso-violaceo ma non prepotente, naso fruttatissimo e speziato, bocca morbida (parecchio), col frutto rosso maturo (molto maturo) e perfino vanigliata, in parte compensata dal tannino e dalla freschezza. Mi piacerebbe un po’ di grinta in più, che ne rafforzi la beva e compensi quella pronunciata morbidezza, sennò sembra che “internazionalizzi”. Regge (e non cambia impronta) a bottiglia aperta.
Un faccino e quasi due :-)
Savuto Superiore Britto 2008 Colacino
Invece questo fa la malolattica e anche la barrique, ma il legno non s'avverte. È una specie di fratello maggiore (stesse varietà, altro cru). Due vendemmie in più, ma quasi non ci si accorge della differenza d’età. Giovanile, ha impronta morbidosa, peraltro più compensata dalla presenza di tabacco da pipa e di spezia dolce. Il frutto rotola a lungo nel palato. Dopo mezza giornata migliora: il tempo gli fa bene.
Due faccini :-) :-)
Calabria Amanzio 2010 Colacino
Altro rosso, un igt calabro, da uve di magliocco canino. Niente legno, niente malolattica. Ma questo è più "difficile" e di rude beva. Rude per quel tannino vibrante e la vena di liquirizia che resta in bocca a lungo, e d'indomita freschezza, e un bicchiere tira l’altro. Sul fondo, la morbidezza fruttata dei rossi del Sud, ma qui la vena graffiante che mi aspetto c’è tutta, e devo dire che mi piace
Due lieti faccini :-) :-)

11 marzo 2012

Un vino bianco freddo

Questa si sta trasformando nella mia giornata perfetta. Shopping da Harrods e pranzo da Harvey Nichols. Cosa c'è di meglio? Saliamo direttamente al ristorante al quinto piano e Luke ordina una bottiglia di vino bianco freddo, quindi alza il bicchiere per un brindisi.
"Alle valigie" dice, e sorride.
"Alle valigie" ripeto, felice, e bevo un sorso. È in assoluto il vino più delizioso che abbia mai assaggiato.
Sophie Kinsella, "I love shopping", Mondadori 2000

9 marzo 2012

Il gelsomino invernale e i bianchi da vasca

Angelo Peretti
Dalle mie parti, in riva al lago di Garda, in febbraio o ai primi di marzo, l'annuncio che la stagione fredda è lì per finire lo danno i gruppi di ciclisti che intasano la strada nel fine settimana e il fiorire del gelsomino invernale lungo i terrapieni e i muri di cinta delle ville signorili Ne godo, guidando, la visione del luminoso giallo quando non devo prestare attenzione a schivare le lunghe teorie
indisciplinate delle biciclette.
Mi piace il gelsomino invernale. Non puoi portarlo in casa: i fiori sono fragili, e ti cadono al minimo scotimento del virgulto. Però quel fiorire nei giorni ancora freddi è un annuncio della primavera imminente. Segno di speranza. Mi ricordano questo fiore semplice e profetico i bianchi che assaggio dalla vasca nelle cantine durante le rigide giornate d'inverno. Ricordano il sole dell'estate lontana, promettono il sole dell'estate che verrà.

8 marzo 2012

Oli che raccontano la Valtènesi

Angelo Peretti
Puegnago, sulla costa bresciana del Garda, deve avere un che di magico, in fatto d'olivi. Perché ogni anno è da lì, da quell'angolo di Valtènesi, che vengono alcuni fra gli oli più interessanti, e di maggior carattere, e di migliore espressione territoriale, che si facciano nella regione gardesana.
Tra gli olivicoltori di punta di Puegnago c'è Fulvio Leali con la sua azienda agricola La Meridiana. Fa extravergini sempre affdabili, affidabilissimi, e l'affidabilità la si testa soprattutto nelle annate difficili, com'è stata l'ultima, e il test è favorevolissimo. Pensare che non ha nemmeno un frantoio suo: s'avvale di quello della Cooperativa agricola di San Felice del Benaco, che è comunque a un tiro di schioppo. Il che vuol dire che l'attenzione ai tempi e ai ritmi di raccolta è assoluta e che altrettanto meticolosa e tempestiva è poi la molitura nell'impianto consortile.
Due i monocultivar: uno è di sola casaliva, la varietà principe dell'area del Garda, e l'altro è di quell'Fs17 che, clone della varietà frantoio, è stato creato dal professor Giuseppe Fontanazza e che mi pare si stia davvero bene acclimatando tra gli uliveti benacensi. Due oli notevoli. Assolutamente gardesani nella personalità.
Olio extravergine di oliva Monocultivar Casaliva 2011 La Meridiana
Il colore è un affascinante, cristallino verde pastello. Al naso, immediate, le note di erbe di campo e di prato e l'oliva fresca e un che, mediterraneo, d'agrumi. E in fondo la mandorla appena raccolta e la mela croccante. Quel che t'aspetti dalla casaliva, insomma. E in bocca la pasta è fin da subito in equilibrio tra dolcezza e vena amarognola, che sostiene la conduzione insieme con una piccantezza garbata. Prevale poi qui la mela, finché a prenderle il posto, ma con lentezza, è la frutta secca.
Due lieti faccini :-) :-)
Olio extravergine di oliva Monocultivar Fs17 2011 La Meridiana
Bel verde intenso. Al naso, marcate, le erbe di campo, e il tarassaco in particolare, freschissimo, e un che di carciofo crudo e l'oliva. La pasta è compatta, dapprima dolce, poi gradualmente virata verso l'amaro delle erbe campestri, poi intrisa di una sottilissima piccantezza. Il pomodoro verde, la lattuga, la nocciola raccolta in montagna. Rotolano a lungo in bocca, in perfetto equilibrio, il fruttato e l'erbaceo, e la stimolazione piccante li sorregge, lungamente. Gran bell'olio.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)

7 marzo 2012

Il Passito della Rocca

Mario Plazio
Vino passionale e vissuto questo Passito della Rocca, fin dal colore intenso e ambrato.
Vorticoso nei profumi di caramello, fichi secchi, frutta candita, caffè in polvere, orzo e dal particolare sentore di tartufo e idrocarburi.
La ricchezza del palato è equilibrata dalla acidità ancora pungente, mentre la dolcezza sembra domata dal passare degli anni.
Un bel vino insomma, che ho abbinato a uno splendido dolce siciliano a base di frutta secca, ma che vedrei anche in abbinamenti più inconsueti. La sua dolcezza non eccessiva lo rende infatti adatto anche ad incontri con formaggi stagionati, fegato grasso o piatti complessi.
Passito della Rocca 1999 Pieropan
Due faccini e mezzo :-) :-)

6 marzo 2012

Franciacorta: verso una riduzione delle rese?

Angelo Peretti
Giovanni Arcari dei Franciacorta se n'intende. Perché li fa, ovvero aiuta altri a farli. Ha anche un blog, che si chiama TerraUomoCielo, e qualche giorno fa ha pubblicato un post titolato: "Abbassare le rese per evitare l’esubero di uva non è la risposta giusta". Dice Giovanni: "Il caso che porto all’attenzione riguarda la Franciacorta, ma dubito sia diverso da quello di altri territori. Si paventa che per la prossima vendemmia ci sarà un esubero di uva che non sarà ritirata dai soliti, causa crisi globale". Ora, non so se quest'informazione si trasformerà poi in verità dei fatti, perché ovviamente siamo ben lontani dalla vendemmia. Però se anche nella felice Franciacorta si comincia a parlare di esuberi e giacenze...
Il problema è quello indicato da Arcari: "Un eccesso di uva sul mercato porta inevitabilmente all’inflazionarsi del valore della stessa, con un conseguente abbassamento dei prezzi". Spesse volte, per non dire quasi sempre, in casi come questo, gli enti consortili adottano la stessa politica: "riduzione della produzione per ettaro". Ma è una scelta che Arcari definisce "una politica arcaica", perché alla fine "a pagare il prezzo della crisi è soltanto chi coltiva l’uva e non chi la acquista". E dunque propone un'alternativa: "Sostengo sia più opportuno - scrive - ridurre la resa in vino (e non quella in uva), in altre parole pressare meno. Se fino a ieri si ottenevano 65 ettolitri per ettaro, da domani (per fare un esempio senza calcolo) se ne potranno ottenere 55". Le sue motivazioni preferisco le leggiate direttamente sul suo blog. Dico solo che effettivamente pressando meno, il vino con le bolle viene più buono.
Al di là della Franciacorta e dell'ipotesi ventilata, la questione è davvero argomento quotidiano in molte aree vinicole italiane. Per questo mi sono permesso di dire la mia tra i commenti del post. E vorrei riportare una parte del mio pensiero. Ho scritto così: "Quello che credo debba essere tenuto presente - non dai singoli produttori, o meglio, non solo da loro, bensì dall’ente consortile - è che per regolare la domanda e l’offerta si può operare sull’una o sull’altra. Quasi sempre, in caso di difficoltà, i consorzi decidono di agire sull’offerta, riducendola per sostenere il prezzo, attraverso declassamenti o riduzioni delle rese. Io ritengo sia invece necessario agire prioritariamente sulla domanda, ampliandola attraverso opportune azioni di promozione, di informazione, di comunicazione, di marketing, secondo precise linee di pianificazione strategica. Nel primo caso pagano soprattutto i piccoli, nell’altro prevalentemente i grandi, attraverso maggiori costi associativi, sapendo peraltro che l’ampliamento della domanda premierà nel divenire soprattutto chi dispone di massa critica. Si tratta di fare delle scelte".
Ecco, salvo casi d'emergenza assoluta, è questa l'idea di gestione nella quale credo. Magari mi sbaglio, ma la penso così, e propendo per scelte strutturali, non congiunturali.

5 marzo 2012

Champagne: e poi ci illudiamo di superarlo

Angelo Peretti.
Ogni tanto mi capita di leggere qui e là dichiarazioni in stile "lo spumante supera lo Champagne", oppure "il Prosecco supera lo Champagne". Affermazioni che immediatamente rubrico nella categoria "ma chi se ne frega". Per chi invece fosse tentato dall'orgoglio autarchico e applaudisse agli annunci di sorpasso, riporto qui di seguito alcuni dei dati che ho letto in un comunicato dell'efficiente Centro Informazioni Champagne, che rappresenta in Italia il Comité Interprofessionnel du Vin de Champagne (in sigla Civc).
Ebbene, si esordisce scrivendo così: "Nel 2011 le spedizioni registrano una crescita superiore al 7% a valore, ossia 4,4 miliardi di euro, pari a un volume di 323 milioni di bottiglie". Ora, prendendo il telefonino e accedendo alla funzione calcolatrice, non è difficile rendersi conto che quelle bottiglie sono state piazzate ad un prezzo medio di 13,6 euro. Dico: 13,6 euro alla bottiglia. Che non mi pare corrisponda al prezzo meglio degli "spumanti" italici e men che meno del Prosecco da export. Il che è sufficiente per chiudere qualunque argomentazione sotto un silenzio tombale.
Per la cronaca, e per la curiosità di chi è attento a queste statistiche, riporto anche il resto del comunicato champagnista. Si dice: "I maggiori incrementi sono realizzati in mercati lontani. Gli Stati Uniti raggiungono 19,4 milioni di bottiglie (+14,4%) e il Giappone 7,9 milioni di bottiglie (+6,7%). L’Australia si distingue sfiorando una crescita del 32% (4,9 milioni di bottiglie). Le vendite destinate all'Unione Europea (Francia esclusa) crescono del 2,1%, trainate dalla Germania (14,2 milioni di bottiglie, +8,5%), il Belgio (9,5 milioni di bottiglie, +8,5%), l’Italia (7,6 milioni di bottiglie, +6,3%) e Svezia, che fa il suo ingresso tra i primi dieci mercati all’export (2,4 milioni di bottiglie, +6,6% ). Il mercato francese è in lieve flessione rispetto allo scorso anno (-1,9%) a causa di una tassazione delle vendite nel corso degli ultimi mesi dell’anno. I paesi emergenti confermano il loro ruolo di volàno della crescita. La Russia cresce del 24% con 1,3 milioni di bottiglie, il Brasile del 7% e supera il milione di bottiglie. Numerosi paesi dell’Asia stanno conoscendo crescite sostenute: Singapore (+20%, 1,5 milioni di bottiglie), Hong Kong (+15%, 1,4 milioni di bottiglie), Cina (+19%, 1,3 milioni bottiglie), Corea del Sud (+31%, 481.000 bottiglie), India (+58%, 290.000 bottiglie), Malesia (+44%, 266 000 bottiglie). Gli Emirati Arabi Uniti confermano un forte potenziale con poco meno di 1,4 milioni di bottiglie (+18%) ossia quasi cinque volte in più rispetto a dieci anni fa. Da segnalare infine alcuni altri paesi, quali il Messico (800.700 bottiglie, +18%), la Nigeria (688.000 bottiglie, +16%), il Sud Africa (443.000 bottiglie, +15%), la Nuova Zelanda (335.000 bottiglie, +19%) e l’Argentina, che raddoppia i sui volumi (126.000 bottiglie)".
Aggiungo solo che temo di aver dato un qualche contributo alle vendite sul mercato italiano, ma non me la sento di verificare, estratto conto della carta di credito alla mano, se il mio incremento negli acquisti sia pari al 6,3%, in media con quello italiano. Potrei accorgermi di essere oltre...

4 marzo 2012

Non ho nemmeno un uomo

"Appunto, non ho nemmeno un uomo," si intristisce Hana, "come fai a non capire?"
Va a prendere il vino che aveva già aperto per lasciarlo respirare, tira fuori due bicchieri e serve solo per sé. Manda giù un sorso. Lila pulisce il tavolo dalla farina, si versa anche lei un dito di vino ma non lo beve.
"Ho trentaquattro anni," prosegue Hana a bassa voce, "ti immagini andare con un uomo per la prima volta e chiedergli di fare piano perché sono vergine? Alla mia età! Sarei ridcola. Non oso nemmeno pensarci, non oso nemmeno immaginare di trasformare un'amicizia in una relazione intima. È per questo che non ci provo neanche."
Elvira Dones, "Vergine giurata", Feltrinelli 2009

2 marzo 2012

L'infinita bellezza del nebbiolo

Angelo Peretti
Ieri sera ho bevuto nebbioli. Mi piace un sacco il nebbiolo, e non vedo come potrebbe essere altrimenti, visto che è il vitigno più importante che abbiamo in terra italica. So che al mondo tutto è opinabile, e dunque anche la mia precedente affermazione lo è. Ma sì, per me non c'è vitigno che possa stargli al passo. In Italia.
Ero con Massimo Zanichelli, della guida de L'Espresso, e con una ventina di produttori del "mio" Bardolino. L'idea era quella di farsi una qualche opinione di come un vitigno si adatti alle diverse situazioni ambientali e faccia da strumento alle differenti culture enologiche. Non so se il messaggio sia passato, ma so che ho bevuto bene, e già questo è un bel risultato.
Qui di seguito le mie impressioni sui vini, sette, tutti nati da uve di nebbiolo. Impressioni buttate giù di getto mentre bevevo. Appunti. In ordine di apparizione.
Barbaresco Paiorè 2008 Rizzi
Snellezza, succosità, florealità. Soprattutto florealità. Più elegante che ricco, viva l'eleganza. Equilibrio acidità-tannino. Tannino sottile. Dopo un'ora, origano, erbe officinali. Buonissimo.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)
Su Vini d'Italia de L'Espresso ha 18,5/20
Valle d'Aosta Donnas Napoleon 2007 Caves Cooperatives de Donnas
Rusticità. Si concede con lentezza. Tabacco, spezia, pellame. Roccioso e salato. Montanaro. Occorre avere pazienza e aspettarlo nel bicchiere. Ha un bel futuro davanti a sé.
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)
Su Vini d'Italia de L'Espresso ha 18/20
Barolo Rocche dell'Annunziata 2007 Aurelio Settimo
Appena avuto nel bicchiere mi son detto: "Ne compro un bancale". Elegante, nobile. Floreale. Lungo, bevibilissimo. E poi humus, terra nera, terroso in tutto e per tutto. Erbe alpestri.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)
Su Vini d'Italia de L'Espresso ha 18/20
Gattinara Osso San Grato 2007 Antoniolo
Subito è cioccolato al latte. E poi ecco la cenere e il sale. E tante vole, e petali di rosa essiccati. Avanza in progressione. Giovanissimo, ti chiede la pazienza di aspettarlo.
Due lieti faccini :-) :-)
Su Vini d'Italia de L'Espresso ha 18,5/20
Barbaresco Asili 2006 Roagna
Quando scrivo dei vini che bevo indico la piacevolezza in una scala da uno a tre faccini. Qui ci vorrebbe il quarto, ed è tutto dire. Elegantissimo, complesso, infinito. La finezza.
Tre lieti faccini perché non ne ho di più :-) :-) :-)
Su Vini d'Italia de L'Espresso ha 20/20
Barolo Riserva Gramolere 2005 Giovanni Manzone
D'immediato ferra, china, rabarbaro, tannino rustico, giovinezza. Vino "maschio", a tratti cupo. Grande carattere. Si apre con lentezza e ti dice che avrà un futuro radioso.
Due lieti faccini e quasi tre :-) :-)
Su Vini d'Italia de L'Espresso ha 18,5/20
Valtellina Superiore Grumello Riserva Buon Consiglio 2001 Ar.Pe.Pe.
Letto bene: 2001, ed è appena uscito. Che complessità, che personalità! Wow! Minerale, ferroso. Terra di bosco, sentori di sottobosco. Tartufo. Vena affumicata. Fiori macerati.
Tre lieti faccini :-) :-) :-)
Su Vini d'Italia de L'Espresso ha 19,5/20

29 febbraio 2012

Il Costozza del 2001

Mario Plazio
Un’azienda, quella dei Conti da Schio, che, colpa mia, ho perso di vista negli ultimi anni.
Questo Rosso del 2001 mi colpì alla sua uscita, e si beve molto bene in questo momento.
Un po’ classico e un po’ moderno, ha un nasino che non scherza. È infatti viscerale, odora di carne affumicata, tartufo nero, catrame e frutta secca, mentre il legno conferisce aromi di goccia di pino.
Al palato non ha un peso eccessivo, e questo non è sicuramente un limite, rimanendo piuttosto godibile.
Se devo trovare un limite è quello di una mancanza di complessità, risulta alla fine dei conti (da Schio… mi si perdoni la battuta) abbastanza monocorde.
Acidità e tannini non fanno mancare la loro presenza.
Costozza Rosso 2001 Costozza Conti da Schio
Due - faccini :-) :-)

28 febbraio 2012

Il Monte Carbonare

Mario Plazio
Da sempre il Monte Carbonare delle sorelle Tessari è uno dei miei bianchi preferiti.
L’annata 2006 è sorprendentemente chiusa, ancora molto giovane e bisognosa di affinamento.
Appena aperto il vino è sulfureo, mentre coi minuti arriva la classica nota di mandorla amara e un tocco di frutta esotica molto discreto. Fine e minerale in bocca, scorre che è un piacere. Piace l’assenza di spigoli e l’equilibrio dell’alcol, sempre più difficile da trovare nelle bottiglie prodotte in questi anni di grande maturità.
Una conferma.
Termino con un piccolo suggerimento: andatevi a prendere l’annata 2009.
Soave Classico Monte Carbonare 2006 Suavia
Due faccini e mezzo :-) :-)

27 febbraio 2012

Birra e fichi secchi

Angelo Peretti
Ecco, questa è un'altra delle cose che ho imparato negli stand di Identità Golose: birra e fichi secchi. Mica una birra qualunque: la Grand Cru della Moretti, rifermentata in bottiglia, e la bottiglia è da 0,75. Che magari non è facilissima da trovare, ma io l'ho acquistata anche in un supermercato, e dunque buona ricerca.
La Grand Cru è ambrata. Il colore è proprio quello dell'ambra. E sa di albicocca secca e di agrumi canditi. Mi piace.
Allo stand della Moretti la proponevano con le albicocche essiccate e coi fichi secchi. Secondo me, anche se il sapore della birra le ricorda, le albicocche erano troppo dolci per l'abbinamento. Ma i fichi secchi ci stavano benissimo, accidenti! Ho finito per mangiarne cinque o sei, con grave nocumento per la mia dieta. Mai e poi mai avrei pensato a un'accoppiata del genere e temo proprio (il timore è per le calorie dei fichi) che ripeterò l'esperimento.
Non si finisce mai di imparare.

26 febbraio 2012

Cibo per scongiurare la morte

Non ha mangiato. Cosa si deve mangiare con la febbre a trentanove e sei? Anzi, si deve mangiare oppure no? Non sono mai stata a casa sua, chissà che casa ha e chi gliela tiene. Frigo vuoto o con qualche provvista? Noi donne pensiamo subito al cibo, quando qualcuno cui teniamo si ammala. Ci preoccupiamo di come sfamarlo. Deve essere un residuo fossile del passato, quando i viveri scarseggiavano. Cibo per scongiurare la morte.
Margherita Oggero, "Qualcosa da tenere per sé", Mondadori 2007